Viola livido

LIVIDO – di Sandra Conticini

Foto di David Zydd da Pixabay

Anche i lividi hanno un’età, ma nessuno ha la stessa durata.

Eh si, i lividi dei bambini con due lacrimucce e due brontolate guariscono, ma quelli degli adulti sono duri da far sparire! Rimane li sul cuore quella macchia rosa violacea che per anni non puoi toccare perché ti fa troppo male, non ce la fai neppure a parlarne. Quando ti senti meglio pensi che il livido sia sparito, invece ad ogni occasione è li che si fa sentire e pensi che te lo porterai dietro per il resto della vita. Viene  un momento che ti senti liberata e sembra che tutto sia passato, finalmente ci stiamo avvicinando al  giallo!

Foto di Nadia

La vigna d’autunno – di Nadia Peruzzi

Le avevo guardate tante volte in passato.

Le viti sono da anni in quella posizione. A novembre restituiscono agli sguardi di chi passa una gamma che va dal rosso al porpora attraversando il marrone, i gialli, i verdi come se fossero fili di una prigione da cui evadere ,o stadi di una evoluzione da scalare per arrivare a compiere il cammino.

Le costeggia la strada che si fa per andare a Poggio alla croce. Un pugno di case lungo il crinale che separa il Chianti dal Valdarno. La meta era un ristorante di quelli a gestione familiare, dall’atmosfera calda e dal cibo buonissimo. Era d’uso andare li a festeggiare i tre compleanni del periodo. Quello di mia suocera, di mio padre e il mio. Sceglievamo una data intermedia e via.
Nelle giornate di sole lo sguardo si posava sui colori di quei vigneti e ogni volta ne nasceva un impegno.
“Prendo la macchina fotografica e torno uno dei prossimi giorni!”
Ne sono passati fin troppi di prossimi giorni per brutto tempo, per altre cose da fare, per il clima che cambiava, per dimenticanza.
Una delle regole del fotografare è cogliere l’attimo. Ci è voluto un po’ ma quello che era nato come semplice sopralluogo per valutare il da farsi e se ne valesse la pena, è diventato occasione di scatti multipli e incentivo a tornarci il pomeriggio stesso con una amica.
La tavolozza era già cambiata, i frammenti di quello spettacolo della natura già restituivano altro.
L’inclinazione dei raggi del sole e la sua posizione che la mattina faceva rilucere e risaltare di più i verdi e i gialli, nel pomeriggio assicurava un trionfo di rossi.
Il bello è che tornandoci anche la mattina dopo abbiamo potuto verificare un ulteriore cambiamento.
I verdi e i gialli brillavano di meno, i rossi sembravano un po’ più spenti.
La sorpresa iniziale ci aveva forse messo del suo? Erano i nostri occhi ad essere cambiati? 
Forse . D’altra parte è anche vero che tutto scorre, nulla è mai uguale a se stesso tanto più se quello che decide è il punto di vista e l’emozione che ci mette chi scatta una foto.
Milioni di scatti possibili per milioni di occhi che leggono la realtà in modo diverso mentre cercano di fissarla ognuno a suo modo.

La foto di Vanna

Alla ricerca del cielo e del mare – di Vanna Bigazzi


Un altro colore che mi affascina come il viola è il blu intenso che non coincide propriamente con il blu oltremare, comunque stupendo, è simile ma più misterioso. Potrebbe essere un “ ensemble “ fra il blu oltremare ed il blu di Prussia, un blu che esce dagli schemi, la cui profondità entra dentro, in modo assoluto per la sua bellezza e perfezione. Spesso ho pensato che questo colore contenga in sé anche un po’di cobalto. E’ veramente un colore segreto, forse cattura perché irraggiungibile, forse risiede solo nella mia mente. Ho scelto questa foto scattata da me, subito dopo il tramonto, durante una gita al mare, l’ultima della stagione. Ebbene, non è proprio l’azzurro che intendo io, l’irraggiungibile, comunque i colori della foto si avvicinano molto, forse leggermente più scuri.
Sento che nell’immaterialità e purezza del mio colore, è insito un anelito alla perfezione e penso che sia il colore della Felicità, bramata all’infinito e mai raggiunta, nel suo eterno dinamismo, sempre in divenire.

Foto di Cecilia

La mia foto – di Cecilia Trinci

Sembra una tenda di foglie su una finestra immaginaria e dietro, in secondo piano, si vedono altre foglie, ma verdi, perché mi piace guardare il passaggio del tempo. Strati diversi, in sequenza, di foglie che hanno età diverse, alcune fresche, ancora vive e altre più anziane, già arrugginite. E altre sono in terra, non ancora morte, ma diciamo pure esaurite, stanche, alla fine del loro percorso magico. Si vedono anche case, perché ci tengo a raccontare che non sono andata lontano, non c’è bisogno di scappare altrove, ma l’altrove è dove si sta bene, dove si cambia aria, dove le scarpe cantano nei passi leggeri, l’altrove è dietro casa, che vogliamo proteggere senza abbandonare. Nella foto ci sono anche i recinti, le ringhiere di ferro che contengono senza imprigionare, protettive, più che autoritarie.

