Porte chiuse – di Nadia Peruzzi

Alla notizia che avrebbero chiuso tutto e che per il virus non sarebbe più potuta uscire di casa per un bel po’, il suo cuore si fece di ghiaccio!
Le pareti dell’appartamento le sembrarono di colpo ancora più strette di come le vedeva ogni santo giorno.
Se le sentiva addosso, con i loro artigli e la stringevano, la pressavano fino a soffocarla, fino a farle male !
In quella mattina di marzo si svegliò presto. Cadeva la neve incurante della primavera segnata sul calendario e non provò nel vederla nemmeno un briciolo di allegria.
Pensò che il cielo cupo e quel bianco uniforme del cielo al posto dell’azzurro dei giorni precedenti, non le erano di nessun aiuto.
Soffocavano l’anima e non lasciavano nemmeno un piccolo spiraglio cui potersi aggrappare per trarne un sorso di tranquillità.
Non pretendeva troppo. Solo un piccolo sorso in quel mare in tempesta che ogni giorno era costretta ad affrontare e senza scialuppa di salvataggio.
Aveva provato a vedere nei mesi precedenti se fosse possibile individuarne qualcuna. Purtroppo aveva dovuto concludere che attorno a lei non ce n’erano.
Il palazzo in cui viveva era un casermone chiassoso della periferia. Sulle scale e nell’ascensore era tutto un gran via vai, ma se ne stavano in disparte gli uni dagli altri. Solo qualche buongiorno e buona sera a sorrisi tirati ma poca confidenza e familiarità.
A mala pena sapeva il nome dei vicini e solo perché si era presa la briga di leggere la targhetta accanto alla porta.
Nulla più. Le porte rimanevano chiuse. Ognuno pensava solo ai casi propri.
Si sentì sola come non mai in quella mattina di un marzo più pazzo del solito. L’inverno che tornava a far capolino era l’inverno che da tempo albergava nel suo cuore.
Lo vide che dormiva ancora sul divano con quella orribile canottiera sempre più grigia e quei pantaloni sformati e pieni di patacche dei tanti pasti consumati davanti alla tv senza attenzione per il cibo, né per quello che vedeva.
Occhi fissi da leone in gabbia. Un leone da tempo sempre più cattivo che la semiprigionia di quei giorni aveva contribuito a rendere più pericoloso e aggressivo.
Si girò appena nel sonno e lei sentì scattare la morsa ferrea della paura sua compagna fissa ormai.
Quello che era stato l’amore della sua vita era cambiato giorno dopo giorno precipitando in un abisso di brutalità.
Vedeva la rabbia montare per giorni, in ogni suo gesto, in ogni suo sguardo, fino all’esplosione.
Spesso erano solo parole cattive che tagliavano l’anima. Parole che ferivano, sminuivano, offendevano in un fiume di rancore e di rabbia.
Poteva essere per il caffé non troppo caldo, per la pasta troppo al dente o qualsiasi altra sciocchezza del genere.
Non li contava nemmeno più i motivi futili che generavano uragani di insulti.
Nel suo cuore trovava ancora modo di giustificarlo.
“A differenza di me lui è abituato a muoversi, andando al lavoro, a incontrarsi con i colleghi in ufficio. Trovarsi costretto qui col terrore di questo virus maledetto e infido, si capisce che non è facile e fa scattare molle che non gli sono proprie. Oddio, è vero che dopo poco che ci siamo sposati ha mostrato subito scarsa considerazione per me. Il lavoro l’ho dovuto abbandonare perché tanto non guadagnavo abbastanza “.
Non succedeva, diceva lui, perché anche gli altri sapevano che non valevo nulla.
“Che avrai studiato a fare quelle inutili materie che nel mondo di oggi non servono a nessuno?”
Quando invitava qualcuno dei suoi colleghi con le mogli non si peritava a dire “ Ha fatto filosofia, lei”, con tutto il disprezzo che aveva in corpo e con una risata intrisa di velenoso sarcasmo.
In silenzio lei faceva la spola fra cucina e salotto per servire quella compagnia di estranei che nemmeno cercavano di entrare in sintonia con lei.
Ridurla al rango di domestica non bastava. Quelle serate dovevano finire pure con urla e scenate perché lei non era stata socievole con i suoi colleghi, aveva tenuto il muso ed era stata per lo più in silenzio.
“ Cosa penseranno di me, con una moglie così “urlava ogni volta!
