Scintille dalla clausura

Nonna Bianca – di Mimma Caravaggi

Di quattro nonni ne ho conosciuta solo una: la nonna Bianca. La ricordo su una poltrona con il suo bastone accanto  ma non ricordo di averla vista mai camminare. Di solito ero seduta su una seggiolina accanto a lei in punizione perché avevo litigato con mia sorella Gianna per cui la zia Pina ci metteva sedute accanto alla nonna ma non potevamo parlare né muoverci, metà giornata l’una e metà l’altra. Uno strazio per me che non ero abituata alle punizioni. I miei genitori si erano separati quando io avevo poco più di un anno e per le vacanze raggiungevo mia sorella Gianna in Umbria che viveva con papà, mentre la sorella maggiore Tilla ed io vivevano con la mamma a Pescara. Da brave persone corrette si erano divise la prole!!!! Mi ritrovavo spesso in punizione perché io e Gianna non ci riconoscevamo come sorelle, ci si vedeva solo poche volte l’anno. Mentre Gianna temeva la zia Pina perché molto severa io non me ne curavo più di tanto e una volta sulla famigerata seggiolina restavo a chiacchierare con la nonna e quando mi stancavo mi alzavo, andavo in cucina a prendere un bicchiere d’acqua per la nonna o almeno questa era la scusa che adducevo se incontravo la zia che tornava a brontolarmi e riportarmi a posto. Gianna aveva il terrore della zia e se ne stava buona buona seduta senza fiatare, dalla sua bocca non usciva una parola. Io invece quando mi ero stufata la raggiungevo in giardino fregandomene delle regole della zia e con tanta rabbia da parte di mia sorella. Quella non era casa mia, ma della zia e per quanto le volessi bene non stavo mai alle sue regole. Ero piuttosto “selvaggia” rispetto a Gianna e non avevo paura. Mi divertivo in quella grande casa piena di scale e stanze e se il tempo lo permetteva stavamo in giardino a giocare con la vecchia e grossa tartaruga 🐢 montando sopra e abbracciandoci strette per non cadere mentre lei camminava tranquilla. Se il tempo era brutto salivamo in soffitta, la stanza delle meraviglie. Era piena di ricordi e di boccette di vetro  che attiravano sempre la nostra attenzione. Il nonno era stato un farmacista e metà soffitta era piena di scaffali e vasi di ceramica e vetri. E noi ovviamente si giocava ai farmacisti. Una vendeva e l’altra comprava sempre finché non si litigava. Quando succedeva gli strilli raggiungevano la zia che veniva di corsa a dividerci e punirci. Finite le vacanze ognuna tornava alla sua scuola, alla propria vita salutandoci con qualche lacrimuccia fino al prossimo incontro.

Selezione naturale

La vittoria delle zanzare – di Cecilia Trinci

Era un periodo in cui le zanzare non riuscivano più a respirare. Avevano un gran peso qui che non le faceva più volare e il sangue non aveva più lo stesso sapore. Piano piano non riuscivano più neppure a succhiarlo, una gran fatica le invadeva. All’inizio succedeva solo a poche di loro, si diceva perché erano le più vecchie  e malandate. Poi piano piano tutte avevano  gli stessi sintomi. Si dicevano di uscire poco, di evitare di andare a succhiare la pelle degli umani di giorno, di andare solo di notte, poi solo poche ore la mattina presto o al tramonto. Poche per volta, possibilmente. Poi decisero di rimanere rintanate negli anfratti umidi, di evitare le città dove, si diceva, si spargeva una sostanza strana in forma di nebbia che non perdonava, che le faceva morire a decine. Si rintanarono. Quelle rimaste in città non tornarono più. Presto tutte scomparvero.

Certo non sapevano che poco dopo, solo pochi anni dopo, ci sarebbe stata la rivincita della Zanzara Tigre, pressoché immortale, immune ai liquidi profumati, alle nebbie spruzzate, impavide tigri capaci di vivere notte e giorno, d’estate e d’inverno, negli anfratti umidi, ma anche nelle strade assolate, silenziose, piccole e invisibili, capaci di aggredire chiunque e comunque.

Quelle morte anni prima non lo sapevano e non lo seppero mai veramente.

Anzi, quando qualcuno diceva “vedrete, andrà tutto bene, rinascerete presto, invincibili e immortali e farete paura al mondo” avevano dei conati di vomito, degli istinti irrefrenabili di rabbia, delle allucinazioni da invasate.

 E vedevano solo la loro fine.

