Paura dei limiti

Oggi – di Tina Conti

Si, l’orto, i fiori, i bambini, il piccolo mondo intorno

Tutto gira, si deve essere contenti

Ma cosa senti che vorresti?

Non solo la mente per spaziare,

Le gambe per correre,

L’infinito solo per la mente

Vorrei il coraggio di andare,

Oltre, senza limiti

Non è cosi, non lo sapevamo

Non volevamo riconoscere il limite

 Si c’è un limite. E nell’uomo e nella sua bellezza

La natura dell’uomo

Così grande, geniale, sorprendente 

Ha un limite.

Paura. Ma si può vincere!

PAURA ! – di Nadia Peruzzi

E’ l’occhio nero che ti segue e senti pesare dietro alle spalle. E’ insistente e si insinua nel profondo là dove giacciono sepolte le paure ancestrali che hanno attraversato storie e tempi, e che forse ci portiamo dentro nel DNA collettivo come specie umana.

E’ l’angolo buio in fondo alla strada, e quello vicino alla porta di casa venendo dal garage. E’ una stilla, una sola, ma ti prende. La senti appena prima di premere l’interruttore per accendere la luce che cambia tutto lo scenario.

Paure sciocche che si sono sommate ad una serie infinita di altre. Questo siamo in fondo. La somma di linee di paura che abbiamo dovuto superare per arrivare qui dove e come siamo adesso.

Paura di crescere troppo in fretta, paura dell’abbandono o della solitudine. Paura di non essere all’altezza delle prove che ti trovi ad affrontare. Paura di fronte ad una commissione di esame con tutti che ti guardano e tu temi la figuraccia peggiore di tutta la tua vita da studente.

Su tutte la paura del male e della morte, che non ammette repliche .

Avessi vissuto la guerra immagino che avrei scritto di quella.  L’abbiamo vista nei film e letta nei libri ma esserci stati in mezzo deve esser stato terribile . Tutta quella distruzione, quella sofferenza, quel dolore.

Oggi viviamo in un punto della storia e in una parte di mondo che ci dovrebbe garantire serenità e pensiero positivo. Ma solo se ci chiudiamo a pensare a noi stessi evitando ciò che ci circonda.

Guerre in atto, povertà, dolore che si somma a dolore, morti che si sommano alle morti, terrore a terrore in molte, troppe parti di questo nostro meraviglioso pianeta blu.

Abbiamo innalzato muri per fermare esseri umani sofferenti che fuggono da condizioni spaventose per arrivare a scoprire quanto poco possa reggere un muro se un virus dal nome regale viaggia nella valigetta 24 ore di un top manager super accessoriato, partito da migliaia di chilometri di distanza dal nostro piccolo mondo.

Le nostre fragilità e la nostra finitezza un virus impertinente e invasivo ce le può sbattere in faccia in un attimo  e lo sta facendo. Costringe a tenere sotto controllo pure i gesti più semplici ed automatici, quelli che ti accompagnano e sono parti di te da sempre.

Cerchi di non pensarci ma il bla bla bla 24 ore su 24 non ti lascia tregua, ti senti braccato.

Eviti il cinema dicendo tanto per ora non c’è granché di interessante,  ti adatti a malincuore a questa nuova forma di incontro collettivo da Matite ma senza la fisicità e il calore e la complicità del gruppo delle Matite in carne ed ossa.  Siamo file audio e forse se ci riusciamo video…..ma manca la vicinanza, il gomito a gomito anche al di sotto del metro di distanza!.

Passerà anche questo, mi dico. Ce ne dimenticheremo pure. E’ successo con l’epidemia del 1969 che tenne a letto 13milioni di italiani e fece 5000 morti e giace filmata nelle teche dell’Istituto Luce  ma non nei ricordi.

Passerà, speriamo presto. Speriamo con una primavera benevola che ci permetta di uscire all’aperto.  Le migliori energie e intelligenze sono coalizzate e lavorano per contenerlo, neutralizzarlo e sconfiggerlo.

Ha un nome regale è vero, ma non è unto da nessun signore. Per questo non è invincibile.  

STORIA DI UN LIBRO…..CHE NESSUNO  EBBE IL CORAGGIO DI LEGGERE….IN UNA SALA D’ ASPETTO ALL’ ORA DI PRANZO…PER COLPA DEL CORONAVIRUS…. – di Rossella Gallori

Qualcuno lo avrebbe definito “un fulmine a ciel sereno” io  l’ho visto come una nuvola nera, in una volta lunettata e confusa..

