Trasparenza

Attraverso i vetri della finestra – di Sandra Conticini

Sono giorni che siamo chiusi in casa, e chissà quanto dovremo stare. Il morale è sotto i piedi, giro per la casa senza un senso,senza voglia di far niente, apro un armadio, lo richiudo, prendo un cencio lo passo su un mobile e lo lascio accanto, guardo fuori della finestra, mahhhh dovrò pulire questo vetro non vedo niente….Così mi armo con tutto l’occorrente ed inizio il lavoro. Oh finalmente riesco a vedere il giardino davanti a casa con l’olivo, la mimosa fiorita in anticipo, e tutti i fiori della primavera, tromboncini, tazzette, mughetti e qualche cespuglio in qua e in là con delle rose rosse e gialle fiorite. Guardo un po sulla destra e  vedo uno spicchio della collina di Fiesole, quanto verde che bello…. Non avevo mai notato tutto questo micropaesaggio anche altre volte che i vetri erano puliti , forse perchè sempre molto distratta. Com’è bella la trasparenza  fa vedere le cose lontane belle, nitide e vere. L’acqua cristallina del ruscello che scende fa vedere i sassi del loro colore, o l’acqua del mare ti fa vedere i piedi e i pesciolini quando ti attccano alle caviglie, oppure i granchi. La trasparenza è verità di quello che vedi e che esiste!!!

Quarantena

I BAMBINI CHE SIAMO STATI – di Sandra Conticini

Non sono stata una bambina tranquilla, ero un pò bizzosa e rompiscatole, come diceva il babbo ero una “riffaiola”, fin da piccola volevo fare quello che volevo.

Una volta sparii per un pomeriggio intero, ero andata nei campi  a cogliere la camomilla pensando di fare una cosa utile, invece, quando tornai a casa trovai la mamma disperata perchè non sapeva dove andare a cercarmi così mi presi anche qualche schiaffo.

Ricordo un’estate particolarmente dura. Normalmente con altre tre o quattro amiche andavamo a casa di un’altra perchè lei, avendo dei fratelli più piccoli e i genitori che lavoravano, non poteva uscire. Così si stava in giardino a chiaccherare e ridere, ma un pomeriggio arrivammo lì e la sua mamma iniziò a brontolare e a mandarci via perchè avevano preso la tigna  ed il medico li voleva mandare in ospedale e mettere tutti in quarantena. Noi avevamo notato che da qualche giorno delle bolle strane, ma  dicevano che erano zanzare. Anche io avevo una bolla in un braccio che la sera specialmente mi pizzicava e la mamma più di una volta mi aveva detto che mi voleva portare dal medico, ma per me i dottori potevano morire… non ne volevo sapere. Come facevamo a dirlo ai nostri genitori? Ci potevano andare via tutti i capelli e poi la quarantena e la tigna…che vergogna, eppure eravamo pulite…. Quando  dissi alla mamma cosa  poteva essere la mia bolla iniziò la sua filastrocca..è te l’avevo detto che dovevi venire dal dottore…. la tigna?in quarantena noooo!!! Ohh non lo diciamo per carità..è una vergogna… La mattina successiva mi portò da un dermatologo che mi prescrisse un unguento da mettere mattina e sera e  fasciato con una stoffa di cotone. Così passai tutto il resto dell’estate con questa fascia  al braccio, ma potevo uscire tranquillamente, invece una mia amica, che aveva le braccia piene di bolle dovette stare in casa e, se usciva, aveva le maniche lunghe e la sua mamma a forza di pezzetti di cotone diceva che aveva finito due o tre lenzuola del corredo buono.

Certo i tempi cambiano ma, alla parola  quarantena, isolamento, ancora oggi prende il panico,  la paura di perdere la nostra libertà a cui siamo abituati, muoversi come, dove vogliamo e con i mezzi che cosa ci sono più congeniale   e,  non riuscendo a mantenere la calma, rendiamo tutto più complicato e difficile per noi e per gli altri.

Parole in trasparenza

I discorsi dei grandi – di Carla Faggi

Non ricordo molto della mia infanzia, solo che ero una bambina molto silenziosa e timida. Non sapevo cercare le altre bambine, se nel gioco c’ero ero a mio agio ma non sapevo cercare gli altri per giocare.

Essendo però vissuta in un piccolo paese era comunque facile uscire di casa e ritrovarmi subito in mezzo agli altri bambini. Questo mi ha salvata altrimenti sarei stata una solitaria.

Mia madre lavorava, aveva un negozio tipo emporio dove vendeva di tutto.

Per stare il più possibile con lei giocavo sotto il banco di vendita dove c’era ampio spazio. Giocavo alla principessa con un fazzoletto di stoffa tenuto sospeso oppure ad altri giochi inventati lì per lì.

Ma principalmente adoravo ascoltare i discorsi delle clienti che dopo l’acquisto approfittavano per fare due chiacchiere con mia madre.

Fu così che mi feci una cultura su come andava il mondo dei grandi.

