Prigionia

La bambina trasparente – di Nadia Peruzzi

Stava festeggiando il suo trentesimo compleanno, tavola imbandita, torta con le candeline,  il gruppo degli  amici e dei colleghi più cari. Tutto sapeva di festa.

Era lei che ci provava tutte le volte a sentirsi  al settimo cielo, ma non ce la faceva proprio. A ogni compleanno una parte di sé sembrava staccarsi da lei per guardarla e giudicarla. L’analisi era per lo più impietosa e la lasciava con l’amaro in bocca e più di un filo di disapprovazione di sé.

Una costante della sua vita. Il troppo pretendere da lei ne aveva fatto una ragazza insicura, esageratamente perfezionista al limite del maniacale.  Si era lasciata trasportare sempre dalla maggior parte di quelli che le erano stati accanto.

La famiglia , almeno fino a che lei non aveva deciso di scegliersi un lavoro che la portasse a migliaia di chilometri di distanza, era sempre lì a giudicare ogni sua mossa con severità priva di qualsiasi cenno di tenerezza.

Erano troppo presi dai loro affari e dai loro successi e ne avevano fatto unica misura del vivere per tutti in quella casa prigione. Per ogni cosa era una lotta. Era come stare in una contesa perenne dentro sé stessi e con gli altri fra il farcela e il non farcela. Fra il vincere e il perdere.  Era la volontà degli altri e non la sua in campo.

Anche a scuola. Loro volevano che fosse la prima in tutto, lei amava studiare e imparare per sé, senza competizione ma solo per il piacere di arricchire le sue conoscenze e la sete infinita che aveva di sapere.  Era curiosa. Lo era sempre stata. La fase dei perché una faticaccia per chi doveva rispondere a domande che spesso erano più da adulti che da bambini.

Era  uno scricciolo informe e goffo da piccola ed era pure imbruttita durante l’adolescenza , con tutti quei brufoli che nessun trucco riusciva a coprire. O almeno era lei che si vedeva così.  Anche per questo si era mimetizzata e chiusa dentro un bozzolo tutto suo.

Guardava il mondo attorno attraverso fili sottili e avvolgenti come quelli di una immensa ragnatela da cui si lasciava circondare ogni mattina per spogliarsene solo la sera , al momento di andare a letto.

Una bambina e una ragazza trasparente ecco cosa era e come si era sentita per la maggior parte del tempo.  Lei vedeva gli altri, li osservava, ne comprendeva i limiti, i difetti , le qualità, ma nessuno guardava o vedeva lei. Gli sguardi , quando c’erano erano fuggevoli, esigenti, perfidamente giudicanti. Poco o nulla che lasciasse trasparire affetto o attenzione per quello che faceva, quello che voleva  e gli obiettivi che raggiungeva.

Trasparente anche per i ragazzi che regolarmente la frequentavano solo per arrivare alle sue compagne di classe. Quelle carine, piene di smorfiette e tutte fronzoli.

Si era avvicinata a quella festa di compleanno con il solito stato d’animo. Si era preparata con una certa ansia, quasi temendo il peggio.

Invece da un certo punto di quella giornata qualcosa si era sciolto. Le sarebbe stato difficile dire quando e perché. Era successo , punto.  Come se un’acqua cristallina avesse trascinato via con sé ogni incertezza. Si sentì tranquilla come non era mai stata prima.  Rivide la ragazza che osservava gli altri dal suo bozzolo di fili trasparenti e lattiginosi  e con essa ripercorse ogni attimo in cui man mano aveva sentito quel bozzolo farsi sempre meno schermo di sé fino a che non si era rotto del tutto. Quella sera sentì qualcosa in più: che non ci sarebbe ricaduta dentro per nessun motivo.

Ripensò alla donna che l’aveva aiutata giorno dopo giorno a spezzare uno ad uno i fili di quella prigione dell’anima , ad accettarsi così come era dando un nome ed un cognome a ogni suo difetto con tutta la benevolenza di cui era capace.