Temeva il suo risveglio più di sempre quella mattina. La sera prima aveva provato a dirgli che non ce la faceva più a reggere quella situazione. Aveva bisogno di stare un po’ da sola per pensare a come poter andare avanti.
Erano giovani. In due non arrivavano a 60 anni, avevano tutta la vita davanti. Non era giusto rimanere chiusi in un rapporto che evidentemente non andava bene, era malato.
Appena quell’aggettivo era scivolato nella conversazione il tono si era fatto acceso. Gli occhi che si era vista di fronte si erano fatti cupi e cattivi come non mai.
Era riuscita a schivare quasi tutte le stoviglie che lui le aveva scaricato addosso ad eccezione di una che la centrò sopra l’occhio sinistro.
Il sangue che iniziò a uscire copioso lo aveva fermato, per fortuna.
L’espressione era cambiata. Non dolce, perché dolce non lo era mai, colpevole si.
Si era affrettato a prendere l’occorrente per medicarla e dopo fu tutto un “Giuro, non lo faccio più. Non so cosa mi prende. Lo sai non sono così. Perdonami!”
Dopo poco lui già ronfava sul divano, lei piangeva nel grande letto col suo occhio tumefatto.
Nel ricordare tutto questo in quella mattina di neve e di freddo si fece strada la certezza che non voleva che continuasse ancora in quel modo.
La casa di sua madre non era lontana. Avrebbe potuto raggiungerla anche con quel coprifuoco.
Si vestì in fretta e cominciò a riempire una borsa con poche ed essenziali cose. Non aveva nulla in quella casa prigione da portare con sé.
Era quasi arrivata alla porta quando si sentì afferrare per i capelli.
Il marito si era svegliato ed era furioso. Sentiva arrivare i colpi da tutte le parti. Teneva le mani sul capo per protezione. Sentiva le urla arrivare come frustate insieme alla gragnuola di colpi.
“Puttana dove pensi di andare?Sei mia, solo mia e non puoi lasciarmi se non lo dico io! Hai un altro, vero? L’ho sempre sospettato, ora lo so. Vuoi andare da lui, vero? Ma non uscirai da quella porta. Da viva, almeno!”
Le botte erano sistematiche, arrivavano ovunque.
Urlava lui e urlava lei.
Divennero laceranti quando lui cominciò a usare il martello e rimbombarono nel palazzo silenzioso in quei giorni di prigionia collettiva.
Per fortuna quella volta cominciarono a sentirsi colpi alla porta chiusa. Persone che chiamavano aiuto, dandosi la voce l’un l’altro.
In lontananza nel torpore dolorante che la stava invadendo le sentiva tutte. Le sembrarono compassionevoli e piene di preoccupazione, finalmente solidali.
Perse i sensi nel momento in cui la porta fu sradicata dai poliziotti che entrarono in massa placcando quella furia d’uomo prima che potesse sferrare l’ultimo colpo mortale.
Quando si svegliò in ospedale fasciata quasi ovunque le tornò in mente il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi.
Era un pensiero di liberazione. Quella porta era rimasta chiusa per troppo tempo con lui dentro.
Malgrado le fitte di dolore che la trapassavano il pensiero di quella porta che veniva abbattuta le dette forza.
Al momento non era molto più che un flebile appiglio.
In un angolo del suo cervello e in tutto il suo corpo oltraggiato e ferito ebbe la consapevolezza per la prima volta dopo troppo tempo che in breve sarebbe diventato la molla per ricostruire la sua vita dopo l’orrore di quegli anni.
Sembra finzione, invece è realtà,sembra morte ed è, quasi vita.
Affascinata dai periodi brevi, che riescono ad essere, piccole storie dentro un grande, tragico racconto.
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Liberarci dalle nostre prigioni è molto difficile, a volte impossibile, ma quando ci riusciamo siamo veramente liberi…bel racconto…
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Grazie Ross un tuo giudizio mi fa da sprone ulteriore .Lo apprezzo veramente!
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Grazie Carmela . Lo spunto purtroppo un tragico fatto di cronaca di questi giorni ..per fortuna finito come descritto..i vicini son riusciti a far intervenire la polizia prima che fosse troppo tardi.
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Crudo perché purtroppo reale. Mi sono chiesta spesso perché noi donne spesso non riusciamo a chiedere aiuto….
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Molto veritiera la storia di comune violenza
domestica purtroppo subita da troppe donne.
Ben scritta e interpretata
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Brava Nadia .
Hai descritto un dramma di violenza che tante donne subiscono,dai loro compagni che si accentua in questo momento d’isolamento.
Oggi un altra donna e sta uccisa
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