I bambini che siamo stati: ancora scintille condivise

E’ stato allora che ho cominciato a sognare – di Stefania Bonanni

Ricordo tutto, e non importa se ricordo bene. Ho sempre pensato che quello che si sogna, quello che si pensa,  quello che si legge, quello che si sente, conti come quello che succede. Sono stata bambina curiosa di parole, di storie improbabili, impossibili ancora meglio. Ho letto grandi libri quando forse non era il momento, ho mescolato paesi, epoche, avvenimenti, vite di donne eroiche, cristiani delle catacombe e partigiani della resistenza. Ho ripensato, shekerato come quando si mescolano colori, e non siamo sicuri del risultato. Ho sempre trovato, quando ho avuto bisogno, le parole che mi servivano. Come in un armadio pieno di vestiti, dove non è facile vedere alla prima occhiata quello che c’è dentro, ma si sa bene che troveremo un vestito giusto, magari inadatto alla situazione, con il quale ci sentiremo fuori luogo,  ma che è quello, solo quello, che ci serviva oggi.  E l’armadio può essere pienissimo,  noi siamo sempre sicure che quel cappotto nuovo si farà un posto, un posto suo nei pensieri tuoi. Le parole belle. Ho armadi, cassettiere, comodini,  pieni di parole belle. Che fanno capolino solo mentre scrivo, assolutamente sempre incapace di trovarne mentre parlo. Sempre stata così.  Solo tra me e me, calo il secchio nel pozzo e pesco quello che mi serve. Quando parlo mi perdo negli occhi di chi mi parla, e mi sciolgo di tenerezza,  o ci leggo quello che non mi piace, e allora mi ritiro, non voglio più usare belle riserve, o sono sopraffatta da lampi di astuzia,  che mi è sconosciuta,  o di sapienza pedante, che mi incute rispetto, ma mi annoia. E non uso le stesse parole,  Non le cerco laggiù , rimango sempre a galla, ondeggio a morto, con gli occhi al cielo.Ma se scrivo,  riesco a dire quello che volevo, quasi sempre.

Ricordo tutto. Mi ricordo gli odori, i colori, le sensazioni. Mi ricordo benissimo un periodo  nel quale ero assolutamente certa fosse tutto immobile, all’in fuori di me. Non succedeva nulla. Mai nulla. Era estate. Era finita la scuola. Si, sarebbe poi cominciata di nuovo,  ma di certo sarebbe stato un anno uguale a quello già trascorso. Non succedeva mai nulla. Le vacanze d’estate erano una pagina bianca. Tutto il giorno steso davanti, da riempire e da rispettare, cadenzato da segni della Croce, e orari.  Orari per alzarsi al mattino. Scuoteva il letto,  la nonna, biascicando Ave Marie fin dall’inizio del giorno.  E ci faceva alzare,  lavare,  fare colazione. Poi, fuori. Nel campo, all’Arno, a chiamare Sandro, Fabio, Laura. Si rientrava a mezzogiorno,  io e mia sorella.  Ci si lavava, pettinava,, e si andava a tavola. Il babbo, a capo tavola, la mamma accanto a lui, la nonna a quell’altro capo tavola, quello vicino alla stufa, io e la Sonia accanto, su l’altro lato lungo della tavola rettangolare, con le gambe dipinte di bianco ed il marmo sul piano. Si mangiava in silenzio,  la voce in sottofondo era il giornale radio, e proprio era vietato parlare,  Si potevano perdere notizie importanti, succedevano cose nel mondo che da quaggiù non si aveva idea. Non erano pranzi sereni. Io non mangiavo mai, ma facevo finta, e loro facevano finta di credere mangiassi. Poi, e quello aspettavo, arrivava il riposo dopo pranzo. In camera, il caldo era denso, appiccicoso, ma la sensazione era di riposo fresco. La finestra che dava sull’orto era accostata,  gli scuri di legno chiusi sui vetri per fare ombra, lo stoino di canne abbassato. Il copriletto rosa di tessuto damascato regalava un benvenuto fresco e scricchiolante, appena ci si appoggiava. E non importa ricordare che dopo cinque minuti era un lago di sudore, che quella stoffa non assorbiva. Il riverbero della luce di fuori filtrava a strisce dallo stoino di canne, amplificandosi sul muro. Le strisce in basso diventavano larghissime e nere, quelle più  su erano sempre più  fini e dorate, fino a scomparire proprio sotto il soffitto.  Dal letto,  la parete davanti agli occhi, si muoveva un mondo miracoloso. L’aria diventava visibile. La penombra e il sole mostravano gioielli dorati che svolazzavano luminosi riempiendo di brillanti spazi che sembravano deserti. Erano insetti, o farfalle, o polvere, o brillanti, o stelle, o microbi, o fantasie. Erano bellissimi. Non so quanto tempo sono rimasta a guardare, sommando tutti i giorni di tutte le  estati da bambina, penso molte ore. Credo che questo mi abbia influenzato. Voglio pensare di aver sognato, da allora.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

5 pensieri riguardo “I bambini che siamo stati: ancora scintille condivise”

  1. Uno specchio della “desolazione” in senso assoluto, un richiamo efficace a quello stato d’animo che stiamo vivendo

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  2. Sei un puzzle perfetto credimi, tridimensionale, nitido, unico, pieno di sfumature, sentimenti, quando cuore e cervello si uniscono… ci se tu.

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