La scatola magica – di M.Laura Tripodi

Nei giorni passati, con il sole e le finestre aperte, ogni tanto qualche ragazzo intonava una canzone e subito dopo qualcun altro si univa. Oppure dalle case uscivano musiche a tutto volume per condividere, per sentirsi insieme, anche a distanza.
Eccolo il momento. Credevo non sarebbe più arrivato.
E’ una mattina di fine marzo, venerdì 27 per la precisione. Il vento soffia come se fosse inverno e le finestre sono chiuse per non far passare l’aria fredda. Non ci sono rumori e nemmeno suoni.
Devo allacciare bene la cintura di sicurezza perché conosco la pericolosità del viaggio che sto per fare. Tutto a marcia indietro.
Cerco sensazioni, emozioni, ricordi, qualcosa che insomma mi faccia sentire viva in un momento di storia in cui ognuno è solo, ma tutti siamo accomunati. Come sempre, del resto, ma adesso è proprio evidente.
Con un senso di tenerezza ripenso ai momenti in cui ho dovuto affrontare situazioni nuove.
Sempre pronta a sperimentare e nello stesso tempo sempre diffidente, insicura, paurosa. Come se il fatto di partecipare contenesse l’aspettativa di un risultato vincente che mi riscattasse, che mi facesse emergere.
Affondare il coltello nel cuore.
Certo che la storia è costellata da grandi geni e mitici eroi. Ma si parla di migliaia di anni durante i quali milioni di persone comuni erano niente e hanno continuato a essere niente.
Se per niente si intende il non emergere alle glorie del ricordo e della storia.
In quella stanza del teatro io mi sono sentita a volte un’estranea.
Quella sera le luci erano spente. Baluginava un lieve alone attraverso un’imposta e sul tavolo tremolava una candelina.
Sembrava una seduta spiritica e dentro di me ironizzavo su quella che mi sembrava un’assurda messa in scena.
Poi è passata una scatola che conteneva alcuni oggetti. Toccandoli sarebbe successa una magia.
Sempre più perplessa, quando è stato il mio turno, ho tastato ad occhi chiusi.
Ora non sorridevo più. La mia sufficienza si era sciolta in una sensazione tenera di bambina che guardava affascinata un albero di natale risplendente di luci.
Ricordo ancora l’accelerazione dei battiti del mio cuore e il profumo del muschio del presepio, come se il tempo fosse stato catapultato in una dimensione diversa eppure profondamente conosciuta. Anche allora avevo ingranato la retromarcia.
Il tutto era stato scatenato da una collana di perle. Toccandola era riaffiorato il ricordo di un filo di palline rosse che il babbo avvolgeva meticolosamente intorno all’abete che odorava ancora di bosco. E accanto c’era il presepe, magico, con i fiocchi di neve fatti con pezzettini di cotone e il muschio sparso qua e là, odoroso anche lui di freddo e semplicità, come solo le cose povere sanno ricordare.
Quando si sono riaccese le luci ognuno ha scritto sulle sensazioni che quella esperienza aveva evocato.
Nessun vincente, solo piccole persone accomunate dalla diversità. Senza il pudore di volerla nascondere.
Ritrovare la propria dimensione. Coccolarla, capirla. Sopportarla, a volte.
E’ un esercizio difficile che non finisce mai. Forse il segreto sta proprio in questa consapevolezza.
Ritrovare la propria dimensione…..e volersi bene……
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Riflessione molto bella, importante, utile e generosa.
Ascoltarsi non finisce mai…..è vero
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Siamo tutti personaggi di un grande presepe, un magico presepe…..ed ognuno di noi ha un piccolo ed unico posto…
A presto Maria Laura
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Intenso,emozionante Bello
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Racconto delicato e profondo alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni ben custoditi nei nostri ricordi
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Racconto bello e delicato. Davvero e ‘ importante
la consapevolezza di se’ e la capacità di avere cura
dei propri ricordi piacevoli grandi e piccoli . Imparare
a volersi bene scaldandosi il cuore come davanti
ad un caminetto acceso insieme ai propri cari.
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