Sentii parlare della Lia che sua madre raccontava aver lasciato il fidanzato ma che lui assicurava di non averla mai toccata. Il commento di mia madre fu “ l’ha fatto bene a lasciarlo, se un l’ha toccata l’è proprio un bischero!”

Oppure commenti di donne su come la Rosalba dopo averla data a tutti (non capii cosa) l’ha trovato uno tanto perbenino e benestante che l’ha sposata. Bisogna esser troie nella vita per ritrovarsi bene! Shh, diceva la mamma, c’è la bambina!

Su questo fatto chiesi la sera alla mamma delucidazioni. Ebbi solo risposte nebbiose tipo, son discorsi citrulli, io devo dire di si solo perchè sono clienti e i clienti hanno sempre ragione.

La risposta mi convinse davvero poco. Tutt’ora mi chiedo se quelle signore avessero ragione!

Buffo però come i ricordi dell’infanzia siano solo flesh in paesaggi nebbiosi.

Piccolo mondo in trasparenza

Profumo di vento – di Stefania Bonanni

Non è lo stesso, piccolo mondo o mondo piccolo.

Piccolo mondo è un grande mondo, più grande di quanto ne possa contenere un pianeta, un universo, una galassia,  tutto strizzato in una piccola gabbia, stretto tra pensieri microscopici e sogni di voli e colori, e onde e tramonti. Piccoli passi strascicati, tra il Polo Nord ed il Polo Sud del piccolo mondo. Oggetti vecchi, ignorati da chi quel mondo ce l’ha più grande, che sguardo dopo sguardo tornano a vivere. Foto diventate tappezzeria, in un mattino di raggi di sole,  rivelano quei nei che ha sempre avuto, la mia bambina, e che solo l’altra sera mi ero stupita di vederle sul viso, come fossero nuovi. Ero io che la guardavo di nuovo, come fosse la prima volta.Sono io che non finisco di imparare quegli occhi, quella fossetta, quel neo, quel lampo, quel sorriso.

Come quei libri da spolverare,  letti tanto tempo fa. Ne scorro uno e subito, dalle prime righe, mi riporta lì,  cone un viaggio a velocità supersonica, indietro nel tempo, a quella sensazione di stupore, di meraviglia, che vissi quel giorno d’inverno, mentre leggevo sotto le coperte pesanti, con il veggiolo per appoggiare i piedi congelati, quando conobbi parole d’amore, e non sapevo, ma scaldavano. Il tempo non esiste, se una frase ti ti porta al tempo della possibilità. Se le parole,  come bacchette magiche, ti portano vicino persone che mancano da tanto tempo, se è  possibile risentire il profumo di quegli abbracci, di quei saponi, di quei soffritto, di quelle lenzuola asciugate al vento, sul filo, nel prato davanti al fosso.  Fra nuvole e margherite, piccole  vele. Ci si sognava bene, in quel profumo di vento.

Piccolo mondo è  ritrovare cose perse, perché non si sono più cercate davvero, questo pianeta non è sospeso nel vuoto:tutto quello che sparisce,  si nasconde.Tornerà,  quando ne avrai bisogno davvero. O quando lo ripenserai utile, o bello,  o se solo lo ripenserai.

Questo mio piccolo mondo non è nato ora, che ne ho più bisogno del pane. È sempre stato, per fortuna. Mi ricordo un gioco bellissimo. Io e la Sonia in cucina,  e c’era solo la cucina, oltre alle camere. Si metteva una grande coperta,  sulla tavola, che coprisse tutto lo spazio sotto alla tavola, fino al pavimento. Diventava, in un attimo, una capanna,  una tenda da campeggio,  un capanno sul mare, una baita nella neve, un riparo nella bufera. Il pavimento era rosso, lucidissimo  di mattoni porosi, che mantenevano zone più scure, come per ricordare che erano fatti di fango, alla fine. Ci si sfinivano, le donne, a stropicciare con il cencio, a passare il cinabrese, a ripassare con il panno di lana. Era freddo,  ghiaccio d’inverno, fresco d’estate, umido quando pioveva, con orme fangose, quando si tornava da fuori. E ricominciavano a stropicciare. Noi si giocava. Sotto al tavolino, sotto la coperta,  con bambolotti e coccini. A sopravvivere nelle tormente, a non congelare nella neve, a resistere alle ondate. Importante era dare da mangiare ai bambolotti gemelli. Siccome non ci sembrava inghiottissero bene, con le forbici a lame unite, si fece un buco vero nella bocca finta, e poi si versò acqua, latte,  pappa, minestrone.  Per finta, era solo acqua con erba, ma per davvero si riempirono. E si fu soddisfatte. Buonissima idea. Quando la plastica rosa diventò prima grigia, poi marrone, si capì che avevano preso una brutta malattia, e non ci fu più nulla da fare.

In trasparenza

TUFFO di Simone Bellini

Limpida trasparenza marina

che bagni i miei piedi

sazi i miei occhi

inebri le mie narici

culli il mio udito

rinfreschi la mia pelle torrida

accoglimi fra le tue pacate onde

appanna la mia vista

toglimi il respiro

tappa le mie orecchie

mentre immerso in te

sono solo con me stesso