Tagliatelle al ragu

Il ragu di nonna Lolla- di Mirella Calvelli

Foto di Mirella Calvelli

 RAGU alla toscana, alla bolognese….Ma a casa mia era il Sugo della Nonna Lolla.

 La domenica è sempre stata  un momento solenne….quello del ragù, anzi del sugo.

La nonna “Lolla” andava a Messa il sabato, proprio per “liberarsi” (così diceva) la domenica, giorno relegato alla preparazione del SUO SUGO, spesso accompagnato  dalle  tagliatelle, unico comune denominatore… rigorosamente fatto a mano.

Ci vole olio di gomiti, diceva. Mattarello, coltello e mano libera.

Mica come queste diavolerie!

 Quando si taglia si va di slancio, un  si pole mica stare a “cincischiare”!!

Quando si impasta si pigia su i’ tavolo. L’impasto deve baciare la spianatoia, ma un si deve attaccare.

E allora giù di farina, lanciata dall’alto con un colpo secco della mano destra verso sinistra. Un polverone,  che però ricadeva preciso sulla spianatoia di legno.

Per molto tempo, quando ero piccola, ho creduto che quella polvere bianca potesse essere  borotalco. Ma questo aveva un altro odore, ed era  un passaggio obbligatorio del bagno del sabato.

Era un incanto guardarla. Tagliava gli odori, anch’essi a coltello con la maestria di uno spadaccino.

Mentre sfrigolavano nella pentola di coccio, sempre con lo stesso coltello sminuzzava la carne: le braciole di magro che gli dava Renzo, il  suo macellaio.

 Perchè se vu’ mettete la carne macinata,  l’è più comoda,  ma la unnnè la stessa cosa .

E le braciole le s’imbrunivano da una parte e dall’altra, poi con un salto felino sul tagliere, e tutto a coltello diventavano come la carne macinata.

 E continuavo a  non capire perchè non usasse la carne macinata. Ma prontamente, precisava. Così e vu’ sapete icchè c’è dentro!!

Le dosi, non si sono mai capite, sempre state un mistero. Ma una certezza c’ era. Il risultato, mai immutato, perfetto nel colore, odore e sapore.

Poi toccava alla salsiccia, denudata del budello, sbriciolata grossolanamente fra il pollice e l’indice.

Gli odori cominciavano a impregnare la cucina e la musica solfeggiava sulle stesse note, interrotta ogni tanto dal mestolo di legno che amalgamava con amore, pennellando  il fondo del tegame.

Ultimo ingrediente il pomodoro che veniva prelevato dal vasetto di vetro della credenza.

E anche qui, l’appunto

Un vu’ lo vorrete mica fare con quei barattoli di latta,  che un si da da dove vengano?

Da più grande , ho provato a spiegarle, che controllando l’etichetta avrebbe visto peso, provenienza e caratteristiche. Annuiva e poi diceva; Mimma icchè c’è scritto su’ i’ mio? Nulla, nonna.

Vedi perfetto, l’ho fatto io co’ i pomodori dell’orto, un si pole sbagliare e un c’è bisogno di scrivere nulla, appunto.

L’aggiunta di vino a sfumare, come sempre in seguito, sottolineavo io, era motivo di disquisizione. Ma, un disdice, un mi fa proprio persuasa e poi i vino a i tu’ nonno l’è meglio lasciaglielo ni’ fiasco.

Anzi, no dammelo Pippa (la Pippa ero io) così ne beve un pò meno e  un vorrei che cascasse da un architrave uno di questi giorni!! (nonno muratore).

La cottura continuava lenta, nel frattempo procedeva a tirare la sfoglia.

Altra meraviglia . La solleva in aria, sottile,  come un velo da sposa e dopo averla massaggiata in un divenire dalla vita verso l’alto, come in un esercizio in palestra, l’avvolgeva repentinamente intorno al matterello. Poi con un colpo deciso, come se stesse sfoderando una spada dalla sua custodia, l’adagiava al centro della spianatoia.

 Il coltello, che tirava fuori dal marsupio del suo grembiule, decapitava testa e coda l’impasto cilindrico.  Proseguiva, poi in tagli diagonali perfetti, magistralmente tutti della stessa misura.

Le mani , smatassavano fra l’indice e l’anulare le strisce di pasta, per riavvolgerla in piccoli nidi, spolverati dalla farina di semola.

Così le un’ si attaccano!!

La domenica mattina avrà per molto tempo l’odore e il sapore di questo Sugo , sopratutto quando arrivava il momento dell’assaggio.

