La schiacciata con l’uva – di Stefania Bonanni

Ho cominciato a cucinare per Paolo, e con lui ho cominciato a mangiare. Ho cucinato per i miei bambini, e sono stata felice, non contenta, proprio felice, quando hanno mangiato volentieri. Ricordo quando li imboccavo, e Paolo rideva perché nell’avvicinare il cucchiaio alla loro bocca, aprivo io la mia. Quando hanno cominciato a chiedere che rifacessi cose che a loro erano piaciute, quando mettere in tavola la minestra di pane, il lesso rifatto con le cipolle, la schiacciata con l’uva, e’ stata una festa. Allora ho capito la magia del cibo. Che ricordi nei sensi se ne hai goduto in quello che si e’ trasformato in un momento di festa, che e’ una macchina del tempo, quando il soffritto sul fuoco riempie la casa di quelle domeniche mattina nelle quali era l’ora in cui stava per suonare il campanello il signore che portava l’Unità , ed entrava sempre con il fare di uno che ti porta la Verità, la Salvezza, la Possibilità di Capire. E la mia nonna che metteva sulla tavola il suo “Famiglia Cristiana”, come a pareggiare, non si sa mai ci potessero essere cose un po’ spinte, o eretiche.., Mi piaceva tanto il teatrino, la nonna mi faceva proprio ridere. E correva in cucina, perché sempre c’era il sugo che si attaccava. “Allora l’è inutile sia andata alla prima messa, se poi questi scomunicati passano a far perdere tempo all’ora di desinare”. Perché il pranzo della domenica non era cosa da ridere. C’era la pasta a sugo, l’arrosto morto (questa cosa mi ha turbato per un po’, terrorizzata dalla possibilita’ che un giorno facessero quello “vivo)”, a volte c’era anche il dolce, ma solo se era la domenica giusta. La domenica delle palme c’erano le frittelle, come per San Giuseppe, per carnevale la schiacciata alla Fiorentina, a settembre la schiacciata con l’uva. Poi c’erano compleanni nei quali il festeggiato poteva chiedere il suo dolce preferito, per esempio l’Otto dicembre, per il mio babbo, la nonna faceva sempre i cenci. Pero’ guai a pensare di fare le frittelle in altro momento… impossibile, diceva la nonna sarebbe andato a male l’impasto, sarebbero venute così cattive da dover essere buttate. E per me sono rimaste scadenze, tradizioni, scandiscono il tempo e le stagioni, aiutano a essere di nuovo li’, a raccontare a chi non c’è, a parlare di chi ci ha voluto bene, festeggiandoci con un dolce. Il momento che mi piace mantenere e’ il pranzo della domenica. Capita di rado che di sia tutti insieme, ma io penso al “desinare” anche se siamo io e Paolo soli, e l’ho fatto sempre, e sono stata presa in giro. Ridevano molto quando mi affannavo a cucinare, e poi c’era chi arrivava piu’ tardi, chi andava via prima, chi non c’era….ed io comunque all’ ora di pranzo di domenica mettevo in tavola le lasagne e l’arrosto, e spero che l’abbiano imparato, che e’ importante festeggiare il cibo, la famiglia, il tempo che passa e si ferma, nei gesti antichi. Credo di non aver davvero mai goduto di un cibo per se’ stesso, ma del momento di cui e’ stato pretesto. La cosa che più mi riporta la mia mamma è la schiacciata con l’uva, che mi è sempre piaciuta tanto, fatta come la faceva lei. Da bambina inappetente e che, oltre a non mangiare nulla, non mangiava dolci, la scoperta che quella schiacciata la mangiavo, fece si che diventasse una presenza assidua sulla nostra tavola. Non dimentichero’ mai, anche perché lo riproduco sempre, quello che e’ il profumo del ramerino che soffrigge nell’olio con lo zucchero e gli anici, che ora si chiamano anici, ma un tempo si chiamavamo anaci.. Poi si impasta, poi ci si mette l’uva nera e si continua ad impastare, ed i chicchi si schiacciano, esplodono, lacrimano gocce rosso scuro che colorano la pasta stesa cone una tela bianca , e si continua a riempire di chicchi, non devono restare macchie bianche….E poi con i palmi delle mani si schiaccia, si spiaccica, si uniforma e compatta, non so se alla ricetta sia utile, di certo è un gran divertimento. Con Leo si sono trascorse ore piene di risate. Lui dice che l’uva si trasforma, diventa uvetta quando è cotta, e che quando aprirà un ristorante, metterà la schiacciata nel menù. Quel profumo resinoso, insieme dolce e persistente, oleoso ma fresco, rimane sulla pelle. Dando un morso alla schiacciata, prima respiro fino a riempire la mente, riconosco e resuscito abbracci morbidi e stretti, amore soffritto, promesse di attimi eterni. Poi, il morso dolce aumenta la salivazione, è l’acquolina in bocca, nasce la lotta tra il desiderio di masticare piano e rendere giustizia ad ogni boccone, e la voglia di mangiare tutto e subito, fosse possibile in un boccone solo, nel tentativo di essere riempita in tutti gli angoli, in tutte le curve, in tutti i nodi nei quali si corre il rischio che non arrivi. Pane e vino, alla fine è quel pane e quel vino lì, per me. Che ti rimane accanto e nutre, e non solo il corpo.
Meravigliosa pagina. Da qualsiasi punto parta Stefania riesce a raccontare sempre tutta una vita, tutto un mondo, che appare vivo in un lampo davanti a noi.
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Un’ esplosione di gusto, di colori, di amori, che non finiscono mai, anche quando non ci sono più, una famiglia che ha creato altre famiglie, con un filo conduttore …che spesso profuma di schiacciata con l’uva…. e di tante altre cose….
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La cucina e il cibo son quadri di vita vissuta.Non era male il tempo che abbiamo attraversato scandito dai piatti che ricordi.
La schiacciata con l’uva la faccio diversa..leggendo mi ha fatto venire l’acquolina in bocca pure la tua.
Bella pagina.
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Bellissimo racconto Stefania, ricco di affetti, di sapori, di profumi, di vita passata e presente. Fortissima la tua nonna in uno spaccato così reale fatto di Famiglia Cristiana, L’Unità e il ragù. E fortissima tu.
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Un canto corale in cui affetti e sapori si mescolano dando vita a un’armonia familiare, bellissimo brano
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la vita che scorre nelle famiglie tramite il cibo.bello
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Il racconto di una vita che trascorre in modo semplice ma profondo e dolce come la tua schiacciata.
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In questa schiacciata con l’uva c’è il sapore dell’amore, il far da mangiare soprattutto per gli altri e poi condividerlo, che si tramanda di generazioni in generazione. Una descrizione molto intensa e bella. Brava Stefania come sempre riesci a coinvolgerci.
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