U pan cott – di Carmela De Pilla

(Foto di Carmela De Pilla)
-Carmela andiamo a raccogliere la verdura che oggi voglio fare “u pan cott“.
Mi piaceva ritornare alle abitudini familiari, dopo un lungo periodo di lontananza tornavo a casa quasi a voler affondare ancora di più le mie radici nella terra dove sono nata e quel frugare tra l’erba, prendere quella giusta per poi avere il consenso di mia madre mi faceva star bene.
Il ricordo è ancora vivo, quei gesti semplici, quasi atavici mi portavano in un luogo in cui il tempo veniva gustato lentamente, tutto senza fretta, quasi fosse un rito, nel silenzio di quella terra rossa aspra e altrettanto generosa.
Arrivati a casa con il cesto pieno di cicorie, borragine, cicerbite, aspraggine mia madre mi assegnava il compito di sbucciare le patate o l’aglio e si creava tra noi una complicità nascosta.
Come spesso accadeva nelle realtà contadine, questo piatto era nato dalla necessità di usare il pane raffermo sapientemente unito alla verdura, alle patate, a qualche pomodoro, all’aglio e alla cipolla. La semplicità degli ingredienti era arricchita dalla destrezza delle donne che dovevano buttare in pentola il pane tagliato grossolanamente al momento giusto, lo lasciavano insaporire con gli altri ingredienti quel tempo necessario perché non fosse né troppo molliccio né troppo duro, q.b. si direbbe oggi, quel tempo che solo un’esperta sa definire.
In quel momento mia madre si sentiva la protagonista di un grande evento, molto dipendeva dalla sua maestria, scolava il tutto e poi lo versava in un grande piatto di coccio, quelli puglesi con i fiori blu o verdi, poi l’ultimo tocco, un fiume di olio doveva condire il tutto, una mescolata e pronti a gustare il capolavoro.
-Questa volta ho messo anche le fave,” è cchiù fin”, diceva mamma con orgoglio.
In quel momento il silenzio avvolgeva la famiglia e il palato, unico protagonista, gustava ogni ingrediente che mescolato all’altro dava vita a un nuovo sapore, la cremosità e la dolcezza delle patate si appiccicava all’amarognolo delle verdure e uniti dall’olio vellutato e pizzichino, se era nuovo, recava un piacere condiviso e, come in un grande lavoro di squadra, ogni ingrediente dava il meglio di sé.
Si mangiava lentamente perché quella mescolanza di sapori così diversi tra loro lasciasse in bocca un piacere quasi sensuale, segno di vita.
Mamma non c’è più da anni, ma noi ogni volta che d’estate ci incontriamo nella casa al mare e festeggiamo la giornata “du pan cott” con tutti gli amici sparsi un po’ per l’Italia, proprio come una volta ci riuniamo e ridiamo vita a un pezzetto delle nostre radici.
Ognuno di noi si dedica a fare qualcosa con lo stesso amore e la stessa complicità, chi pulisce le verdure, chi sbuccia le patate, chi sta dietro al fuoco e tra un racconto e una canzone si sente nell’aria un soffio d’amore che lega ormai più generazioni.
-Chiara, Camilla, venite a raccogliere la verdura che oggi voglio fare “u pan cott”.
“Il pane non si butta” l’ ho sempre sentito dire è un” peccato”…..a sentire i vs racconti, se ne sente il profumo … Non c’è regione senza ricette con il pane, non c’ è famiglia senza il pane….
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Mi sembra somigli alla nostra minestra di pane,ma si sa i piatti poveri della nostra gente si somigliano un po’ tutti.Bello.😀😍
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Quelle erbe diverse a formare un bouquet di sapori, quelle mani indaffarate a sminuzzare tagliuzzare mescolare… Il risultato affonda anno dopo anno nella memoria e diventa patrimonio di generazioni…
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