Buio con parole

Cantilena di notte – di Stefania Bonanni

Cantilena di notte,

senza luna ne’ stelle,

In un nero d’inferno,  non ci sono scintille.

Cerco la spinta nel sonno, il colore che manca.

Se ci fosse rumore, ci si potrebbe nascondere.

Non si muove una foglia.  Non ci sono, del resto.

Nel silenzio perfetto,  non si nota l’effetto,

delle stesse parole,  recitate d’istinto,

come nebbia perenne.

E ridette parole, le stesse da anni,

che rimangono addosso, insieme ai malanni.

Perlomeno piovesse, e le gocce suonassero

sul pianoforte del cielo,

come quando piove, ma ci sembra sereno.

E rimane Maria, come mamma amorosa,

 che divide la via tra il suo bimbo ed il cielo.

Non importa chi sia, e’ una madre col bimbo.

 E’ una donna, nel mondo.

E’ la vita che va, e’ l’amore. Non si sceglie, l’amore.

Casca addosso, come quella pioggia leggera,

  che ti inzuppa

 e tu ancora non sai di bagnanti.

E la testa continua, partorisce parole

 tramandate da madri, per insegnare a parlare.

Vivono da sole quelle antiche parole.

E ripeterle le svuota di senso, e si sciolgono, come balsamo.

E il senso e’ quello. La cosa che culla, 

l’ultima che sai di aver pensato,

 il tuo mantra,  prima di,

 finalmente,

 anche per stanotte,

dormire.

Un filo di seta fucsia

ROSA FUCSIA    – di Mirella Calvelli   

   Foto di moritz320 da Pixabay                    

 Pensare al fucsia, al rosa shocking, rosa fluo, e  poi scrivere,  devo rilassarmi. Abbassare le palpebre  e poi fissare questo colore così intenso, aggressivo, determinato e cercare di inzuppare gli occhi in questa tonalità, tale da poter attingere a sensazioni e ricordi remoti, per riportarli a galla in tutta la sua lucentezza sfacciata.

Rumori, mescolati a voci in lingue diverse, stonate. L’aeroporto quello di Doha . Un insieme contrastante di colori, racchiuso in una bolla di cristallo in mezzo al nulla..il deserto.

 Una fila regolare al gate. Scruto i  volti di etnie diverse, pochi occidentali, una carrellata del mondo arabo.

 Mi sfiora e immediatamente chiede scusa, una signora, penso. Ammantata di nero, con solo gli occhi scoperti, ben truccati e con ciglia lunghissime.

La osservo con discrezione, non amano essere guardate. Lei con un movimento civettuolo sembra scostare i capelli, che in realtà sono racchiusi in quel mantello scuro. Ed è allora che intravedo le sue lunghe mani affusolate, ambrate con le unghie laccate di un rosa accecante, un fucsia che contrasta con la rigidità del resto.

Quel colore mi rimane intrappolato negli occhi, per posarsi al mattino sul terrazzo di casa, dove un ciclamino eretto, ben delineato con  foglie scure e venate, castigato e sobrio, sfoggia  una capigliatura di petali fucsia. Morbidi, sbarazzini e accecanti. Osa rompere la nebbia mattutina grigia e molliccia, per dar mostra di sé. Un colore che abitualmente invade il giardino in primavera ed in estate, posandosi su rose, tulipani e sui fiori del pesco.

Ma lui è più coraggioso brilla in un momento in cui tutt’intorno si  utilizzano colori sobri e poco violenti.

Sempre quel fucsia, scivolava morbido in seta sul tavolo da lavoro di mia madre. La sua tavolozza.

Con movimenti abbozzati dall’unghia del  suo pollice sinistro, tracciava un segno impercettibile e subito dietro la mano destra sicura, armata di  grandi forbici, seguiva quel segno.

Cadevano a terra dei pezzi, scampoli, di seta rosa shocking, che lei chiamava “sciaveri”, avanzi appunto.

E di quegli avanzi io ne facevo il mio bottino, troppo belli per essere sprecati.

Molti anni dopo mia figlia Denise ha giocato con quegli sciaveri brillanti di seta rosa fucsia.

Amava travestirsi, ma lei ha sempre sostenuto che drammatizzava. Mi colpiva quel lessico in una bimba di appena 5 anni, e appunto drammatizzando si spostava su e giù per il lungo corridoio di casa.

Una volta era una sposa, una volta una principessa e chissà cos’altro, ticchiettando con vecchie scarpe con il tacco, della nonna appunto.