Ora vi parto una fetta di pane co i sugo, così vu sentite come l’è venuto!

Tonio, un esagerare,  sennò un mangiano nulla a tavola !!

Questa magia , si è interrotta poco prima della sua morte e le domeniche mattina si sono mescolate con altri odori, sapori e voci. Hanno seguito altri ritmi, esigenze e modalità.

Ma quando ripenso al suo sugo, mi ricatapulto indietro di  almeno 50 anni e mi sembra così strano che  tutto questo tempo sia volato così veloce.

Mi sembra ancora più strano, che al solo ricordo,  possa sentire nella mia bocca ancora il sapore preciso di  quel sugo, di quell’atto d’amore costante e generoso.

Le mie papille sentono ancora la ruvidità aggraziata di quella carne, che riempiva la bocca, che esalava quel profumo dalla fetta di pane, che rendeva goduriosi persino gli occhi.

Le dita leggermente unte, profumavano di sugo e lei ancora riversa sulla spianatoia…..Pippa un te lo strofinare addosso, sennò la tu mamma quando la torna e la comincia a bociare!!

Se tu sapessi dove sono stato, alle saline dove fanno i ssale, se tu sapessi come so salato….

Caffè sognato

Tra sogno e realtà – di Tina Conti

Non finiamo mai di conoscersi, mi chiedo che  fase sarà questa?

Non avevo mai avuto sensazioni di questo tipo. Ormai mi sono già capitate due volte.

Al mattino mi stiracchio nel letto, faccio qualche esercizio di stiramento  e comincio a farmi la foto della giornata. Naturalmente nei programmi ci sono  prima le cose belle. Poi, quelle noiose, spesso queste passano avanti e non  lasciano spazio alle altre che pero’ inseguo senza mollare e tirate da una parte all’altra poi arrivano. Mi e ‘capitato che mentre aspetto il momento per alzarmi  sento profumo di caffè, sorrido:  E’ Paolo che ha già preparato la nostra calda colazione, posso restare ancora qualche minuto, cosi trovo tutto pronto! Che  piacere il caffè la mattina, mi piace quasi piu il profumo che la tazza, il profumo si spande,addolcisce il risveglio, scalda la casa, spinge a ricominciare bene un  nuovo giorno.Mentre mi avvicino alla cucina però mi rendo conto che  è vuota. Nel bagno frulla  l’asciugacapelli, esce vapore dalla porta che si apre: -prepari tu oggi? Io devo portare i bambini di Sara a scuola.

Ecco, ero sicura …ma cosa ho sentito? mi è venuta anche fame..

Mi e successo anche qualche giorno  dopo: odore di pane arrostito, quello che non ci facciamo mai mancare la mattina, io con yogurt e miele, oppure pomodoro e olio, lui  rigorosamente con le nostre marmellate.

Anche questa volta non ho avuto dubbi, avrei gustato il mio pane con la ricotta della Maria e sopra un filo di miele agli agrumi comprato al mare.

Si, il pane mi consola, quello della mattina, caldo e arrostito…Lo sbocconcello appena levato dalla griglia, lo ascolto dentro la bocca, peccato che non ne possa mangiare a volontà. Con l’olio nuovo e le noci, con i pomodori dell’orto, con il miele.

La mia colazione  è con il pane, mi attraggono tanto le belle colazioni fatte di mille cose in albergo, ma se non mangio un po’ di buon pane mi sembra che mi sia mancato qualcosa

Ora poi, lo mangio due volte, in sogno e nella realtà.

Pan cotto

U pan cott – di Carmela De Pilla

(Foto di Carmela De Pilla)

-Carmela andiamo a raccogliere la verdura che oggi voglio fare “u pan cott“.

Mi piaceva ritornare alle abitudini  familiari, dopo un lungo periodo di lontananza tornavo a casa quasi a voler affondare ancora di più le mie radici nella terra dove sono nata e quel frugare tra l’erba,  prendere quella giusta per poi avere il consenso di mia madre mi faceva star bene.

Il ricordo è ancora vivo, quei gesti semplici, quasi atavici  mi portavano in un luogo in cui il tempo veniva gustato lentamente, tutto senza fretta, quasi fosse un rito, nel silenzio di quella terra rossa aspra e altrettanto generosa.

Arrivati a casa con il cesto pieno di cicorie, borragine, cicerbite, aspraggine mia madre mi assegnava il compito di sbucciare le patate o l’aglio e si creava tra noi una complicità nascosta.