E poi racconto la forma, quelle foglie dentellate che assomigliano a mani. Mani che accarezzano, che si muovono, che costruiscono storie e immagini appese ai rami, che volano e si lasciano cadere giù, in un volo leggero, allegro anche se l’ultimo. La forma delle foglie secche che ancora non si sbriciolano, ma si impennano nella secchezza delle fibre, si impuntano prima di morire e si raccontano, come rivivendo in un attimo solo, come si dice, tutta la vita passata, nell’ultimo istante.

Colori e ricordi

Viaggio nel magenta – di Mimma Caravaggi

Foto di starbright da Pixabay

Scatole di plastica trasparenti colme di perle dove attingere per formare collane, braccialetti e orecchini da regalare e indossare. La magia creativa di tutte quei piccoli   bijou   in cui affondare le mani alla ricerca di quello giusto per una  collana da costruire. L’orgoglio di vederla poi indossata mi ha aiutata col tempo a superare momenti tristi e a sentirmi in qualche maniera utile. Un colore che è quasi una magia per tutte quelle sfumature che lo rappresentano per me è il magenta. E’ uno dei miei colori preferiti, forse il preferito ma che adopero con parsimonia  per non stancare gli occhi degli altri e anche i miei ma che mi ha sempre dato gioia, spensieratezza, giocosità e anche più inventiva. Nei miei viaggi in Guatemala l’ho riscoperto un po’ dovunque e soprattutto nei tessuti con intrecci di colori a volte assurdi ma con l’onnipresente magenta a dare pennellate di luce ad un tessuto un po’ cupo o anonimo che riacquistava brio e captava gli sguardi di tutti. I mercati erano pieni di tanti colori diversi e brillanti: nelle stoffe grezze era come vedere farfalle variopinte e delicate danzare e spargere nuvolette di colore.

Una volta si raccoglievano grandi mazzi di fiori andando per boschi e si tornava a casa felici pronti a metterli in un bel vaso nel centro del tavolo dove emanavano profumo intenso e rallegravano l’ambiente illuminandolo. Altre  sfumature che donano  gioia le ritrovo nelle peonie in giardino in primavera  quando sono al culmine della stupenda fioritura e   iniziano dal viola fino a degradare in un rosa pallido accompagnate dalle  splendide foglie che dureranno fino all’autunno inoltrato. Infine il magenta scoppia nel rosso, il colore dell’amore per antonomasia e tutta la sua gradazione che puoi trovare in un foulard per ravvivare un esile collo o una giacca, in un paio di guanti o in un mazzo di rose profumate da inviare ad una persona speciale.

Filamenti magenta e indaco

La riparazione – di Laura Galgani

Foto di Arek Socha da Pixabay

Navigava sicura da un tempo non misurabile in quel mare lattiginoso e opaco, denso e tiepido.

Era riuscita senza sforzo a penetrare la barriera protettiva di quel mondo bizzarro, quasi senza luce ma non buio, che sapeva essere la sua meta.

Il chiarore che lei stessa emanava era sufficiente a farsi strada.

Si era appena lasciata passare accanto, senza degnarli di attenzione, come dei

vascelli assolutamente silenziosi, dalla forma affusolata e capiente, carichi di materiali puntiformi. Altri, dalle sembianze di filamenti, la sfioravano appena, senza produrre alcun rumore. Si accorse d’un tratto di essere prossima al centro: un rigonfiamento tondeggiante si sollevava proprio sulla traiettoria del suo viaggio. Era di un bel colore chiaro, luminescente, cangiante a tratti all’azzurro. Si fece avanti decisa, ed entrò senza esitazioni in quello spazio sferico.

Il tuffo fu facile, senza ruvidità. E si trovò davanti ad un sinuoso gigante, morbidamente intrecciato su sé stesso, dai fianchi ondeggianti, ora color magenta ora indaco.

Osservando meglio vide che i due filamenti seguivano un ritmo ben preciso nelle loro fluttuazioni e nel ritmo dell’intreccio. Sapeva però che da qualche parte in quel gigante da sempre c’era una ferita, un vuoto subdolo e pericoloso. Lei doveva trovarlo, o tutto sarebbe stato perso. Diresse la sua luce sui fianchi morbidi e sinuosi del gigante. I due filamenti magenta e indaco danzavano in un intreccio sinuoso e perfetto. Fra un fianco e l’altro delle brevi sporgenze formavano come dei collegamenti fra un filamento e l’altro. Tutto sembrava perfetto.

Ma lei sapeva che non era così, doveva trovare quel punto, quella rottura nell’armonia della danza dei due colori o il suo viaggio sarebbe stato inutile! Si avvicinò ancora un po’di più, poi si fermò. Si lasciò guidare dalla sua forza interiore e dall’amore per quella creatura dentro la quale si trovava. L’intuizione fu immediata, assoluta, lampante. Si diresse verso l’alto, là dove il magenta e l’indaco sfumavano in un morbido abbraccio ma con un’ombra d’incertezza. Si fece piccola, precisa, luminosissima. Si fermò proprio davanti a quell’ombra, a quella irregolarità dell’abbraccio che era all’origine di tutto. Da quella minuscola imperfezione nasceva la malattia di quella giovane donna. Con precisione assoluta si fece scintilla e andò a posarsi su quell’ombra, su quel minuscolo vuoto, e lo riempì. Il DNA era di nuovo perfetto, la malattia sconfitta.