Villa delle Rose…la ricordavo come il posto dove eran nati quasi tutti i figli dei miei colleghi più grandi…

Essere li, nel 2020, mi sembrava strano, non lo riconoscevo quel posto…un altro ingresso, un altro scopo…

Il corridoio che portava alla piccola sala d’aspetto. Mi era sembrato stretto interminabile e perfino in salita…

Lui, mi era accanto con l’unico modo possibile: parallelo…mai sovrapposto…al mio modo di essere….

Appena entrata divento un numero un y 214, freddino e sfacciato, che tardava ad annunciarsi nel display posto un po’ troppo in alto…oltre all’ ansia, anche il torcicollo….

Mi è apparso così, come un raggio di sole, abbandonato , su una libreria   malferma, graffiata ma gradevole…un po’ come me…con la gonna buona ed il cardigan giusto ed ampio…per la situazione…il cuore a palla.

Copertina rossa di una “pelle tarocca” il titolo che a distanza non leggo…cerco di innamorarmi di lui di guardarlo con occhi buoni, in un momento di merda….sto per alzarmi, per prenderlo, sfogliarlo, invece un infermiere tatuato forse anche dove non si vede, mi chiama…sempre con il mio anonimo 214…mi porge un sacchetto di ghiaccio, sospirando un delicato a dopo…tra dieci, quindici minuti la richiamo.

Cerco di tornare al mio libro, mi sento sola e non lo sono.

Lui è li, un formato economico, ma pretenzioso, ci somigliamo…chissà perché ho voglia di leggerlo, io che ho imparato a farlo prima di altri bambini dell’epoca…per poi non farlo più, da anni…qualche poesia…righe, mai pagine….

Mi sposto per raggiungerlo, una voce mi ferma, perentoria mi blocca: è bene non toccare niente…con il coronavirus …chissà quanti bacilli tra quelle pagineeeee!!!!

Io vigliaccamente mi blocco e non ti raggiungo…non so nemmeno di cosa parli e già ti volto le spalle…

Vengo chiamata,ho ritrovato il mio nome nella piccola, ma non troppo, sala operatoria piena di monitor… ho un freddo boia…

Divento una cosa per 30 minuti…penso a lui al libercolo orfano e solo, capisco come si sente…buttato lì

Torno in sala d’aspetto con l’ennesima borsa del ghiaccio…mi danno un altro appuntamento…Benigno? Maligno? Chissà? ….appoggio la giacca sulle spalle, il mio compagno di silenzio mi guarda e questa volta mi vede, peccato guardarsi così solo nei momenti di tramontana, mi tolgo la cuffietta e mi avvio all’ uscita, salutandoti da lontano, non ho avuto il coraggio nemmeno di sfiorarti, condizionata da voci ignoranti, che mi han tolto una piccola gioia….

MA  torno sai, torno, tra quindici giorni sono di nuovo li, a Villa delle Rose…e ti tocco e forse ti leggo, almeno il titolo, per sapere chi sei, come ti chiami…e forse ti porto a casa e ti rubo….e ti trovo un posticino, nella mia ignorata libreria…e ti vorrò bene…anche pieno di bacilli, perché si sa nessuno è perfetto…ma nessuno deve essere ignorato….abbandonato…

Due parole: paura e speranza

PAURA – di Luca Di Volo

Sulla paura, oscuro e atavico sentimento, si possono fare eleganti considerazioni…quando non ce l’abbiamo addosso…ma..mentre la si prova?E io in questo momento, come molti (inutile negarlo) sento che qualcosa nel sottile strato della nostra tanto vantata civiltà scricchiola e minaccia di sciogliersi come neve al sole mettendo a nudo la debolezza del piccolo “uomo”.

In questo non siamo per nulla diversi dai nostri primitivi antenati, che da tutto erano spaventati, dal fulmine come dalla tempesta,dalle malattie dalla fame e dalla morte. Però lottarono. E furono grandi perché, come noi , con la paura ci convissero,vennero a patti, si inventarono le religioni, la magia,gli esorcismi…ma resistettero. E noi moderni? Poveri signori di un mondo che vorrebbero dominare anche a rischio di distruggerlo, se basta un microscopico piccolo piccolo virus per farli ripiombare nel buio della paura. Però è anche vero che essa ci è stata utile…non si poteva andare a caccia di una bestia zannuta senza averne un salutare timore e prendere le precauzioni necessarie.