Leggere il futuro

Trasparenze – di Gabriella Crisafulli

Indovina indovino

tu che leggi nel destino

come sarà 

il tempo che verrà?

Bello, brutto

o metà e metà?

Scruta – di grazia –

la sfera appannata

dimmi 

– ti prego – 

cosa ci condurrà 

nella terra incantata?

Guardò il gran saggio

il profondo raggio

che penetrava

la palla oscura

e scoprì la ricetta

per combattere la paura

” Viaggiare nel tempo

nel sole, nel vento

poi tessere 

e annodare

solo parole

sane”

Morire per rinascere

Una nuova Genesi – di Laura Galgani

Essere Umano del XXI secolo, stai per vivere una nuova Genesi. La Terra, ora così silenziosa e affranta, fra qualche tempo – poco, tanto, chissà – verrà riconsegnata nelle tue mani come fosse l’alba del primo giorno. Ti rendi conto della bellezza di questo momento? Mentre combatti per sconfiggere un virus letale e misterioso, la Natura si sta riprendendo dalle sanguinose e infinite ferite che le hai inferto. L’inquinamento diminuisce, l’aria si fa leggera, si producono meno rifiuti, gli animali fanno capolino e dimenticano la paura dell’Uomo. Ora è lui, ad aver paura! Si rifugia nella sua tana, e trema.

Questo è il momento di chiederti che cosa vuoi fare, quando potrai di nuovo uscire, tornare al lavoro, ricominciare a produrre, viaggiare, festeggiare, consumare… fermati a pensare: vuoi che sia tutto come “prima”? Ascolta, in questo momento di sospensione, la voce della Terra: chiede rispetto, equilibrio, pazienza, pace, ma anche creatività, nuove idee, tecnologia al servizio dell’ambiente, invenzioni e soprattutto un nuovo sguardo che la accarezzi con Amore, invece che un pugnale con cui ferirla come prima.

Non fare che tutta la sofferenza di questa stagione sia passata invano. Fermati ad ascoltare, a guardare, a pensare. E’ tutto nuovo. Per l’ultima volta. Non lo sarà mai più.

La notte dei bambini

Che mi racconti nonna, stasera? – di Chiara Bonechi

Il letto di mia nonna Eleonora era altissimo o a me bambina sembrava così.

Mi piaceva dormire con lei.

Con un balzo saltavo sopra e mi mettevo sotto le coperte, guardavo mia nonna che si sistemava per la notte: si scioglieva la crocchia che portava annodata sulla nuca e i capelli fini, dal colore un po’ spento, le cadevano sulle spalle, poi si toglieva gli abiti e indossava la camicia lunga fino alla caviglia.

Il letto era alto per lei piccoletta e poco agile, mi divertivo a guardarla nello sforzo di salire e spesso non ci riusciva.

“Dammi una mano!” diceva.

Io mi rivedo inginocchiata sul materasso e piegata su di lei, le nostre mani che si afferrano, si stringono e io tiro con forza finché anche lei è con me nel letto.

“Che mi racconti nonna stasera?”

E lei cominciava.

Le parole uscivano dalla sua bocca fluide e intense, i suoi racconti mi portavano attimo per attimo in un immaginario che scorreva nella mia mente come un film, era bravissima mia nonna a raccontare.   E se qualche volta prendeva il libro delle fiabe e cominciava a leggere non era per me la stessa emozione.

“Nonna, raccontamelo a bocca!” le chiedevo e capitava che lei chiudendo il libro proseguisse e lentamente si addormentasse biascicando parole senza più senso.

Quanti scossoni alle sue braccia grassottelle per risvegliarla e farla proseguire!

Qualche tempo fa, riordinando un mobile libreria in casa di mia mamma, ho ritrovato un libro che mi ha fatto sobbalzare: “CUORE”.

Credevo di averlo smarrito come quello di Pinocchio e invece era lì, sotto a spartiti di musica e ad altri libri impolverati.

La copertina di cartone rigido, la costola di tela, edizione Garzanti.

Sullo sfondo azzurro in evidenza il volto di un bambino con un grande cappello bianco, stringe sotto braccio uno zaino e sorride. Tengo il libro per qualche secondo appoggiato al petto come in un abbraccio, poi scosto la copertina e leggo la prima pagina: anno 1958, edizione per il cinquantesimo della morte di Edmondo De Amicis.

Rivedo quel volume sul comodino accanto al lettone di mia nonna e ripenso a quella data.