Come quel ciclamino, anche Denise ama le cose non troppo vistose e il suo abbigliamento a parte casi particolari, come un matrimonio o un evento, sono così

Lo scorso lunedì è venuta a casa per condividere con noi la fine della sua specializzazione, avendo discusso poche ore prima la tesi on line.

Era bella Denise quel giorno, stanca ma felice, essendosi liberata, come dice lei dell’ultima zavorra universitaria. Anche se entrambe sappiamo benissimo che pesi e zavorre ci accompagneranno per tutta la vita.

Si sedette  spossata sulla sedia di cucina e tirò fuori dalla borsa un libro scuro e rigido: la sua tesi.

L’argomento troppo complicato ci parla di colon o chissà quant’altro, ma il titolo e i sottotitoli sono di una rosa shiock.

 Come rosa fucsia è la sua camicetta, che appena si intravede dal severo  tailleur pantalone nero e gessato. Di una bella foggia  direbbe mia madre, sicuramente non dozzinale, un taglio sartoriale in cui le righe si rincorrono, senza incrociarsi.

Unica civetteria è quel lembo vivace che sporge dalla giacca austera.

L’abbraccio di gioia, dopo che mi ha letto la dedica “a…mia madre a Stefano, per me come un padre, e al mio fratellone.

Il resto, le parole mi si intrecciano nella testa e stringendola a me, sento la sua magrezza, incrocio il suo sorriso e mi tuffo in quella camicetta rosa fucsia di seta.

Chissà forse per me il rosa fucsia è come un lungo filo che lega viaggi, emozioni, ricordi e affetti.

Di fucsia ho imbevuto i miei occhi, per iniziare questo cammino e ho terminato nel fucsia di seta di mia figlia.

Forse la mia vita è un lungo filo di seta che si srotola lentamente, come la pellicola di un film.

Si annoda strada facendo. Si strappa, per poi proseguire, anche velocemente.

Un domani qualcuno lo riavvolgerà in quel “rocchetto”, come diceva mia madre  per riporlo chissà dove.

 Forse le mani di mia figlia lo raccoglieranno e lo metteranno in quella tasca severa del tailleur dove una nota di rosa shocking ci sta sicuramente bene.

Rosa consolante

Consolazione – di Tina Conti

foto di Tina Conti

Consolarsi con il bello  dei colori della natura

Al vivaio mi sono ubriacata di colori.

Si mischiavano le fioriture delle grandi camelie scempie con gli ultimi grappoli di crisantemi arancio e gialli.

Gli ellebori bianchi e rosa, piccoli e giganti spuntavano dietro una struttura in ferro.

La vasca di zinco, grande grande piena di acqua piovana dava il benvenuto e suggeriva come santificare le mani in un modo decoroso, naturale, allegro.

Ho sbirciato nella serra, non dovevo deviare dal mio programma, solo un’occhiata.

Tre  piante  di rosa per il vialetto ( ho già  fatto le buche) qualche maonia  per la scarpata e niente altro, non devo aggiungere mi sono detta.

Sandro mi ha portato in giro fra le piante, ho visto delle bellissime  graminacee in ciuffi  dai colori caldi e morbidi, meli  da decorazione, viole e veroniche blu

Non ho  potuto avere i suoi consigli  per il trapianto a causa della telefonata della moglie che lo reclamava in serra.

Poi, è smesso di piovere, ho comprato  lo stallatico: potrò iniziare a lavorare.

I pensieri saranno  convogliati sulla terra, passeranno ore appagate, partiranno nuovi progetti, scorreranno le ore, si osserveranno nuove magie.

Nel frattempo sento il profumo dei fiorì di nespolo, che a giorni si apriranno.

Rosa shocking

La porta – di Rossella Gallori

Foto di Uwe Baumann da Pixabay

Titolo: Tipo Wertmuller

Sottotitolo:…Quando lei si innamorò, di un cane, di una voce e di uno che aveva forse quaranta anni meno di lei , no forse trenta….e forse  fu colpa di una sciarpa sfumata  dal  corallo al fucsia…

Ormai la porta di casa lo sapeva già, al suo secondo urlo, si apriva, la lasciava passare e si autosbatacchiava , quel pomeriggio però si meravigliò ( la porta) del suo abbigliamento fashion, di quei jeans  ben stirati, della camicia immacolata di lino, del secchiello di cuoio chiaro…. E di quella lunga sciarpa color pesco in fiore…la scia di  profumo restò a lungo nell’ androne del palazzo modesto, in una strada  dal nome ignoto ai più, di un probabile martire di una guerra scaduta nel tempo.