Solo che ora sarebbe preferibile avere davanti un mostro visibile.. .l’avremmo già abbattuto, come i vari Godzilla dei film. Ma questo non lo vediamo,non sappiamo che cos’è… già, l’ignoto, quello che non si sa..questo è l’oscuro sentimento che ci procura il piccolo maligno virus…

Sentiamoci invece fratelli di quei nostri piccoli e indifesi antenati,per loro era il fulmine,per noi , più smaliziati, è un virus, ma seguiamone l’esempio, non abbandonarono fiducia e speranza e piano piano scoprirono che il fulmine si poteva evitare, conoscendolo..e in questo momento sento e spero che sappiamo tutti far valere quei principi di solidarietà, di orgoglio, magari, insomma tutto ciò che fa uomo l’uomo, che ci ha salvati finora e ancora ci salverà.

La vita al tempo del coronavirus – di Mirella Calvelli

L’ispirazione e non l’inspirazione, poiché in quest’ultima risiedono tutte le nostre preoccupazioni e paure degli ultimi tempi, va al famoso romanzo di Gabriel Garcia Marquez e all’idea di poter partire su un battello isolando tutte le nostre ansie con l’amore della tua vita.

Ma non è così, noi e sopratutto io sono un animale sociale e penso anche socievole che si alimenta con l’altro e non nella fattispecie solo di  amici o famigliari.

Ho fatto e abbiamo fatto del nostro lavoro la sintesi dell’accoglienza e della condivisione, abbracciando e interagendo con centinaia di persone, da ogni parte del globo.

Ho e abbiamo aperto la nostra casa a tutto questo, reinventandoci un lavoro che traeva sfogo dalla nostra professione, ma che serviva ad attirare un numero sempre più crescente di ospiti che volevano conoscere la nostra tradizione, non solo culinaria, ma anche sociale, culturale e storica.

Ero ed eravamo orgogliosi di avere avuto l’opportunità e permetteteci  la genialità in tutto questo.

Ho iniziato queste poche righe utilizzando i verbi al passato, come se dessi per scontato che non c’è più nulla da fare…ed invece no!!

Lotterò in questo momento terribile per la nostra comunità, le nostre famiglie , il nostro paese ed il nostro lavoro per infondere un sano ottimismo, il desiderio di umanità e lo spirito di non arrendersi mai.

Cercherò di valutare e non infondere notizie vere,  infarcite di allarmismi gratuiti ai quali i media hanno contribuito con tutta la loro capacità di” penna”.

Sono una matita fiera e contribuirò a colorare il mondo e non a cancellarlo.

Voglio rassicurare chi mi sta vicino, trasformando questo triste periodo in linfa vitale  per creare nuove opportunità e sopratutto…VIVERE. Senza rifugiarsi nel piccolo io, dominato dall’arroganza, dall’egoismo, dalla paura, dalla sfiducia e dalla rassegnazione.

Siamo tutti legati ad un doppio filo e tutto quello che oggi ci accade è sicuramente l’effetto di cause che abbiamo messo in passato.

Non voglio continuare ad alimentare l’ignoranza e la disinformazione, suggerendo e suggerendomi che c’è sempre un’altra angolazione, un’altra realtà da quella soggettiva a quella oggettiva e viceversa.

Non voglio essere alleata delle mie paure e delle mie incertezze, voglio pensare positivo.

Non voglio analizzare, perlomeno qui, le cause e  l’indotto che troveremo presto in tutto quello che sta accadendo.

Sempre nel rispetto di chi se ne è andato a causa di questo virus. Poco importa se vecchio, malato o con patologie conclamate, questo nel rispetto della vita sempre.

Pare che questo virus, non sopravviva al caldo e allora spero che il paese del sole, dia il suo impegno a surriscaldarci, come altre volte ha fatto anche se non richiesto.

Da permettere ai nostri ricercatori, non solo di isolare (già fatto), ma anche debellare definitivamente questo virus prima del riproporsi dell’inverno.

Non ho le qualifiche per sindacare e disquisire in merito, se non di un cervello mio pensante, che vuole e deve rimanere fuori dal terrorismo psicologico, dalle battute free, dalle fake e dai giochi di potere.

Siamo gestibili, controllabili anche in massa, lo abbiamo visto.

Abbiamo assaltato farmacie e supermercati, spesso non per esigenza ma per colpire l’ansia. Come se una bottiglietta di amuchina o un pacco di pasta potesse rassicurarci come la coperta di Linus.

Lo sfogo per far uscire quello che nella mia testa circolava in queste ultime settimane, difficili anche famigliarmente in quanto mia suocera se n’è andata proprio nel giorno che arrivava il primo caso all’ospedale dove era ricoverata.

La difficoltà di raccogliere le forze per incoraggiare la nostra famiglia e salutarla nel modo adeguato Lei che non aveva mai allontanato nessuno, che non aveva mai negato accoglienza e il famoso piatto di “pasta”