Avevo quattro anni quando le storie uscivano da questo libro attraverso la sua voce e io palpitavo di commozione per la “Piccola vedetta lombarda”, “Il piccolo scrivano fiorentino”,”Il tamburino sardo”, “Dagli Appennini alle Ande”. Mi capitava di piangere per quei bambini, protagonisti buoni, onesti, generosi che si sacrificavano per gli altri.

Anche piangere era bello allora.                                                                                                                                                                    

Quarto incontro virtuale: chiusura

Chiudere.

Usiamo in molti contesti questa parola, che può sembrare dura:

Hai chiuso la porta?

Sto chiuso in casa da giorni!

Con te…… chiuso!

No, guarda, non credevo ma è proprio chiuso a tutto, a qualsiasi novità!

Chiuso per ferie

Non pensavo fosse tanto chiuso di mente!

Oppure può essere parola meno dura:

Chiudi il barattolo altrimenti evapora tutto!

Chiudi la mente all’ansia!

Chiudi tutto e scappa!!

Oppure può essere un concetto riferito a un luogo, a una situazione.

Come nel libro Almarina, di Valeria Parrella

In cui si parla di una storia che si svolge in un carcere, luogo chiuso per definizione e in cui scoppia una bellissima relazione tra due donne e la ricerca di se stessi.

La domanda di oggi è:

“PUO’ UNA PRIGIONE RENDERE LIBERO CHI VI ENTRA?”

I nostri giorni belli

In questo periodo, ogni anno, vi rileggevo e riguardavo le nostre foto.

I fiori di Carla
di Carla Faggi

Leggerezza, diceva sempre Carla. La bellezza della diversità, dicevano sempre Carmela e Laura. Mi fa bene ascoltarvi, diceva Gabriella e (con il noto francesismo “che gran botta di culo”) è stato incontrarvi, diceva Rossella…ecc ecc…

Molto più bello e facile era guardarsi negli occhi, ridere, parlare (abbastanza) a turno, scambiarci pasticcini e biscotti, magari piangere qualche volta, ma sempre solo così, per una commozione di passaggio.

con Alessandra Biagianti
Simone Rovida
da Panchine

I nostri incontri virtuali comunque continueranno oltre il 7 aprile. Tanto….cosa abbiamo da fare? La vita fuori riprenderà con molta lentezza quindi possiamo continuare a incontrarci su questo blog.

Pensando al “dopo” mi piacerebbe intanto raccogliere quello che abbiamo fatto in questo periodo di chiusura. Mandatemi le foto di quello che a voi è piaciuto di più fare. Foto pensate, però, che siano sintetiche ma intense…che vi raccontino in questo periodo in cui fisicamente non ci vediamo.

A domani per il quarto incontro.

Cecilia

L’ultimo giorno…….

In attesa del quarto incontro

Un contributo di ognuno in questi giorni difficili:

Tina: la torta di Nora
Sandra: i biscotti
Carmela: i gioielli
Stefania: gli animali da cortile
Simone: arte del vetro
Carmela: il paesaggio in acquarello
Rossella: improvvisare con poco
Anna: le frittelle
Nadia: la sanità

Carla: le parole:

Quando l’epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui». David Grossmann

Patrizia: i fiori
Mimma: il giardino
Elisabetta: il risveglio della tartaruga
M.Laura: le piante grasse
Laura: la tesi
Chiara: i libri di quando era piccola

Vanna: una poesia:

In questo clima surreale

di silenzio e vuoto,

anche i pensieri si sciolgono diversi,

flessibili, si fanno collettivi,

si slegano  dall’individuale.

Non son più “io”, siam “noi,”siam  “tanti,”

accomunati da una sorte impervia,

cerchiamo imperscrutabili perché:

diversi, pochi, molti…

Una fatica sola ed essenziale: sacrificar l’ego al bene universale

Luca: il disegno
Gabriella: la luna

Trasparente

La cartella trasparente – di Luca di Volo

Lo scenario: seconda media. Interprete: un bambino, normale, normalissimo.

Ma un bel giorno…anzi un brutto giorno, o non gli venne in mente al professore di darci un tema da fare a casa…E io i temi li detestavo.  Certo, sono un po’ cambiato da allora.  Comunque, in quel tempo li odiavo con tutta l’anima.

Insomma . ”Allora ragazzi,  in Italiano ho visto che siete un po’ scarsini…via, per domani portatemi un tema, a piacere.  Ma portatemelo domattina. ”

Che potevamo fare? Subimmo.

