Gli “gnudi”

Ravioli gnudi – di Luca Di Volo

Foto di Hans Braxmeier da Pixabay

Un turbine di odori, profumi, sapori mi aveva riempito a quella vista. Parevano irradiare dagli stessi muri  che in un tempo lontano li avevano assorbiti, restituendoli generosamente a chi avesse saputo coglierli.

La casa in cui per tanti anni avevo vissuto mi dava, a suo modo, un caldo benvenuto. Con stupore mi accorsi di quanto forte potesse essere la sfilza d’immagini provocate da un solo sguardo: una tirava l’altra e via. . e via…come le ciliege da un unico ramo.

Ma il primo a comparire fu, struggente e travolgente, il ricordo dei piatti che lì mia madre preparava.

E uno su tutti, quello che tramutava in gioia anche le giornate più tristi. Sto parlando dei “ravioli”, quelli che sono fatti solo dagli spinaci e dalla ricotta . . e da qualche altro ingrediente che non ricordo più…. so che il nome ufficiale è quello di “ignudi”…ma forse quello completo è “ravioli ignudi” . . cioè quelli privati della pasta che li ricopre. . Chissà, forse a quell’epoca non pareva bello parlare di “nudità”. . e così. . ”ravioli” e basta.

Ma, qualunque sia il nome, non ho mai dimenticato che una delle prime scoperte dei piaceri della vita era stata l’affondare sulla lingua e lo sciogliersi di quel sublime impasto.

Altri piaceri poi sarebbero venuti, forse più forti . . ma quel cibo aveva diritto alla primogenitura. Anche perché, con l’orribile vecchiaia, la folla delle cose da godere si dirada sempre più ma quelle legate al cibo sembrano molto più durature e ancora mi accompagnano.

E trascinate dal  magico filo dei ricordi, altre sensazioni mi riempiono. Il calore della cucina, il volto dei commensali, alcune facce rosse come il fuoco per il cibo e per il vino, il fumo che si solleva dai piatti. . e prima ancora le piccole mani della mamma che impastavano prima di gettare l’impasto nell’acqua a bollore…

E per quanto abbia girato per il mondo anche assaggiando e riassaggiando lo stesso piatto, quell’inesprimibile piacere goloso non si è fatto più sentire. Era fatale. . doveva essere così…ma saperlo non mi consola.

Se per caso, per un puro caso, lo ritrovassi…mi cadrebbe di dosso tutto il fardello degli anni…dei troppi anni di cui sono carico.

E come vorrei che ancora quelle piccole mani fatate me lo servissero…

Pane

Il Pane – di Patrizia Fusi

Mi accompagnava tutto il giorno, dal caffè della mattina fatto con il surrogato della vecchina, perché il latte non c’era quasi mai, a pranzo a cena e a merenda.

Ricordo con piacere la minestra di pane che faceva la mamma e un sapore che non sono più riuscita a riprovare.

Il profumo che la domenica mattina si sprigionava nel piccolo appartamento dal grosso tegame con dentro il sugo di carne assieme alle braciole, la golosa fetta di pane con il sugo bello rosso intenso che la mamma ci dava a metà mattina.

Tutte le varianti delle merende, olio, pomodoro, frutta di stagione, zucchero e vino, più raramente marmellata e cioccolata.

Mangiare col pane mi permetteva di far durare di più la pesca o qualsiasi altro frutto gustandomeli più a lungo.

Con le restrizioni attuali mi sono resa conto che mi manca accudire ai miei cari cucinando per loro e la mia “copertina di Linus” è ancora il pane, con il pomodoro o l’olio o altro …….come da piccina.