Come spesso accadeva nelle realtà contadine, questo piatto era nato dalla necessità di usare il pane raffermo sapientemente unito alla verdura, alle patate, a qualche pomodoro, all’aglio e alla cipolla. La semplicità degli ingredienti era arricchita dalla destrezza delle donne che dovevano buttare in pentola il pane tagliato grossolanamente al momento giusto, lo lasciavano insaporire con gli altri ingredienti quel tempo necessario perché non fosse né troppo molliccio né troppo duro, q.b. si direbbe oggi, quel tempo che solo un’esperta sa definire.

In quel momento mia madre si sentiva la protagonista di un grande evento, molto dipendeva dalla sua maestria, scolava il tutto e poi lo versava in un grande piatto di coccio, quelli puglesi con i fiori blu o verdi, poi l’ultimo tocco, un fiume di olio doveva condire il tutto, una mescolata e pronti a gustare il capolavoro.

-Questa volta ho messo anche le fave,” è cchiù fin”, diceva mamma con orgoglio.

In quel momento il silenzio avvolgeva la famiglia e il palato, unico protagonista, gustava ogni ingrediente che mescolato all’altro dava vita a un nuovo sapore, la cremosità e la dolcezza delle patate si appiccicava all’amarognolo delle verdure e uniti dall’olio vellutato e pizzichino, se era nuovo, recava un piacere condiviso e, come in un grande lavoro di squadra, ogni ingrediente dava il meglio di sé.

Si mangiava lentamente perché quella mescolanza di sapori così diversi tra loro lasciasse in bocca un piacere quasi sensuale, segno di vita.

Mamma non c’è più da anni, ma noi ogni volta che d’estate ci incontriamo nella casa al mare e festeggiamo la giornata “du pan cott” con tutti gli amici sparsi un po’ per l’Italia, proprio come una volta ci riuniamo e ridiamo vita a un pezzetto delle nostre radici.

 Ognuno di noi si dedica a fare qualcosa con lo stesso amore e la stessa complicità, chi pulisce le verdure, chi sbuccia le patate, chi sta dietro al fuoco e tra un racconto e una canzone si sente nell’aria un soffio d’amore che lega ormai più generazioni.

-Chiara, Camilla, venite a raccogliere la verdura che oggi voglio fare “u pan cott”.

Caffellatte

Caffellatte – di Carla Faggi

Mi sono alzata tardi come al solito sciacquatina in bagno gorgoglìo del caffè ancora assonnata un po’ di latte ed un biscotto ho mille cose da fare!

-Un momento, ma così non va bene!- Ricominciamo da capo!

…preparo il caffè…che profumo particolare ha la polvere del caffè, non è acuto ma arriva direttamente dal naso alla fronte in maniera larga e polverosa. Chissà come sarebbe appena macinato? Vabbè, mi accontento!

-glu glu glu frish gorgoglia la caffettiera! Il profumo ora è diverso, più diretto, ti arriva da lontano, ti avvolge e sembra preciso ed incisivo.

Il caffè mi piace caldo, amaro ma solo un piccolo sorso.

Porto la tazzina alle labbra, lo sorseggio, il suo sapore tocca solo la punta della lingua, non arriva al palato, ne sento tutto il suo carattere.

Poi ci aggiungo il latte caldissimo nel bolo grande.

E qui comincia l’estasi!

Prendo possesso del bolo con le due mani, sento tutto il suo calore, lo avvicino alle labbra, soffio d’istinto ma non ce ne sarebbe bisogno, un piccolo sorso per farlo durare più a lungo. Sono le labbra gli attori principali perchè se il caffè veniva gustato sulla punta della lingua, il caffellatte lo prendi con le labbra, quasi un bacio d’amore, ti arriva e ti riempie la bocca, ti travolge al tuo interno, sembra riempirti di benessere, eppure era un piccolo sorso.

Poi arriva il biscotto, o pane e marmellata, però tutto religiosamente intinto, lo immergi in quella delizia calda, lo raccogli inzuppato di cremetta biancastra, è diventato un boccone tranquillo, di quelli che rassicurano.

Poi un sorsettino di caffellatte, non c’è nessuno, lo gusto associato ad uno splendido suono obbrobrio del bon ton ma così soddisfacente.ah! Che piacere.

E’ rimasto ancora del caffellatte, vorrei continuare a gustarlo lentamente, ma non posso, ho bisogno di essere travolta dalla sua interezza. Lo bevo tutto. Che bella giornata!