Solo che io…siee.  non c’avevo mica tempo:  prima giocare un po’ a calcio, poi a palline,  poi ai Salesiani il campionato di ping pong…Alla sera , naturalmente, quando tornai a casa, del famoso tema non c’era traccia.

Ma io, per far tacere la cattiva coscienza mi consolavo , sapendo di mentirmi: ”Ma un se ricorda mica , sai…tante altre volte c’ha detto: ”Ora un ciò i ttempo peccorreggelli, si fa un ‘altra volta.  ”

Come un condannato che aspetta dalla Corte Suprema  una sospensione, altre ventiquattrore di vita…

Ma all’indomani.  scalogna delle scalogne o non fu questa la prima cosa che il Prof.  disse: ”Allora ragazzi, l’avete fatto il tema?”

Risposta corale: ”Sii”, anch’io…vigliacco. 

“Bene.  allora te , Di Volo, l’hai fatto , vero?”. Forse ero proprio trasparente. 

Eh, dissi.  sì sì…ma mi sentivo morire. 

“Ah.  allora vieni alla cattedra e leggilo a tutti, vai.  ”

Strascicando i piedi, andai alla cattedra, portandomi dietro la cartella.

Il prof.  si aggiustò gli occhiali sul naso chiedendomi: ”Ma come mai con la cartella? Ci sarà dentro il tema…allora tiralo fuori e leggi. ”

E io, deciso a reggere ostinatamente la parte, la cartella l’aprii davvero.  Sapevo benissimo che dentro non c’era un tubo…ma scrutando il fondo finsi anche stupore.  ”Ma come mai.  mah, era qui…” E sentivo gli occhi del prof.  che mi trapassavano.

Dopo un po’ di questa pantomima, finalmente mi chiese: ”Prova a darmela a me codesta cartella.  può darsi che io sia più fortunato. ”

Aveva capito tutto…io e la cartella eravamo trasparenti come l’acqua di fonte…

Gliela porsi e lui (tanto per tenermi ancora un po’ sulla graticola), finse di guardarla bene dentro e poi me la restituì.  E, con aria comprensiva mi parlò ”Eh sì.  , io dentro c’ho trovato delle lettere, forse ti son cascate dal foglio in autobus.  Ma parecchie si son perse, purtroppo. Sai che si fa? Domani, invece che UN tema.  me ne porti DUE.  così si recuperano anche le lettere finite nell’autobus…”

Che dire…tornai mogio al mio posto. Le orecchie mi ronzavano, ma più di tutti sentivo il ridacchiare maligno dei compagni.

Mi feriva , non tanto l’evidente menzogna, quanto la grandissima figura a bischero che avevo fatto nel fingere di guardare dentro una cartella sapendo perfettamente che dentro non c’era proprio nulla…ma cosa speravo? che ci fosse qualche miracolo?  qualche angelo che mi facesse trovare un tema che non c’era?  (bell’argomento: il tema che non c’è.  da approfondire. ) Non lo so.

Ma l’interrogativo che da allora mi strazia è quando mi chiedo:  ”Ma cosa avrei fatto se davvero dentro la cartella c’avessi trovato davvero il maledetto tema?!”

Angoscioso. 

E poi da quel momento non usai più la cartella.  Tanto era “trasparente”.

Trasparenze e assenze

GIORDANA – di Rossella Gallori

…tra trasparenze, assenze, maschere ed una infanzia che non c’ è più…

 …era abituata a piangere, lo sapeva fare in molti modi, era un valore “acquisito sul campo” nessuna medaglia, nemmeno un misero bronzo, per quel suo sapere.

C’ era stata la nascita, poco desiderata, che forse aveva capito, ancor prima di imparare a camminare… se tu non ci fossi stata…era l’ unico rosario che sua madre sapeva recitare, al quale seguiva quello della nonna più cocente: oh Signore, questa è una punizione…

Ed era cresciuta così Giordana, tra urli, strilli, ceffoni dei fratelli, ed un unico amore….