A passi lenti raggiunse il grande parco, poca gente, bambini manco l’ombra, qualche cane nella propria area, un silenzio da baciare, socchiuse  gli occhi, per dimenticare l’ ennesima lite, una vita insieme, per non capirsi mai…

Le arrivò all’improvviso tra le braccia quel pezzetto di cane dalle zampette polverose…..stava per imprecare quando udì la sua voce: scusi..scusi…mi è sfuggito il guinzaglio…

Rosy guardò nell’ordine: cane, camicia macchiata, guinzaglio e …e…padrone della bestiola…bello, alto, giovane, abbronzato, non finiva mai di scusarsi

Non fa niente, capita!

Sono Luigi lieto, mi scusi ancora.

Rosy piacere!

Un caffè?

Volentieri!

Fa freschino,   è quasi buio.

Ti impresto la mia sciarpa se vuoi, posso darti del tu?

Rosy si augurò che il bel Luigi  non dicesse : potrebbe esser mia madre. No non lo disse, prese la sciarpa fucsia se la strinse al collo e disse solo: te la riporto domani, stessa ora, stesso posto, poi al bar

Cominciò così la loro storia…fatta di confidenze, di risate, del cane che la rincorreva, di Luigi che l’aspettava, complice un caffè caldo, un ricordo condiviso, di  anni che non dividevano, a volte era vecchio lui, spesso era giovane lei, il sud negli occhi di Luigi ed il  “c” che lei  dimenticava, fiorentina “nelle barbe”.

Spesso c’erano le lacrime nei loro discorsi, quei consigli che si davano l’uno all’altra, non risolvevano, rattoppavano e sapevano solo di sale sulle guance, ogni tanto riappariva la sciarpa rosa schocking….che sapeva un po’ di tutte e due.

Panchina, cane, parco, caffè, foto….photoshop …e gran risate… a volte.

Sì lei provava un sentimento per quel ragazzo, un qualcosa, che no, non poteva e non doveva essere amore, era una certezza, una boccata d’aria fresca…era tanto che la Rosy non respirava..

Successe tutto in fretta, non fecero in tempo nemmeno a salutarsi di persona, un vocale tra le lacrime,  messaggi che sembravano strappi… che furono lacerazioni ….

Lui tornò in Puglia, ora vive a Roma…senza cane.

Lei nella stradina,  vicino al parco  a contarsi le rughe..

Si scrivono, si telefonano, lui che le dice: vieni a Roma, con la “O”  aperta del sud..

Lei che risponde : Oh come fo….

Ps: lui non ha trovato un altro lui, le ferite sono ancora fresche …. lei sbatacchia sempre la porta dopo la solita, quotidiana lite.

La porta, vera protagonista del racconto non ne può più….

Foto di Rossella Gallori

Fucsia intrigante

Fucsia – di Giulia Giusti

Foto di flormarthe da Pixabay

Fucsia come l’intimo che volevo mostrarti a tutti costi.

Viola come il tuo colore preferito, e io che lo indosso con la causalità fortunata di chi lo ha già fatto suo.

Mia madre che disegna fiori viola, io che aggiungo il blu dappertutto perché sfuma bene, e noi che fumiamo insieme mille sigarette, bacchette magiche, disegnando nell’aria colori invisibili. 

I pensieri che diventano opinioni, l’ardore che ne scaturisce. 

Forse in fondo ogni cosa del mondo ha un po’ di quel colore acceso e intrigante. Come se desse un tocco di vivacità ad ogni cosa, anche la più stagnante. 

Stravagante, entra negli occhi della gente e ne esce divertito.

Luccicante, nei capelli di una bimba, o nel suo zaino preferito. 

E io quella bimba un po’ la conosco.. Perché ho sempre amato il blu per chissà quale ribellione a schemi sociali, ma la verità é che tutti i colori sono belli uguale. 