Il merito di tutto questo aveva un nome: Giulia.

Un donnone a cui i suoi genitori avevano deciso di affidarla quando aveva poco meno di una decina di anni. Era stato difficile capire perchè un’estranea doveva essere il centro del suo mondo, mentre chi avrebbe dovuto esserlo raramente era a casa e quando ci stava pensava al resto fuori , non a lei.

Pian piano aveva capito che non era solo lavoro per Giulia. Le si era affezionata  veramente. Aveva sentimenti quella donna. Un cuore grande che metteva in campo tutte le volte che sentiva che c’era bisogno di tenerezza e comprensione, stimolo a migliorarsi,  laddove albergavano severità, indifferenza, distacco.

Più di una volta era arrivata a chiedersi perché i suoi l’avessero fatta nascere, se poi non la consideravano nemmeno quei due egoisti troppo presi da carriere, affari, bel mondo.

In quella sera di agosto pensare che tutto questo era alle sue spalle la fece sentir bene. Con nostalgia ripensò alle braccia forti della Giulia che la accoglievano sempre nei momenti in cui era necessario. Spesso prima che lei lo chiedesse. Rivide il suo seno avvolgente che aveva  accolto e consolato i suoi pianti disperati.

In tutti i momenti importanti Giulia c’era stata.  L’esame di maturità, la laurea. Era stata la sua confidente per le sue cotte e i suoi amori.

Le mancava come può mancare una nonna.  Per lei era questo. Una nonna solida come una roccia, comprensiva, tenera che aveva saputo con leggerezza  e acume riconoscere e far emergere il meglio di lei.

A 30 anni si sentiva dentro la ricerca infinita che la vita porta con sé .  Ma senza pressioni e appagata per come la stava affrontando.  Aveva sconfitto man mano le asperità più negative del suo carattere, pur continuando a lasciare campo libero a quelle che la rendevano unica e non omologabile a schemi prefissati.  

Era diventata una archeologa di fama internazionale , con la sua tenacia e la sua voglia di ricostruire i nessi e i fili che legano passato e presente.

La ricerca delle radici che a lei erano mancate era diventata la sua professione. Viaggiava molto e in ogni parte del mondo.

L’aria si stava facendo finalmente tiepida sulla terrazza del suo appartamento nello Yucatan. Il rumore della festa si era un po’ attenuato. Il filo dei pensieri  la spinse a sollevare ancora una volta il telefono.  Era molto tardi e notte fonda per chi doveva rispondere. Si erano già sentite per gli auguri. Ma ne aveva bisogno in quel preciso momento di quella voce amorevole e calda , anche un po’ impastata nel risveglio forzato, che la faceva ogni volta tornare bambina .

“Ciao, nonna Giulia.  Avevo bisogno di perdermi ancora un po’ nella tua voce e di pensare ai tuoi abbracci. Fai buoni sogni !”      

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

6 pensieri riguardo “Prigionia”

  1. Basta anche l’amore di una sola persona nell’infanzia,per salvare una vita, qualunque persona sia, purché ci sia .

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  2. Vero ..anche perché a volte più di un parente può esser “serpente” .
    Non è riferito a persone note ..nasce da fantasia anche se gli appigli con la realtà non mancano mai.

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  3. Di pura fantasia ma dentro la realtà.Ci sono affetti che segnano più di altri e accompagnano per tutta la strada della vita! Grazie.

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  4. Vero Vanna . Ci sono punti fermi che sono più fermi di altri ..
    Spesso può esserlo un nonno o una nonna. Nel mio caso lo è stata mia nonna paterna.
    .I miei erano presenti eccome ma erano entrambi impegnati in politica ( mio babbo a tempo pieno ) e quindi le ore di “lavoro” non finivano certo nelle 8 canoniche.. i sabati e le domeniche erano “nostre” ma per il resto spesso eran fuori casa..

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