Gli anni erano passati, tra un lavoro scelto al volo, per quella sua voglia di aiutare la famiglia, quasi un modo per farsi  del male ed  accudire chi non ti vede, rinunciare allo studio, alla poesia che amava e che le dava gioia, cercare in maschi più grandi e quel calore mai ritrovato, faceva tutto per far capire che esisteva, come accettare a 14 anni di posare per una ditta, di calze, che per puro miracolo non la portò sul marciapiede…per fortuna oltre al saper piangere aveva imparato anche a scappare, fiutava il pericolo

Giordana, dote che perse nel tempo….e fu in quel lasso di tempo che si costruì una maschera, fu un lungo lavoro di cazzate e doveri, un ricamo complicato dove spesso i fili si intrecciavano , nodi da strappare, da tagliare e togliere, per aggiungere un colore cambiando sfumature, nacque così una nuova lei, piena di controsensi, una Giordana strafottente : una che non aveva “ voluto” studiare, una che  aveva “ dovuto “lavorare” una che “vado alle feste e torno quando mi pare”una timida e dolce che  si inventò “ dura” come il granito.

Opaca ed invisibile, ecco come si sentiva, anche quando arrivò un marito, una figlia, amori che eran “ porti sicuri” e spesso lei fece diventare “ bassi fondali” …..no non sapeva muoversi, nel certo, non capì amicizie vere, abbracci Sinceri….

Era nata cristallo  prezioso, ed era diventata culo di bicchiere peso ed economico.

Quindi “era abituata a piangere” Giordana, e lo stava facendo, in silenzio, anche ora, con il naso schiacciato su un vetro opaco di pioggia vecchia, con le lacrime che facevano tuttuno con un moccio infantile e copioso, gli occhi gonfi che cercavano una primavera nuova e libera, al di la della piccola finestra, occhi miopi che guardavano verso il parco chiuso, dove gli scoiattoli correvano, padroni ignari e l’erba cresceva ad un ritmo più veloce del solito, aspettava voci, conferme, un saluto non distratto, un bacio da lontano, una carezza a distanza, nessuno avrebbe notato le sue rughe, quei solchi dell’ anima che erano affiorati, un po’ vigliacchi e forse prematuri….rimase li a lungo…in un’ attesa che non fu vana, una pioggia improvvisa raccolse i suoi desideri…pioveva a vento i vetri si appannarono, finalmente strisce d’ acqua segnarono un tempo che sembrava essere eterno…era il 21 marzo 2020 …le 6 del mattino

Non me l'aspettavo

Una risposta che non mi aspettavo – di Patrizia Fusi

Nel periodo delle vacanze di solito i miei genitori mi mandavano a trascorre da i miei zii che erano casieri presso alcune le ville di persone benestanti.

Quella lontana estate ero alla villa Limonaia.

Trascorrevo le giornate fra il grande giardino divertendomi a aiutare lo zio nella cura delle piante, o lo seguivo nell’orto dove coltivava di tutto, c’era un grande susino della qualità goccia d’oro erano buonissime, le facevamo maturare sull’albero, quando mangiavo quelle molto mature  facevo due piccoli fori nella buccia e succhiavo tutto il frutto.

 La verdura dell’orto era per tutti, lo zio il venerdì preparava le cassette con tutta la verdura e la frutta che c’era a disposizione, il sabato il padrone di casa la portava alla casa al mare ai vacanzieri.

Lo zio era bravo nel coltivare l’orto e a seguire il giardino, aveva imparato a coltivare la terra fin da bambino essendo la sua una famiglia di mezzadri in una fattoria del Chianti

Delle volte seguivo la zia che doveva fare le pulizia in villa, essendoci rimasto il capo famiglia a lavoro a Firenze, mentre gli altri si erano trasferiti al mare compresa la servitù.

Dalla cucina dell’appartamento degli zii entravamo diretti nel guardaroba e nelle stanze della servitù.

Nel guardaroba c’era un odore particolare che mi pungeva gradevolmente le narici, al piano superiore c’erano le camere, per arrivare a queste si passava da un corridoio a balconata che si affacciava sopra un grande salone, il pavimento delle stanze aveva il parquet, la zia doveva pulirlo con molta attenzione e fatica.

 C’erano tante altre stanze, fra saloni con morbidi divani damascati, tende candide alle grandi vetrate, studio, ingresso, sala da pranzo, cucina ripostigli vari, era tutto molto sfarzoso.

 C’era un cane lupo di nome Whisky lui era il mio compagno di giochi, rare volte veniva la nipotina del contadino, che aveva la casa attaccata al dietro della vila a giocare con me, io ero molto timida e legammo poco.

Ricordo con amarezza la poco sensibilità che mia zia ebbe verso di me, una sera mentre ero affidata a lei, pur essendo un donna buona.

