Dalla mostra di Franco Piri Focardi
Gita al mare:

Marietta col giardino sulla testa:

Dalla mostra di Franco Piri Focardi
Gita al mare:

Marietta col giardino sulla testa:

Le scarpe – di Sandra Conticini

Era la fine degli anni 60. Un giorno, girando per negozi vide un paio di scarpe che potevano andare bene per i suoi piedi particolari. Le guardò, le riguardò. Entrò nel negozio, se le provò, le doveva comprare, erano troppo comode con quella punta tonda, quel tacco piuttosto basso ma non troppo, e poi, anche il prezzo era invitante, essendo le ultime rimaste erano praticamente regalate.
Sua figlia, che era abituata a mettersi le sue scarpe per giocare, le adorava e anche suo marito stranamente non le criticò.
Quando si metteva quelle scarpe le sembrava di volare da quanto erano comode e morbide, tanto che un giorno fu fermata per strada da una signora per complimentarsi della scelta e se fosse stato possibile le avrebbe comprate anche lei.
Erano davvero uniche e insostituibili.
Ma dopo molto tempo che ci volava dentro, in ogni luogo e circostanza, fu costretta ad ammettere che non ne potevano più e che doveva ricomprarle. Si mise in cerca disperatamente. Sapeva che non avrebbe potuto trovare niente di simile. Lei lo sapeva: erano di forma perfetta, comode, eleganti e……quel meraviglioso color fucsia acceso, lo sapeva, non lo avrebbe più ritrovato!
Raggiungere – di Rossella Gallori

Foto di Rossella Gallori
Non riesco a raggiungerti
I ponti sono stati distrutti
Potrei tuffarmi in questa acqua melmosa
Da tempo non nuoto
Prigioniera di una gabbia aperta
Ti tendo la mano dalle vene bluastre
Passa un cappottino rosa senza bimba
Solo due stivalini neri lucidi d’acqua
Un fiore viola galleggia funesto
Ho voglia di te ancora una volta
Un vento leggero arruffa i miei riccioli cenere
Qualcuno canta una canzone di ieri
Sono sola sulla sponda sbagliata
Ho paura
Sulle punte – di Lucia Bettoni
Foto di Lucia Bettoni

In equilibrio sulle punte
balleremo il tempo
a ogni nota seguirà un passo
e ogni passo sarà diverso
Dammi la mano
mi mostrerò tutta
Danza ballerina – di Luca Di Volo

Danza ballerina, danza tutta sola
danza contro il tramonto,
incendio color viola
fuoco rosso arancione.
Di nero vestita
il suono
Dei tacchi risuoni
E desti con rombo di tuono
L’eco di un mondo morente
In gorghi spietati avvinto
Si consuma il tempo, la tua danza
Scandisce il ritmo delle Parche
Che cantando ridono nel fuoco.
Nel ballo, nella delirante frenesia
Con mossa aggraziata e struggente,
lasciasti, quasi un lampo,
trapassare
un dolce sprazzo d’indaco sereno.
Certo un segno divino,
certo un celeste avviso
ma fummo certi
che quel lugubre tramonto
di gloriosa alba arancione
era promessa.

Ci siamo incontrati virtualmente e, un po’ come facevamo quando potevamo farlo di persona, abbiamo conversato sulle parole.
In particolare su quelle suggerite nella precedente scintilla.
Ognuno ne ha scelta una tra:
osare – raggiungere – Irlanda – ballerina – tentativo – matrimonio – tramontare – casualità
In particolare abbiamo avuto una bella discussione su CASUALITA’, e di conseguenza ISTINTO E INTUITO; ma anche le altre parole hanno suscitato opinioni e interpretazioni diverse, come IRLANDA, vista come l’allegria e la capacità comunicativa degli abitanti, oppure come un premio di fiori e foglie da regalare come apprezzamento.
Anche BALLERINA ha creato immagini immediate e anche OSARE, intesa come capacità personale, ma anche, al contrario, augurio per essere come non si è.
Tramontare si è inserita in uno stato d’animo al momento più malinconico, prendendo la sfumatura di “tramonto della vita”.
In una conversazione amichevole e pacata ci siamo lasciati con il suggerimento di raccogliere e sviluppare in privato una di queste parole.
La stesa – di Laura Galgani

Attendeva i due scatti secchi di fine lavaggio sulla soglia della veranda, quasi sull’attenti. Apriva l’oblò e chinandosi in avanti con eleganza svuotava il cestello lasciandone cadere il contenuto in un capiente cesto azzurro scuro, di plastica.
Iniziava sempre a stendere i panni dal lato destro di quella minuscola veranda, chiusa da infissi anni ’70, di metallo brunito, pesanti e affilati nei contorni.
Davanti a sé, quando si sporgeva con sicurezza in avanti per sistemare il primo capo ad asciugare, 5 fili ben dritti, allineati regolarmente. Sotto, la tettoia a tegole e coppi del vicino del piano terra, cosparsa dei resti sfortunati dei suoi bucati finiti male: qualche molletta da panni, un paio di mutande, un cencio per i pavimenti sbiadito, un calzino spaiato. Spingeva sempre lo sguardo verso le colline, mentre stendeva qualcosa. Gli eleganti contorni delle colline, ricamate in primavera da alberi fioriti color malva e da chiome dorate in autunno, la riempivano di gioia. Le ville, che vi si riconoscevano seminascoste dai pini, alti e piegati da un lato, non erano pretenziose e parevano trasportare anche lei indietro nel tempo.
Sceglieva sempre con estrema cura le mollette dal cestino rosa fucsia sopra la lavatrice; ce n’erano di diversi colori, in ordine d’intensità: trasparenti, bianche, beige, malva, arancioni, blu. Per lei era essenziale stendere con cura ogni capo lavato. Lo prendeva sempre con decisione, distendendolo bene davanti a sé, srotolandolo se era rimasto avvolticciolato, raddrizzando le maniche se erano una a dritto e una a rovescio. Poi, in una frazione di secondo sceglieva le due mollette – sempre due, mai una sola, e dello stesso colore – che avrebbero dovuto sostenere la maglietta, il golf o i pantaloni, per tutto il tempo necessario. Se si trattava di un sottogiacca fantasia, ci stava bene il beige, più riposante. Se era una maglietta nera, per contrasto ci metteva due mollette bianche. Per i jeans sceglieva sempre il blu, ovviamente, mentre per i pantaloni verde scuro senz’altro l’arancione. Le piaceva moltissimo abbinare le mollette malva ai capi estivi che si era fatta da sola, utilizzando stoffe diverse: di sicuro fra le gradazioni del rosa si sarebbero sentite bene. Per le lenzuola bianche con le cifre della nonna ricamate a mano invece sceglieva sempre le trasparenti, perché davano un tocco di iridescenza a quel candore.
Non avrebbe sopportato stonature. E’ vero, forse scegliere le mollette con cui stendere ciascun capo le faceva perdere qualche frazione di secondo, ma col tempo era diventata brava e ormai era un piacere al quale non intendeva rinunciare.
Quando aveva finito, si concedeva di vagare con lo sguardo di nuovo verso le colline, per fotografarne la bellezza. Poi si soffermava su quei 5 fili tesi, dove le mollette colorate formavano un disegno, un codice ogni volta diverso, nuovo, forse un linguaggio, anzi, una musica. Ecco, quei frammenti di colore sui 5 fili tesi altro non erano che le note di una melodia suonata dal vento da quella veranda anni settanta.