La scatola di foto di Carmela

Era tutto lì – di Carmela De Pilla

Foto di Melk Hagelslag da Pixabay

Chissà perché quella mattina Maria si era alzata all’alba.

Nella notte si era girata e rigirata mille volte senza nessun motivo apparente poi, stanca, alle sei  decise di alzarsi.

Aprì appena lo scuro della finestra e intravide il bagliore del sole che indisturbato dava vita a un nuovo giorno, aveva un vestito dai colori tenui in quell’alba rassicurante, Maria ne provò un’attrazione speciale e pian piano ritrovò la pace.

Senza uno scopo preciso andò nello studio, si guardò intorno, ma cosa ci faceva in mezzo alla stanza alle sei del mattino? Lo scoprì quando rovistando fra i cassetti della libreria si ritrovò tra le mani una vecchia scatola di latta un po’ arrugginita e imbrunita dal tempo con l’immagine di una bella bambina che mangiava un biscotto.

Si ritrovò sul tappeto a gambe incrociate e come ipnotizzata guardò il contenuto, c’erano pezzetti di un puzzle che lei conosceva bene, alcuni erano sgualciti o sfocati altri ingialliti e sbiaditi, ma erano vivi, frammenti di un passato ancora confuso, caotico, a volte doloroso altre volte raggiante, erano lì, alla rinfusa, li guardò con occhi innamorati e  annusò l’odore del tempo imprigionato in quella vecchia scatola.

Era forte il bisogno di rovistare in quel passato,  le piaceva rimettere ordine agli eventi, in fondo quei ricordi che negli anni si erano un po’scoloriti raccontavano la sua storia e ogni volta le ritornavano alla mente con prepotenza.

Il sole era già alto, fece capolino dalla finestra semiaperta quasi volesse sbirciare tra i ricordi di Maria, ma lei ne era molto gelosa e accostò la finestra per piombare nella penombra della stanza.

Era tutto lì.

La foto dei suoi genitori ancora giovani desiderosi di una vita migliore, quella della sua prima comunione, sembrava già una ragazza in quel vestito da sposa prestato da una sua cugina e adattato a lei per l’occasione, percepiva ancora la stessa sensazione di imbarazzo, quasi di vergogna mentre camminava per le strade festose del paese.

E cosa dire dei due braccialetti che ricordavano la nascita delle sue splendide figlie? L’avevano aiutata a crescere, ad amare…

C’era anche la foto di suo fratello che ancora giovane aveva deciso di abbandonare la vita pensando forse di ritrovare la pace nell’oblio della morte.

E poi quel quadernino rosso.

Aveva l’abitudine di pressare tra le pagine dei libri i fiori, quelli che le avevano lasciato un’impronta dentro e li incollava in quel vecchio quaderno, per ognuno un pensiero dell’anima.

Il rosso del papavero, il viola della pansè, il rosa della peonia, il rosso della rosa…petali come ali di farfalle volavano tra le pagine e si mescolavano ai suoni e agli odori delle parole, i colori avevano perso i toni intensi di un tempo, ma imprigionavano nei petali le antiche emozioni e lei si incantava nel frugare con un po’ di malinconia nel suo passato.

Era tutto lì.

 In ogni cosa c’erano i colori della sua vita.

La pianta fotografa

La pianta fotografa – di Stefania Bonanni

Foto di Mabel Amber da Pixabay

Vive davanti alla finestra della mia cucina, perlomeno da quando abito qui. L’ho vista crescere, e cambiare,  E anche lei avrà visto gli anni passare su di me, scanditi dalla crescita di figli che un tempo mangiavano nel seggiolone, guardando i merli nel giardino di fronte. Avesse potuto fotografarci, sarebbero state immagini preziose, replicate per fortuna da nipotini che hanno mangiato e mangeranno davanti  agli stessi vetri.

E lei sempre lì,  un po’ nascosta, modesta, invisibile tra rose sfacciate e limoni carichi d’oro.

Dico “lei “, non “lui”, perché mi piace sia una pianta, che non vuol diventare un albero. Una pianta che e’ femmina,  femmina che cambia, come cambia la natura,  come cambiano le donne,  che fioriscono di frutti e si colorano anche quando sono consapevoli di vivere momenti passeggeri di colori altrui, di foglie che voleranno via, e non si sa quanto lontano.

Non è servito, per farsi guardare, vestirsi in maschera, reggere sui rami sacchetti di coriandoli pronti per essere rovesciati su testoline curiose,  sarebbe bastata una ventatina.

Non è servito sembrare un albero della cuccagna, con i rami carichi di lucide caramelle di frutta rosse, gialle,  verdi. Non si sono fermati fotografi, non hanno indugiato occhi stupiti.

Non l’ho davvero vista io . Guardata si, ma non vista davvero. Fino ad ieri. Ieri l’ho “sentita”, direi sentita soffrire. Ho guardato bene ed ho colto  il momento magico ed irripetibile,  perlomeno per questa stagione della nostra vita, nel quale le era rimasta una sola, tremolante,  fogliolina, sul ramo più alto e più  esposto al vento. Era tutta tesa la madre, con rami come mani nervose che, rivolte al cielo, se avessero potuto si sarebbero strette a protezione,  ed invece riuscivano solo a salutare, e a pregare. Perché  la vita va, e cambiano le stagioni, e poi cambieranno ancora. Ma io guarderò meglio, e penserò a quell’ultima fogliolina, tremolante tra bisogno d’andare e futuro incerto.