Per cena aveva preparato il pollo a sugo, quando tutti e tre eravamo a tavola, la zia mi chiese quale pezzo del pollo volessi , io da bambina ingenua, avendo visto come mia madre pensava prima a noi bambini che per sé , chiesi candidamente che avrei voluto il pezzo migliore, lei mi diede una risposta che non mi sarei mai aspettava, rispondendomi che il pezzo migliore piaceva a tutti, questa risposta di lei mi feri profondamente, mi sentii tanto sola e in quel momento desiderai tanto di essere a casa mia con la mia famiglia .

La mattina, dopo un sonno ristoratore ricominciai il tran tran della vita in villa, la zia non si era nemmeno resa conto di quanto mi aveva ferito e io rimasi con loro fino a quando non iniziò l’anno scolastico.

Trasparenza

Attraverso i vetri della finestra – di Sandra Conticini

Sono giorni che siamo chiusi in casa, e chissà quanto dovremo stare. Il morale è sotto i piedi, giro per la casa senza un senso,senza voglia di far niente, apro un armadio, lo richiudo, prendo un cencio lo passo su un mobile e lo lascio accanto, guardo fuori della finestra, mahhhh dovrò pulire questo vetro non vedo niente….Così mi armo con tutto l’occorrente ed inizio il lavoro. Oh finalmente riesco a vedere il giardino davanti a casa con l’olivo, la mimosa fiorita in anticipo, e tutti i fiori della primavera, tromboncini, tazzette, mughetti e qualche cespuglio in qua e in là con delle rose rosse e gialle fiorite. Guardo un po sulla destra e  vedo uno spicchio della collina di Fiesole, quanto verde che bello…. Non avevo mai notato tutto questo micropaesaggio anche altre volte che i vetri erano puliti , forse perchè sempre molto distratta. Com’è bella la trasparenza  fa vedere le cose lontane belle, nitide e vere. L’acqua cristallina del ruscello che scende fa vedere i sassi del loro colore, o l’acqua del mare ti fa vedere i piedi e i pesciolini quando ti attccano alle caviglie, oppure i granchi. La trasparenza è verità di quello che vedi e che esiste!!!

Quarantena

I BAMBINI CHE SIAMO STATI – di Sandra Conticini

Non sono stata una bambina tranquilla, ero un pò bizzosa e rompiscatole, come diceva il babbo ero una “riffaiola”, fin da piccola volevo fare quello che volevo.

Una volta sparii per un pomeriggio intero, ero andata nei campi  a cogliere la camomilla pensando di fare una cosa utile, invece, quando tornai a casa trovai la mamma disperata perchè non sapeva dove andare a cercarmi così mi presi anche qualche schiaffo.

Ricordo un’estate particolarmente dura. Normalmente con altre tre o quattro amiche andavamo a casa di un’altra perchè lei, avendo dei fratelli più piccoli e i genitori che lavoravano, non poteva uscire. Così si stava in giardino a chiaccherare e ridere, ma un pomeriggio arrivammo lì e la sua mamma iniziò a brontolare e a mandarci via perchè avevano preso la tigna  ed il medico li voleva mandare in ospedale e mettere tutti in quarantena. Noi avevamo notato che da qualche giorno delle bolle strane, ma  dicevano che erano zanzare. Anche io avevo una bolla in un braccio che la sera specialmente mi pizzicava e la mamma più di una volta mi aveva detto che mi voleva portare dal medico, ma per me i dottori potevano morire… non ne volevo sapere. Come facevamo a dirlo ai nostri genitori? Ci potevano andare via tutti i capelli e poi la quarantena e la tigna…che vergogna, eppure eravamo pulite…. Quando  dissi alla mamma cosa  poteva essere la mia bolla iniziò la sua filastrocca..è te l’avevo detto che dovevi venire dal dottore…. la tigna?in quarantena noooo!!! Ohh non lo diciamo per carità..è una vergogna… La mattina successiva mi portò da un dermatologo che mi prescrisse un unguento da mettere mattina e sera e  fasciato con una stoffa di cotone. Così passai tutto il resto dell’estate con questa fascia  al braccio, ma potevo uscire tranquillamente, invece una mia amica, che aveva le braccia piene di bolle dovette stare in casa e, se usciva, aveva le maniche lunghe e la sua mamma a forza di pezzetti di cotone diceva che aveva finito due o tre lenzuola del corredo buono.

Certo i tempi cambiano ma, alla parola  quarantena, isolamento, ancora oggi prende il panico,  la paura di perdere la nostra libertà a cui siamo abituati, muoversi come, dove vogliamo e con i mezzi che cosa ci sono più congeniale   e,  non riuscendo a mantenere la calma, rendiamo tutto più complicato e difficile per noi e per gli altri.