Fucsia e libertà

Fucsia – di Vanna Bigazzi

“Le manine di Gesù “, chissà perché…  pensavo da piccola, non credo che Gesù avesse le manine fatte così e poi di questo colore forte, per me si sono sbagliati! Più tardi, adolescente, questo colore mi faceva sognare. Non avrei mai indossato un abito con tonalità così eccentriche, come se volessi farmi notare, ma invidiavo un po’ una mia amica che invece lo esibiva a qualche festicciola serale. Sembrava una campanula, una gonna larghissima con tanto di crinolina, chiara sui fianchi, che andava sfumando in un rosa chiaro per finire, al ginocchio, in un vistoso fucsia. Peccato che avesse un naso che richiamava la proboscide di un elefante. Quel naso sciupava tutto l’insieme perché anche le scarpette erano fucsia! Più  tardi ancora, osai indossare questo colore ( dico osai perché questo è ciò che mi ispira tale colore) ad un matrimonio. La sposa di bianco vestita mi guardò con un cenno di “sorpresa” (diciamo cosi), come se fossi una pennellata che stona in mezzo al quadro di un chiarista. In effetti a quel matrimonio prevalevano i colori pastello, per le signore, ma anche gli uomini biancheggiavano, del resto era primavera inoltrata. Mi sentii un papavero in un campo di neve. Tuttavia questo colore ha continuato a piacermi, penso che si adatti più al mio animo che non all’esteriorità. Per me oltre che osare, significa prorompente rinascita, libertà e forza d’animo che per fortuna non occorre mostrare, basta possederle, insomma è un colore forte da tenere racchiuso, nascosto come un tesoro segreto che ti può arricchire interiormente, senza che nessuno lo sappia.

Novembre e la casa

La casa – di Mimma Caravaggi

Penso alla mia casa. 30 anni fa era un rudere e ricordo che a vederla dopo, a restauro completato,  non avrei mai pensato che si sarebbe trasformata in qualcosa di bello e particolare. E’ una antica casa di campagna, porta la data incisa su una pietra: 1795 e penso a quante persone ci hanno abitato in questi due secoli prima che Alberto ed io sconvolgessimo la sua struttura, per renderla abitabile secondo i nostri canoni.  Quante famiglie, quanti segreti, quanti problemi avrà vissuto e saranno passati attraverso queste mura centenarie. Mi soffermo a pensare alle lacrime che possono essere state versate, i litigi, gli amori le nascite e le morti. Mi piacerebbe molto conoscere la storia degli abitanti che si sono avvicendati nei due secoli. A noi è piaciuta molto subito così com’era, ridotta malamente. Ci è costata fatica, dispendio di forze e denaro ma tutto in nome della “nostra casa”: finalmente ne avevamo una! Forse non le abbiamo portato molto rispetto perché è piuttosto trasandata ma l’idea di casa per noi è sempre stata quella che dovesse essere funzionale e non esteticamente perfetta.

Piano piano nei trenta anni mi sono accoccolata in un guscio per me accogliente e forse simpatico, un po’ inusuale. È qui che mi sento a casa e in primavera vedo spuntare fiori e frutti nel bel giardino dove esco insieme al mio cane Napoleone per giocare a palla con lui, felice di stare con me. La casa è molto grande piena di suppellettili, la maggior parte ora molto inutili ed ingombranti, che si sono ammassate lungo il percorso e lasciate lì e non più rimosse. Mi sarebbe piaciuto molto avere qualche soldo in più per modificare qualcosa e renderla migliore ma non ce l’abbiamo fatta e così é rimasta.

Resta un po’ isolata ma siamo ripagati dalla bellezza della campagna,  dal silenzio spezzato solo dal canto degli uccelli la mattina che sembrano conversare tra loro in differenti lingue. Ci fanno visita i non graditi cinghiali, ma soprattutto i preferiti caprioli  e scoiattoli. Isolati direbbero i “cittadini” ma accompagnati dai rumori del bosco, da un incanto infinito che nelle varie stagioni cambia volto, da allegro a caldo a splendente a freddo cupo, ma sempre con una sua caratteristica bellezza.

 Eppure ora la casa va venduta. Non siamo più in grado di mantenerla. Sto cercando di vendere la nuda proprietà ad una cifra molto inferiore del suo reale valore, ma la cosa ci permetterebbe di restare, di non lasciarla per sempre, per andare ad abitare in un piccolo anonimo appartamento dove sono sicura tutto questo ci mancherebbe.  Sono piena di dubbi e ho molta paura. Tremo in questa casa che è da sempre la mia casa.

Novembre e i cimiteri

Piccolo cimitero – di Vanna Bigazzi

Foto di Alexas_Fotos da Pixabay

Era Novembre, un pomeriggio di vento,

In un fitto bosco di castagni,

in un largo tappeto di ricci e foglie morte,

scorsi ombreggiare un cimitero,

piccolo, misterioso.

Antiche pietre piovose tacevano

in quell’umida terra.

Aria odorante di muschi acquosi,

trapassava i miei sensi,

silenzio e pace ospitavano il mio cuore.

Forte emozione a rimaner con loro,

cullata e accolta dal nulla eterno.