Cacciucco alla livornese

Rosso profumo di buono – di Gigliola Franceschini

Foto di akiragiulia da Pixabay

Non e’ un primo e neppure un secondo, e’ un piatto unico buono non solo come cibo ma anche come un colorato mezzo per stare in compagnia, vivere allegramente qualche momento di convivialita’; e’ il re della nostra cucina labronica: sua maesta’ il cacciucco. Ma non uno qualsiasi, quello che faceva mia nonna, insuperabile, un rito da rispettare. La mattina prestissimo arrivava Beppe in bicicletta con due grandi ceste, una davanti e una dietro, si appoggiava al muretto dell’orto e chiamava col suo vocione di baritono stonato. Mia nonna usciva per scegliere tutto quello che le serviva; il pesce doveva essere di varie qualita’, piu’ pregiato ed anche povero. Non doveva mancare niente, neppure i pesciolini spinosi, quelli che  valgono poco ma sono indispensabili per la buona riuscita del piatto. Poi incominciava il lungo cammino verso quella delizia. Nonna non voleva gente intorno quando cucinava, tollerava la mia presenza perche’ ero la nipote di casa, a patto che stessi buona e non facessi confondere. Il cacciucco veniva fatto ogni tanto ed aveva molti estimatori oltre la famiglia, infatti c’era sempre qualche infiltrato e a volte piu’ di uno. Io guardavo ammirata la bravura di quelle piccole mani che sapevano fare di tutto, specialmente in cucina, non chiedevo niente e cercavo di imparare. Chissa’ perche’, pensavo, nonna metteva un peperoncino intero infilato con uno spaghino, nel sugo bollente e ad un certo punto lo toglieva. Seppi in seguito il perche’,  bastava l’ombra del pizzichino. Il tutto cuoceva in un grande tegame di alluminio, molto capiente perche’ il cacciucco era sempre tanto, profumato, di un rosso intenso, una delizia. Non sono mai riuscita a ripetere quel ben di Dio, nonostante avessi visto i vari passaggi, mancava sempre qualcosa. Forse nonna aveva un piccolo segreto ma non ho mai appurato se fosse vero.

Ora e’ quasi impossibile fare questo piatto, non si trovano tutti i pesci necessari, mancano i pescetti da poco ma tanto saporiti e manca tanto altro. Manca nonna col suo mestolone che faceva le porzioni per tutti, senza parsimonia. Mancano le persone intorno al grande tavolo di marmo della cucina, manca il vino aspretto della nostra campagna, dopo che le vigne hanno ceduto al cemento. E manca Biagio, il gattone rosso che in quei giorni particolari, si sdraiava sulla soglia della cucina e aspettava paziente e sornione il suo turno per mangiare gli scarti e bisognava tenerlo d’occhio perche’ , ladro com’era,  avrebbe fatto in un baleno a prendersi i bocconi migliori. Ci dobbiamo accontentare di discrete zuppe di pesce, sbiadite, come sono, niente da paragonare al profumo di quella zuppiera enorme che portava il mare in tutta la casa.

Frittatine

Frittate a pomodoro – di Rossella Gallori

foto di Rossella Gallori

Mi addormentavo nel” lettone” cullata dal profumo della salsa di pomodoro… dopo cena cucinava con rabbia, la rabbia della stanchezza, dell’incertezza.

Chiudevo gli occhi con il rumore dei mestoli,  dei coperchi, con quel “passino” che, se non cadeva, urtava contro qualcosa che faceva cadere qualcos’altro…mi addormentavo con il profumo del basilico, certa di risvegliarmi con i soliti coriandolini rossi sulle piastrelle…le domande non erano ammesse, c’era sempre un motivo al suo “ casino culinario”  leggevo, la fiamma era troppo alta, mi davo lo smalto, ascoltavo la radio…..non ci ho mai creduto, ma guai a dirle: eri stanca mamma? Non lo avrebbe mai ammesso…io la immaginavo addormentata su quel tavolo di marmo di un rosso strano, mentre la salsa  di un rosso deciso, si trasformava nei “fuochi di San Giovanni“.

All’ alba, l’opera veniva completata, nascevano…così quelle che un nome certo non ce lo avevano…erano a seconda dell’umore e delle stagioni: frittatine trippate, tagliatelle finte, frittate a sugo…

 Ricordo tutto così bene che ora mentre scrivo rivivo, quei giorni semplici fatti di ciò che resta, che sapevano poco di futuro, ma tanto di amore….entravo in cucina e la semplice magia arrivava , l’oro delle frittatine, brillava, nella padella nera …poi c’era il percorso …dagli occhi colpiti dall’ abbondanza, al naso…che curioso svolgeva il suo ruolo indagatore, per scendere alla bocca ancor prima di averle mangiate ne sentivo il sapore, percorrevano la gola le succose strisce bionde, per arrivare al cuore….al cuore..