Parole in trasparenza

I discorsi dei grandi – di Carla Faggi

Non ricordo molto della mia infanzia, solo che ero una bambina molto silenziosa e timida. Non sapevo cercare le altre bambine, se nel gioco c’ero ero a mio agio ma non sapevo cercare gli altri per giocare.

Essendo però vissuta in un piccolo paese era comunque facile uscire di casa e ritrovarmi subito in mezzo agli altri bambini. Questo mi ha salvata altrimenti sarei stata una solitaria.

Mia madre lavorava, aveva un negozio tipo emporio dove vendeva di tutto.

Per stare il più possibile con lei giocavo sotto il banco di vendita dove c’era ampio spazio. Giocavo alla principessa con un fazzoletto di stoffa tenuto sospeso oppure ad altri giochi inventati lì per lì.

Ma principalmente adoravo ascoltare i discorsi delle clienti che dopo l’acquisto approfittavano per fare due chiacchiere con mia madre.

Fu così che mi feci una cultura su come andava il mondo dei grandi.

Sentii parlare della Lia che sua madre raccontava aver lasciato il fidanzato ma che lui assicurava di non averla mai toccata. Il commento di mia madre fu “ l’ha fatto bene a lasciarlo, se un l’ha toccata l’è proprio un bischero!”

Oppure commenti di donne su come la Rosalba dopo averla data a tutti (non capii cosa) l’ha trovato uno tanto perbenino e benestante che l’ha sposata. Bisogna esser troie nella vita per ritrovarsi bene! Shh, diceva la mamma, c’è la bambina!

Su questo fatto chiesi la sera alla mamma delucidazioni. Ebbi solo risposte nebbiose tipo, son discorsi citrulli, io devo dire di si solo perchè sono clienti e i clienti hanno sempre ragione.

La risposta mi convinse davvero poco. Tutt’ora mi chiedo se quelle signore avessero ragione!

Buffo però come i ricordi dell’infanzia siano solo flesh in paesaggi nebbiosi.

Piccolo mondo in trasparenza

Profumo di vento – di Stefania Bonanni

Non è lo stesso, piccolo mondo o mondo piccolo.

Piccolo mondo è un grande mondo, più grande di quanto ne possa contenere un pianeta, un universo, una galassia,  tutto strizzato in una piccola gabbia, stretto tra pensieri microscopici e sogni di voli e colori, e onde e tramonti. Piccoli passi strascicati, tra il Polo Nord ed il Polo Sud del piccolo mondo. Oggetti vecchi, ignorati da chi quel mondo ce l’ha più grande, che sguardo dopo sguardo tornano a vivere. Foto diventate tappezzeria, in un mattino di raggi di sole,  rivelano quei nei che ha sempre avuto, la mia bambina, e che solo l’altra sera mi ero stupita di vederle sul viso, come fossero nuovi. Ero io che la guardavo di nuovo, come fosse la prima volta.Sono io che non finisco di imparare quegli occhi, quella fossetta, quel neo, quel lampo, quel sorriso.

Come quei libri da spolverare,  letti tanto tempo fa. Ne scorro uno e subito, dalle prime righe, mi riporta lì,  cone un viaggio a velocità supersonica, indietro nel tempo, a quella sensazione di stupore, di meraviglia, che vissi quel giorno d’inverno, mentre leggevo sotto le coperte pesanti, con il veggiolo per appoggiare i piedi congelati, quando conobbi parole d’amore, e non sapevo, ma scaldavano. Il tempo non esiste, se una frase ti ti porta al tempo della possibilità. Se le parole,  come bacchette magiche, ti portano vicino persone che mancano da tanto tempo, se è  possibile risentire il profumo di quegli abbracci, di quei saponi, di quei soffritto, di quelle lenzuola asciugate al vento, sul filo, nel prato davanti al fosso.  Fra nuvole e margherite, piccole  vele. Ci si sognava bene, in quel profumo di vento.

Piccolo mondo è  ritrovare cose perse, perché non si sono più cercate davvero, questo pianeta non è sospeso nel vuoto:tutto quello che sparisce,  si nasconde.Tornerà,  quando ne avrai bisogno davvero. O quando lo ripenserai utile, o bello,  o se solo lo ripenserai.

