La riparazione – di Laura Galgani
Navigava sicura da un tempo non misurabile in quel mare lattiginoso e opaco, denso e tiepido.
Era riuscita senza sforzo a penetrare la barriera protettiva di quel mondo bizzarro, quasi senza luce ma non buio, che sapeva essere la sua meta.
Il chiarore che lei stessa emanava era sufficiente a farsi strada.
Si era appena lasciata passare accanto, senza degnarli di attenzione, come dei
vascelli assolutamente silenziosi, dalla forma affusolata e capiente, carichi di materiali puntiformi. Altri, dalle sembianze di filamenti, la sfioravano appena, senza produrre alcun rumore. Si accorse d’un tratto di essere prossima al centro: un rigonfiamento tondeggiante si sollevava proprio sulla traiettoria del suo viaggio. Era di un bel colore chiaro, luminescente, cangiante a tratti all’azzurro. Si fece avanti decisa, ed entrò senza esitazioni in quello spazio sferico.
Il tuffo fu facile, senza ruvidità. E si trovò davanti ad un sinuoso gigante, morbidamente intrecciato su sé stesso, dai fianchi ondeggianti, ora color magenta ora indaco.
Osservando meglio vide che i due filamenti seguivano un ritmo ben preciso nelle loro fluttuazioni e nel ritmo dell’intreccio. Sapeva però che da qualche parte in quel gigante da sempre c’era una ferita, un vuoto subdolo e pericoloso. Lei doveva trovarlo, o tutto sarebbe stato perso. Diresse la sua luce sui fianchi morbidi e sinuosi del gigante. I due filamenti magenta e indaco danzavano in un intreccio sinuoso e perfetto. Fra un fianco e l’altro delle brevi sporgenze formavano come dei collegamenti fra un filamento e l’altro. Tutto sembrava perfetto.
Ma lei sapeva che non era così, doveva trovare quel punto, quella rottura nell’armonia della danza dei due colori o il suo viaggio sarebbe stato inutile! Si avvicinò ancora un po’di più, poi si fermò. Si lasciò guidare dalla sua forza interiore e dall’amore per quella creatura dentro la quale si trovava. L’intuizione fu immediata, assoluta, lampante. Si diresse verso l’alto, là dove il magenta e l’indaco sfumavano in un morbido abbraccio ma con un’ombra d’incertezza. Si fece piccola, precisa, luminosissima. Si fermò proprio davanti a quell’ombra, a quella irregolarità dell’abbraccio che era all’origine di tutto. Da quella minuscola imperfezione nasceva la malattia di quella giovane donna. Con precisione assoluta si fece scintilla e andò a posarsi su quell’ombra, su quel minuscolo vuoto, e lo riempì. Il DNA era di nuovo perfetto, la malattia sconfitta.