….dove si sono fermate, dove sono rimaste, strano avere nel cuore frittate….troppo banale avere ventricoli .  …si mamma sono qui con me sanno di te, del tuo cibo consolatorio, che doveva essere tanto e ben sistemato, anche se modesto, trionfava sempre una grassa foglia di basilico, nel cratere delle nostre tagliatelle finte….ricordo come le dividevi nei piatti piani, sembravi pesare con gli occhi…poi sbagliavi e preparavi  un piatto in più che ormai non serviva… ti scendeva una lacrima…forse…ma non l’ho mai voluta vedere..

Ed ora mi ritrovo qui a cucinare per le mie figlie, che vivono da sole da anni e che sanno cucinare molto bene…ma spesso me le chiedono per farmi contenta, perché sanno che per me è un modo per ricordarti,  forse una ninna nanna che mi culla tra uova, latte, farina, parmigiano….e salsa di pomodoro…tanta salsa…

Hai sempre esorcizzato tutto con il cibo mamma, poche carezze, forse, ma cibo si…perché era un traguardo…un successo che la fatica ti regalava e tu lo regalavi a noi….anche se ho sempre pensato che  ai miei fratelli ne davi di più…gelosa sempre anche ora….gelosa di una ricetta che non c’ è dal quantitativo mai ben definito…di un piatto semplice banale da mangiare lentamente, come si recita una preghiera che hai dimenticato di insegnarmi, …caldo d’estate, tiepido a primavera, morbido, semplice, colorato nel suo giallo/rosso decorato in verde, un cibo che parla di noi, preparato nelle prime ore del giorno ..come facevi tu, come faceva tua madre, come faccio io…

Ps: ti sento sai mamma: troppo alte…troppo cotte…poco formaggio…troppo ..e la salsa? Più larghe… più strette….

Il tocco di Lorenzo

Un tocco leggero – di Lorenzo Salsi

Foto di campellif da Pixabay

Eravamo seduti uno di fronte all’altro. Si rideva di qualche mia cazzata o qualcosa di strambo che mi era accaduto, mi accade sempre qualcosa di strambo. Uno di fronte all’altro, non accanto come alle elementari o al liceo. Era molto che non ci vedevamo e di fronte ad una pizza e una buona birra, i discorsi erano fluenti e piacevoli, insomma a quasi 60 anni ci si divertiva, eravamo spensierati. Quando, io dando le spalle al resto del locale, mi sento toccare in modo deciso ma delicato, un tocco di bambino. Alessandro mi fa cenno con la testa di girarmi e mi trovo faccia a faccia con uno dei bambini più belli del mondo. Il suo sguardo sembra vuoto, poi, mi lancia un sorriso di gioia, forse speranza. La mamma che spinge la sedia con le ruote fa l’atto di allontanarlo, la fermo. Il bambino di circa 7 anni vive su quella sedia dalla nascita. Non so che problemi abbia, almeno non conosco la sindrome, il nome scientifico della sua malattia. So solo che mi ha toccato con la sua mano contorta, che muove a scatti, che mi chiama col tocco perchè lui non ha parole, non può averle, temo non le avrà mai. Quel tocco è una voce, non un grido o un urlo ma un bisbiglio dolce e sonoro. La madre mi dice “ E’ strano, lui non tocca mai nessuno, non si permette “ “Lo lasci fare non mi da fastidio tutt’altro, è così delicato “. Lui continua a sfiorarmi . Intanto la serie di sorrisi si prolunga. E’ bello veramente bello questo bimbo, è allegro anche , glielo dico ed i suoi movimenti si fanno più scattosi, quasi si alza dalla sedia, fa muovere le ruote avanti e indietro, la madre fa fatica a tener ferma la sedia. “Diglielo al signore dove siamo stati? Siamo stati a Genova” . “All’acquario?” domando a lui. Il bimbo si muove ancor di più. “ Non sono un signore , sono Lorenzo “ dico al bimbo, “Io sono Leonardo (ndf)” dice la mamma. Leo mi tocca ancora come se fossi qualcosa che potrebbe sciupare, eppure mi vede son alto e grosso, son a mangiare una pizza con Ale dopo l’allenamento di rugby ( il campo è lì accanto). Eppure Leonardo mi tocca con movimento gentile e misurato, come se quella mano non fosse affetta e sorride. La mamma è stupita. Chiedo se gli è piaciuto l’acquario, lui muove il tronco con un vigore che fa fare un giro completo alle ruote indietro e avanti. La mamma “ Siamo stanchissimi, lui ha guardato tutto, è saltato su questa sedia un migliaio di volte, penso sia sfinito”. Si indovina la stanchezza il quel corpicino sfortunato, con un destino che ha cambiato sentiero all’improvviso, facendo diventare difficile una vita semplice. Si vede però anche la gioia e quel volerla trasmettere. Quel tocco delicato, confidenziale. Quel chiamare senza parole. Quel linguaggio fisico, dolce come una carezza ad un fiore ha fatto incrociare il suo ed il mio amore come fossimo dita intrecciate. Amori durati attimi, attimi come regali, attimi di strepitosa gioia donatami con quei tocchi piccoli, controllati della sua malferma mano. “Che bello che sei Leonardo, che bello che sei “