Questo mio piccolo mondo non è nato ora, che ne ho più bisogno del pane. È sempre stato, per fortuna. Mi ricordo un gioco bellissimo. Io e la Sonia in cucina,  e c’era solo la cucina, oltre alle camere. Si metteva una grande coperta,  sulla tavola, che coprisse tutto lo spazio sotto alla tavola, fino al pavimento. Diventava, in un attimo, una capanna,  una tenda da campeggio,  un capanno sul mare, una baita nella neve, un riparo nella bufera. Il pavimento era rosso, lucidissimo  di mattoni porosi, che mantenevano zone più scure, come per ricordare che erano fatti di fango, alla fine. Ci si sfinivano, le donne, a stropicciare con il cencio, a passare il cinabrese, a ripassare con il panno di lana. Era freddo,  ghiaccio d’inverno, fresco d’estate, umido quando pioveva, con orme fangose, quando si tornava da fuori. E ricominciavano a stropicciare. Noi si giocava. Sotto al tavolino, sotto la coperta,  con bambolotti e coccini. A sopravvivere nelle tormente, a non congelare nella neve, a resistere alle ondate. Importante era dare da mangiare ai bambolotti gemelli. Siccome non ci sembrava inghiottissero bene, con le forbici a lame unite, si fece un buco vero nella bocca finta, e poi si versò acqua, latte,  pappa, minestrone.  Per finta, era solo acqua con erba, ma per davvero si riempirono. E si fu soddisfatte. Buonissima idea. Quando la plastica rosa diventò prima grigia, poi marrone, si capì che avevano preso una brutta malattia, e non ci fu più nulla da fare.

In trasparenza

TUFFO di Simone Bellini

Limpida trasparenza marina

che bagni i miei piedi

sazi i miei occhi

inebri le mie narici

culli il mio udito

rinfreschi la mia pelle torrida

accoglimi fra le tue pacate onde

appanna la mia vista

toglimi il respiro

tappa le mie orecchie

mentre immerso in te

sono solo con me stesso

Trasparenza di speranza

TRASPARENZA – di Anna Meli

           Mi avvicino, piano piano, in silenzio. Ti vedo all’interno dell’incubatrice, scatola di vetro che ti protegge. E’ come se tu fossi ancora nel pancione della tua mamma. Piccolo, tenero pulcino nato troppo presto. Stai al calduccio tranquillo: dormi.

            La tua testina è  piccola con fitti capelli neri,il visetto è roseo e la tua fronte è rugosa, ma non come quella dei vecchi. Le manine sono due pugni stretti che sembrano esprimere forza e voglia di crescere velocemente.

            Incominci a piangere sommessamente e muovi le gambine ad un ritmo tutto tuo. Vorrei prenderti e cullarti ma ci separa un vetro trasparente che non ce lo permette.

            Verranno tempi migliori! Anche tu come questo vetro sei trasparente, incontaminato, ma crescendo, entrando nel cerchio della vita collettiva forse non sarà più cosi. Ti auguro di essere forte, non solo nel corpo, ma anche e soprattutto nelle scelte e nelle azioni che farai….Ora dormi, piccolo mio, dormi….

Tornando un passo indietro: cambiamento

Mi piace cambiare – di Carla Faggi

Imparerò l’inglese, mi tingo i capelli di rosso, metterò un vestito lilla, andrò a scuola di tango!

Mi piace cambiare. Mi piace cambiarmi.

Anzi, mi piaceva cambiare.

Ho cambiato indirizzi di studio, paesi dove abitare, uomini, amicizie, interessi.

I miei genitori erano disperati, non ti si sta mai dietro , mi dicevano, deciditi a crescere, torna a casa!

Ma io andavo: la Francia, il Libano, l’Africa, poco l’Italia.

E cambiavo fidanzati, mariti, compagni.

I miei erano sempre più disperati. Ma io correvo, andavo, cambiavo.

Mi piaceva anche cambiarmi.

Capelli rossi, neri, lisci, ricci. Corti e lunghi.

Poi con i capelli neri e lisci arrivai in quel di Bagno a Ripoli.

L’uomo che mi accolse mi piacque tanto e lì restai.

I miei erano felicissimi.

Sono quasi trent’anni che sto con lo stesso uomo, nello stesso posto, con i capelli quasi sempre bianchi e corti. Qualche momento di follia in azzurro o rosa, ma poi orgogliosamente bianchi.

E’ facile cambiare di fronte agli eventi belli, e trovare un amore è evento bellissimo.

Di fronte a quelli brutti è inevitabile ma difficile e trovare un virus è evento bruttissimo.

Quindi: cambiamento in progress, aggiornamenti in corso.