Fette di nostalgia

Nostalgia a fette – di Stefania Bonanni

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Mi si è rovesciata addosso una nostalgia così spessa che  avrei potuto farne delle fette e riempire dispense. Non era solo pensiero, era proprio materia nello stesso tempo dolce e unta, mi ha sommerso e ricoperto. Deve sentirsi così un’acciuga sott’olio, che conserva il senso di se’, anche a prezzo di aver cambiato liquido. È stata una vecchia foto arrivata sul telefono in seguito ad un giro inatteso, una foto che non conoscevo che lo ritrae giovane, in primo piano, tra i suoi amici, con l’espressione strafottente di giovane uomo bellissimo e consapevole, che ha avuto sempre, o quasi sempre. L’uomo più bello che abbia visto. Innamorato di me. Diceva che quando ridevo cambiava il suo mondo. Nessuno ti ama più in modo così totale, nella vita. Poi si rimane lì,  Comunque pieni, ma svuotati, ad aspettare un ricordo, a bere parole preziose,  quando capita che qualcuno ancora racconti pezzi di vita di un tempo, e lo ricordi. In pescaia, in fondo, con i piedi nell’acqua, la canna da pesca retta con la mano destra e protesa sull’acqua. Da lontano, si vedeva anche dalla strada della Nave a Rovezzano, sembrava una sentinella. Credo si potrebbero contare sulle dita, i giorni in cui non è andato all’Arno. Aveva la pelle scura dei renaioli, con il colore che regala il sole sull’ Arno, che ci tenevano a far sapere non fosse banale abbronzatura di mare. Era piuttosto appartenere a quel pezzo di mondo, avere addosso quell’odore di muschio secco, aver consumato quelle pietre che sono diventate lisce come fossero ricoperte di seta. Sono stata seduta li’, di recente, e lo ritrovo intatto, negli occhi e nel pensiero. Poi, di notte, conto quanti anni sono. Tantissimi, la metà dei miei. E nasce la nostalgia.  Che non è tristezza e neanche rimpianto. Piuttosto consapevolezza di aver avuto tanto, di aver avuto amore eterno, che gli anni non basteranno a dimenticare, e voglia e bisogno fisico di una mano sulle spalle. Allora , nel silenzio, ti penso, ti chiamo perché ho bisogno, e a volte ti sento. Ho bisogno di silenzio, e spero di sognarti.

Pomodoro e cioccolata

ROSSO POMODORO – di Simone Bellini

Domani sveglia alle quattro per essere nel bosco quando albeggia.

Funghi che passione !

I preparativi iniziavano la sera prima. Quello della merenda era un rituale che mio suocero svolgeva con sacrale attenzione; le sottili fette di pane venivano bagnate con poca acqua per conservarne la morbidezza il giorno dopo, quindi una strusciata d’ aglio prima di quella del pomodoro che doveva inzuppare abbondantemente la mollica, sale, pepe, pomodoro a pezzettini, basilico, olio extravergine di oliva ed un’altra fetta sopra a sigillare quel prezioso aroma.

Io non sono un’amante del pomodoro, ma rimane indelebile il ricordo quei panini mangiati a metà mattina quando, dopo ore di ricerca, ci accampavamo stanchi all’ombra di stupendi altissimi faggi, in quel sottobosco pulito, arioso, con il profumo dei funghi che dava ancor più sapore a quella gustosa merenda ascoltando i mitici racconti dei nostri amici boscaioli che, conoscendo ogni palmo del bosco, ci narravano i suoi segreti; cervi invisibili nella loro immobilità mimetica, serpenti a guardia di funghi permalosi che, se scoperti e non colti, bloccavano a dispetto la loro crescita.

Tornavamo a casa con il nostro bottino di porcini, contenti ma sfiniti. Sulla tavola ci aspettava come ricompensa una succulenta “ Parmigiana di melanzane “. Un piatto per me irresistibile, fatto con tutti i dogmi, dalla lunga preparazione per lo spurgo sotto sale e la seguente frittura di melanzane, la farcitura in teglia e poi in forno.

A causa di questa lunga preparazione le occasioni per farla sono diventate rare ed in più salutiste, perché friggerle appesantisce lo stomaco ed ingrassa, quindi questo passaggio ad oggi viene eliminato.

Infine la sera dopocena per addolcire i programmi televisivi mi concedo un cioccolatino, preferibilmente un “Bacio Perugina”o un “Lindor” o più semplicemente un quadratino fondente:- Svizzero?- Certamente si ! Il Novi lo lascio tutto a voi !!!