Gusto maschio e femmina

Arrivare tardi – di Carla Faggi

Cric crac, già il suono mi piace e mi indica il sapore caldo che avvolge e rimane. Si appiccica tra i denti e ci vuole del tempo per liberarli ma è un tempo piacevole e prolungato. Se vogliamo dargli un sesso è un sapore che sa di maschio.

Poi il frutto, ecco un sapore femmina, è frizzante, quasi acido, contrasta col precedente, mi pizzica il naso! Bisogna masticarlo, si attacca ai denti ma in senso orizzontale. Lo schiacci, lo frantumi, dimentichi il sapore precedente, ora mi piace!

Poi c’è la pallina, non so se mi dà piacere, arriva dopo gli altri. Arrivare tardi a volte non è bene, non gli do importanza. Però c’è e continua ad esserci, si fa più importante, arriva fino alla gola. Ora la sento anche nel naso! Non l’ho finita ancora.

Riflessione finale: a volte arrivare tardi non vuol dire starci meno!

Gusto poesia improvvisa

Nebbie – di Anna Meli

Nebbie di soffice ovatta scorrono

spinte da un vento leggero nel freddo silenzio         

Il sole senza colore, con leggera carezza

combatte e non molla.

Un raggio più ardito penetra

spandendo biancore di latte

che illumina e disegna rami di alberi spogli.

I verdi cipressi, fremono

pervasi da un brivido sottile

di pigolio di uccelli nascosti nel folto

in attesa.

Ricordi si perdono nelle nebbie del tempo

immagini scorrono veloci

in delicate tinte d’acquerello.

Il gusto di un pensiero felice

Come dovrebbe essere – di Roberta Morandi

Immagino un sapore di cioccolato. Quello vero, quello che si scioglie in bocca come nell’anima un pensiero felice, ma è ancora solo un sapore e io frettolosamente l’ho portato sulle mie papille. Posso riconoscerlo, ma poi si confonde con altri. Potenza mediatica. Ormai tutte le pubblicità ci fanno vivere le voglie a cui aneliamo, neppure più ci sforziamo di sognare, ce le danno già sognate.

  Ecco ora sento un certo sapore che mi evoca un sapore vero, quello come dovrebbe essere.

Già ogni cosa ha un suo “come dovrebbe essere”, sgombro da tutti gli orpelli che gli abbiamo addossato,  quasi a scrollare da noi la sua vera essenza.

Però è  sufficiente a volte, non sempre, chiudere un attimo gli occhi e assaporare veramente con tutte le papille, rigirare e spalmare in ogni anfratto  prima di deglutire. Operazione talmente consueta a cui non facciamo più attenzione. Gusto. Voce. Pensiero

Il gusto di leggere

Il gusto di leggere – di Mimma Caravaggi

La libreria per me è come una  fiaba che non finisce mai e che ha sempre un finale dolce che mi piace perché poi torno a casa sempre con uno o due libri. Leggere ora che sono in pensione, mi aiuta a distrarmi e isolarmi in un mio mondo tutto particolare dal quale gli altri restano fuori. Leggo a colazione, pranzo e cena mentre Alberto guarda le notizie in TV che a me ormai non interessano più. Mi piacerebbe molto saper leggere e questo purtroppo non so farlo. Il mio approccio ai libri è stato piuttosto tardivo e non il seguito di un percorso durante gli anni per cui, le mie letture sono semplici avventure che mi aiutano ad evadere dalla routine quotidiana e non occupano troppo spazio nella mia mente non più in grado di incamerare nuovi input. Però quando sento una persona competente in grado di leggere e spiegare brani di autori della letteratura italiana, di cui purtroppo non ho mai letto nulla, rimango affascinata e bevo, come una assetata ad una fontana, tutto ciò che mi viene letto e spiegato come ad una bambina a cui vengono lette delle favole. Nonostante mia madre e mia sorella, le studiose di casa, abbiano più volte provato a spingermi verso la lettura di libri adatti a seconda dell’età, all’epoca non mi interessava conoscere il sapere. Quando l’ho capito era molto tardi però non dispero perché dopo aver ascoltato declamare il Manzoni e diversi altri autori, ho deciso di provare, ora alla mia età, a vedere se riesco ad incamerare qualcosa di valido e bello della nostra letteratura.

Il gusto dell’incanto

Il battito – di Stefania Bonanni

Non avrebbe saputo dire quando era successo. Non si era accorta di un fatto particolare che potesse essere stato la causa. Non era accaduto niente di nuovo. Nessuno scossone alla routine. Non era morto nessuno, nessuno aveva partorito. Non aveva saputo di nuovi ammalati, perlomeno non era capitato a nessuno le fosse vicino.

Però  era successo, questo era fuori di dubbio.