Rosso e cioccolata

Rosso e cioccolata – di Vanna Bigazzi

Foto di congerdesign da Pixabay

Riesco a gustare la cioccolata nello stesso, identico modo di quando ero piccola: sensazione totalmente appagante. Allora venivo spesso sgridata o perché finivo troppo in fretta l’uovo di Pasqua o perché, anche se ben nascosto, riuscivo sempre a trovare l’oggetto del desiderio. Chiaramente ho associato questo gusto alla “trasgressione” ma anche al “piacere”, da cui: ”Si trasgredisce per provare piacere”. Questa formula è stata adottata da molti nel corso dei secoli…Ancora oggi mi soffermo a riflettere con appetito sulla  meravigliosa “scioglievolezza di Lindor” o  in modalità meno raffinata a un cucchiaino stracolmo, grondante di sinuosa Nutella.

Anche il colore rosso è trasgressivo e per quanto mi riguarda si associa benissimo alla “cioccolata proibita”, è trasgressivo perché si fa notare prima di tutti gli altri colori, ruba la scena, si impone a dispetto di quelli più timidi. In confidenza, un po’di rosso farebbe bene a tutti, senza esagerare però, altrimenti si potrebbe innescare la “prepotenza“. Ho sempre pensato che i narcisi avrebbero dovuto nascere rossi.

Uova al pomodoro

UOVO AL POMODORO – di Sandra Conticini

Foto di DanaTentis da Pixabay

In estate è il mio cibo preferito: l’uovo al pomodoro.  Quando tornavo dalle vacanze spesso la mamma mi chiedeva cosa volevo mangiare, io non avevo dubbi e a lei, con tutti i piatti che avrebbe potuto preparare, le sembrava troppo banale. Solo al pensiero di poterlo mangiare mi veniva l’acquolina in bocca. Prepararlo era una specie di rito. Comprava i pomodori San Marzano maturi, li sbucciava, toglieva i semi, li tagliava a pezzettini, aggiungeva le foglie di basilico fresco lo metteva sul fuoco in una padellina, sempre la stessa, smaltata bianca e verde, aggiungendo un po di sale. Quando il pomodoro era cotto aggiungeva due uova e dopo qualche minuto la padellina era in tavola insieme allo stinco di pane uscito dal forno poche ore prima. Che soddisfazione sentire il sapore delle cose genuine e, anche se era un  piatto semplice, aveva il sapore dell’amore e del sacrificio. Dopo aver ripulito bene la padellina, che poteva anche non essere lavata, mi sentivo proprio soddisfatta ed appagata.

Anche ora capita che faccio l’uovo al pomodoro ma è una cosa molto diversa. Innanzitutto nonostante gli ingredienti e il procedimento sia uguale il sapore è diverso, poi  lo faccio poche volte, perchè ci mangio troppo pane, il sugo fa male, così quando arrivo in fondo mi sento un bel senso di colpa.