La vita in riva al lago – di Laura Galgani
La sensazione di vero e proprio rapimento che mi ha colta all’improvviso quando Cecilia ha letto un brano da “Ti sento Giuditta”, di Piero Chiara, è stata tanto bellissima quanto inaspettata.
Bellissima, sì, perché proprio quella capacità mi piacerebbe tanto avere. Quando cioè non succede niente ma chi scrive riesce a dilatare la realtà, a farla diventare 10, 100, 1000 realtà diverse, che il lettore beve, beve come fossero tutte vere. Ecco, questo per me vuol dire “saper scrivere”. Saper inventare mondi, che poi non sono altro che il riflesso di sé.
Il senso di dilatazione che ne scaturisce è per me inebriante. Sarà che l’anima, non solo la mia, ovviamente, bensì tutte le anime, ha bisogno di estendersi, di dilatarsi fino a toccare i limiti dell’universo – che poi non esistono –per essere felice. E un certo tipo di scrittura facilita questo viaggio.
Non succede niente, in quel racconto: vengono descritti due personaggi che stanno lì, immobili, sulla riva di un meraviglioso lago – non ricordo se si trattasse del Lago Maggiore o del lago di Como, ma poco importa – e la loro unica occupazione / preoccupazione è quella di captare, annusando il vento, gli odori che arrivano da lontano.
O meglio, ad affascinarmi ancora di più è la capacità di uno dei due, il primo che si dedica a questa insolita attività, di isolarsi completamente da ciò che gli accade intorno – un molo gremito di gente, barchette che vanno e vengono, voci e schiamazzi – , e chiudendo gli occhi concentrarsi sulla percezione olfattiva di tante realtà simultanee che coesistono tutte insieme, nello stesso istante, e che grazie a lui, al suo volerle ardentemente percepire, riescono a comunicar il loro esser vive anche da molto lontano. Questa invenzione narrativa permette alle cose che accadono di avere un’eco che supera i confini delle cose stesse, e dona loro una sorta di seconda giovinezza.
Ma non solo; chi percepisce queste sensazioni e ci trasporta in un’infinità di accadimenti che “vediamo” anche con l’immaginazione, possiede il talento strabiliante di farli percepire anche agli altri. E’ infatti grazie agli stimoli che riceve che anche l’altro personaggio inizia ad imparare a percepire quella realtà sottile, che altrimenti avrebbe totalmente ignorato.
E che cosa presenta di diverso dal sempiterno principio creatore quella capacità – il suo riflesso, beninteso – di uno scrittore, di riuscire ad infondere vita alla realtà, a moltiplicarne il riverbero e la consistenza, la durata del soffio vitale? Niente, vi si fonde completamente. Questo è il gioco che mi affascina nell’atto dello scrivere. Questo è il gusto che vorrei provare scrivendo e far provare agli altri. In questo gusto mi piacerebbe perdermi, e vivere.