Per la prima volta ci pensò davanti ad uno stupendo tramonto rosso brillante.  Un’illuminazione esagerata, che costringeva a fare un passo indietro al buio che premeva. Raggi sghimbesci, frecce di luce, trafiggevano un cielo che era stato grigio, anonimo, tutto il giorno. Fino al momento del riscatto, fino alla riabilitazione offerta da quel tramonto struggente e sanguinoso,  nello stesso tempo. Così perfetto da rendere evidente quanto tutto fosse stato da dimenticare,  fino all’attimo precedente alla sua apparizione. Appunto…e lei: nulla.Si guardò intorno, disse: “bello”, e basta. “Bello” aveva giurato non avrebbe mai detto né  bello, né brutto,  né solare …avrebbe cercato parole giuste, adatte. Ma le venne solo : “bello”. Se ne accorse, ci restò un po’ male, ma accantono’ il pensiero in un angolino, si dette altre possibilità.

Allora guardò dove cercava sempre, quando voleva cose stupefacenti. Alzò gli occhi al cielo, e tra le nuvole e la chioma di una gigantesca quercia dalle foglie croccanti, apparve una palla cangiante di storni, bruttini da soli o per terra, ma meravigliosi in tanti nel cielo, a contendersi il colore delle nuvole,  ad inventare forme inesistenti, a regalare argento. Chissà chi prepara le loro coreografie,  che musica sentono, se seguono il vento, se pensano che anche gli uomini, visti da lassù,  camminano in branchi colorati dal metallo di buffe scatolette.  E lo spettacolo anche questa volta le sembro’: …bello. Già: solo bello. Così  cominciò a preoccuparsi, La situazione poteva essere grave. Poteva non essere in grado di controllarla.

Era sempre stata convinta che finiva tutto, se finiva lo stupore.

Solo, non credeva possibile potesse succedere a lei. Lei si incantava tra i colori delle foglie, a seguire il volo dei mosconi,  a percorrere le scie delle lumache,  Non toglieva le ragnatele perché non credeva si potessero trovare ricami più preziosi. Si accorgeva di piccoli esseri. Era convinta che le cose piccole ed ignorate fossero in grado di cambiare la vita.

Era il battito. Era cambiato il battito. Le emozioni arrivavano lente ed attutite.

Il gusto di scrivere

La vita in riva al lago – di Laura Galgani

La sensazione di vero e proprio rapimento che mi ha colta all’improvviso quando Cecilia ha letto un brano da “Ti sento Giuditta”, di Piero Chiara, è stata tanto bellissima quanto inaspettata.

Bellissima, sì, perché proprio quella capacità mi piacerebbe tanto avere. Quando cioè non succede niente ma chi scrive riesce a dilatare la realtà, a farla diventare 10, 100, 1000 realtà diverse, che il lettore beve, beve come fossero tutte vere. Ecco, questo per me vuol dire “saper scrivere”. Saper inventare mondi, che poi non sono altro che il riflesso di sé.

Il senso di dilatazione che ne scaturisce è per me inebriante. Sarà che l’anima, non solo la mia, ovviamente, bensì tutte le anime, ha bisogno di estendersi, di dilatarsi fino a toccare i limiti dell’universo – che poi non esistono –per essere felice. E un certo tipo di scrittura facilita questo viaggio.

Non succede niente, in quel racconto: vengono descritti due personaggi che stanno lì, immobili, sulla riva di un meraviglioso lago – non ricordo se si trattasse del Lago Maggiore o del lago di Como, ma poco importa – e la loro unica occupazione / preoccupazione è quella di captare, annusando il vento, gli odori che arrivano da lontano.

O meglio, ad affascinarmi ancora di più è la capacità di uno dei due, il primo che si dedica a questa insolita attività, di isolarsi completamente da ciò che gli accade intorno – un molo gremito di gente, barchette che vanno e vengono, voci e schiamazzi – , e chiudendo gli occhi concentrarsi sulla percezione olfattiva di tante realtà simultanee che coesistono tutte insieme, nello stesso istante, e che grazie a lui, al suo volerle ardentemente percepire, riescono a comunicar il loro esser vive anche da molto lontano. Questa invenzione narrativa permette alle cose che accadono di avere un’eco che supera i confini delle cose stesse, e dona loro una sorta di seconda giovinezza.

Ma non solo; chi percepisce queste sensazioni e ci trasporta in un’infinità di accadimenti che “vediamo” anche con l’immaginazione, possiede il talento strabiliante di farli percepire anche agli altri. E’ infatti grazie agli stimoli che riceve che anche l’altro personaggio inizia ad imparare a percepire quella realtà sottile, che altrimenti avrebbe totalmente ignorato.

E che cosa presenta di diverso dal sempiterno principio creatore quella capacità – il suo riflesso, beninteso – di uno scrittore, di riuscire ad infondere vita alla realtà, a moltiplicarne il riverbero e la consistenza, la durata del soffio vitale? Niente, vi si fonde completamente. Questo è il gioco che mi affascina nell’atto dello scrivere. Questo è il gusto che vorrei provare scrivendo e far provare agli altri. In questo gusto mi piacerebbe perdermi, e vivere.