Poi, stamani, mi ha svegliato il rumore della pioggia.

La foto di Sandra

Il matrimonio – di Sandra Conticini

Mentre  vuotavo la casa dei miei genitori ecco che mi ritrovai tra le mani due buste vecchie ed ingiallite con sopra scritto “Matrimonio”, erano le foto del loro matrimonio. Le avevo viste poche volte, perché la mamma le teneva nascoste in fondo all’armadio. Lei non si piaceva e le credeva brutte.

Nella confusione di togliere, inscatolare e liberarsi di tanti ricordi erano scomparse di nuovo. Disperata, pensai di averle buttate nel cassonetto e, in una serata piovosa e fredda di novembre, andai subito a ricercarle, ma non c’erano più. Non mi ricordavo di  averle messe al sicuro in un cassetto, perché lo consideravo  un grosso tesoro.

Ogni volta che le guardo vedo in loro la felicità, la semplicità e la bontà, con la quale hanno vissuto tutta la vita e  che mi hanno insegnato ad apprezzare, anche se così difficili da trovare. 

Regalo di Carla alle Matite

E siamo ancora qua, eh già – di Carla Faggi

Oggi c’è il sole, il mondo mi sembra più contento.

Passeggio attorno a casa.

Ma che nomi strani mettevano a questi luoghi:

la voltata di Scani, da Braciola, Calcinaia.

Così li abbiamo trovati e così li abbiamo lasciati, mi è stato risposto.

Chissà chi era Scani? E Braciola? Di loro è rimasto solo il nome, non conosciamo la loro storia, le loro emozioni.

Continuo la passeggiata.

Il vento frescolino mi strapazza i capelli, sono più lunghi del solito.

I ciclamini selvatici mi fanno l’occhiolino in mezzo a foglie colorate trasportate dal vento.

Chissà come li avrebbe descritti la matita dai coloratissimi orecchini, e quante erbette e frutti del bosco ci avrebbe fatto scoprire.

Dopo la voltata di Scani giro verso Calcinaia detta “ i Calvelli” mi immagino la matita omonima sorridere, soddisfatta del proprio casato, non tutti hanno luoghi che testimoniano la propria genia! 

Guardo le colline.

Poggio a i mandorlo, me lo immagino pieno di mandorli, chissà che bellezza, oggi non ci sono più ma un tempo sicuramente ne era pieno, mandorli, elfi, gnomi.

Ah! L’universo femminile! Avrebbe commentato una matita venuta da Firenze ricordandoci quel che Seneca diceva…le altre matite avrebbero sorriso pensando che non potremmo proprio fare a meno di lui!

Continuo verso Vallaghera , che bel lago nascosto e che nome strano, la matita che era rossa ci avrebbe scompigliato con la propria risata, freschissima anche sotto la mascherina.

Proseguo ancora verso La Dorciolina e poi ancora verso la Fonticina degli Sbrentani, la matita dagli stupendi bracciali avrebbe fatto un commento un po’ tranchant, ma tanto non ci frega più perchè l’abbiamo capita tutta la sua dolcezza!

Continuo verso la Fonte al fico, accanto a me la matita che teme di non essere più ballerina, io sento invece che lei è una grande ballerina perchè danza con le parole , con la serenità con cui si approccia agli altri, con la sua capacità di trasformare il suo stare con gli altri in opere d’arte.

Alla matita capo sorriderebbero i suoi grandi occhi marroni, sorriso guidato dalla determinazione e dall’ansia, le sue collane brontolerebbero, dobbiamo rientrare, tra un po’ andiamo a passeggio con le altre matite!

E’ vero, vorrei ci fossero tutte nella mia passeggiata immaginaria con le matite ma poi diventerebbe un assembramento, quindi, alla prossima perchè come canzonetta docet  “…eh già, ma noi siamo ancora qua!”

La foto (da un suo quadro) di Stefania

Ballerine – di Stefania Bonanni

di Stefania Bonanni

Pensieri rossi e gravidi, come pomodori così maturi che si staccano dal grappolo e si spiaccicano intorno velocissimi e impossibili da arrestare, da acchiappare, da rinchiudere in gabbie sicure. E in un attimo lo sfondo è rosso doloroso, come le macchie che non spariscono lavandole, ma si allargano e lasciano di se’ un’impronta piu’ grossa delle dimensioni iniziali. E rossa diventa la quinta di fondo, scenario di una pièce della quale non si ricordano le battute . E’ cambiato il tempo, nei dialoghi. Nel primo tempo il personaggio  dice “imparerò  a ballare”, nel seguito, senza che sia stato evidente il momento in cui è  successo, dice “non ho mai ballato”. È  cambiato  tutto:  da “sarò ” a “sono stata”. Perlomeno essersi accorti….