Foto di donne

La comandante e sua sorella – di Laura Galgani

“Nina, stai attenta con qui’ filo, non vedi che s’è tutto bell’e attorcigliato!”

“Oh Gina, e un lo saprò fare l’uncinetto, secondo te! L’è la terza coperta che si fa pe’ i’ prete!”

“Via via voi due… state calme, e s’arriverà in fondo anche a questa, ormai e manca poco!”

La Tina, nel dire così, agguantò il filo di cotone rosa che la Nina stava maneggiando con un po’ d’imbarazzo, dopo il rimbrotto della Gina. Le era salito anche un po’ di rossore sulle gote, in genere colorite, sì, ma non così tanto.

“Don Roberto – insisté la Tina – domenica dopo la Messa m’ha chiesto a che punto s’era. E vuol portare la coperta personalmente alla missione di Madre Teresa di Calcutta, prima che laggiù cominci la stagione delle piogge, insieme a tutto quello che s’è raccolto all’ultima giornata per le missioni. E non manca mica tanto!”

“Te, tu vuoi sempre fare la comandante!” – sbottò la Nina – “o che credi che noi si stia qui a fare l’uncinetto solo per passare i’tempo? O un tu lo vedi come ci s’impegna, tutte quante! La Gina l’ha bell’e finito tutti i su’ riquadri verde smeraldo, la Licia quelli rossi co’ fiori in rilievo, io quelli bianchi co’ trafori, ora si tratta di rimetterli insieme e di ricucirli. E un’importa che tu ci stia addosso in questa maniera. Ma tanto, con te, e l’è inutile, tu hai sempre voluto comandare… “

e detta questa frase lapidaria, dura come sassi, che avrebbero potuto andare a sbattere sul cuore della Tina, facendolo andare in pezzi, si rimise a testa bassa sul suo lavoro, che le cresceva fra le dita quasi per magia, tanto si muovevano veloci e leggere intrecciando quei fili rosa pallido.

Tina, sua sorella, “la comandante”, non replicò. Era così da sempre, con lei. Fin da quando erano piccole. Lei, la maggiore, la prediletta del babbo, esercitava il ruolo di vice mamma con la sorella e coi fratelli più piccoli. Anche quando, in tempo di guerra, suonava imperioso l’allarme prima dei bombardamenti, era lei, la Tina, che in un attimo saltava giù dal letto e radunava i più piccoli. Li aiutava a mettersi le povere scarpe e a scendere le scale, prendendo in braccio Giuseppe, il più piccolo, che proprio non voleva saperne di aprire gli occhi e di correre al rifugio.

Quando arrivavano in quel cubo sotterraneo, grigio, di cemento freddo, il babbo li contava rapidamente con gli occhi: uno due tre quattro. C’erano tutti. La mamma no, non c’era, se n’era andata, portata via dalla polmonite all’inizio della guerra, e il babbo era riuscito a non partire perché malato anche lui, di tisi.

Questi ricordi affollavano ancora la mente delle due sorelle, e trapelavano fra un punto e l’altro del lavoro all’uncinetto. “Tina – ricominciò la Nina, calma – ma ti ricordi di quello che ci raccontavi mentre eravamo laggiù sotto, fra quell’odore d’umido e di paura, mentre le sirene suonavano forte e si sentiva gli stonfi delle bombe che scoppiavano in città? Tu c’incantavi con le tu’ storie di boschi streghe e orchi.”

Ma la Tina annuiva e basta, con lo sguardo basso e il mento verso il petto, e si cullava un po’ avanti e indietro, come a farsi coccolare dal silenzio dei ricordi. 

Una foto ricordo

Nonna sulla panchina – di Chiara Bonechi                                                                                

                                                                                                                     

Affacciata alla finestra aspettava e sapeva che non avrebbe mancato il suo appuntamento pomeridiano.

Infatti eccola la sua nonnina, quasi trainata dal volpino bianco al guinzaglio che abbaiando annunciava che erano lì, appena dietro l’angolo.

“Nonna!”esclamò la bambina.

“Scendi, non farmi salire”diceva spesso la nonna,”vado sulla panchina dalla Maria!”

E si avviava là dove Maria l’aspettava, come avveniva ogni pomeriggio di sole, da primavera fino all’estate.

L’aspettava per chiacchierare e non era sola, anche Giuliana spesso usciva di casa e si sedeva vicino a loro con i guanti da ricamare, fili colorati di moulinè, aghi e forbicine.

A capo basso, creando con abilità particolari roselline rococò, pur essendo più giovane ascoltava volentieri e più volentieri lavorava ascoltando le due anziane amiche disquisire sui cibi cucinati, sulle nuore e sui figli, talvolta anche su Gesù, le preghiere e la Messa.

E intanto le ore del pomeriggio scorrevano, le donne così passavano il tempo, serenamente.

Ogni tanto la nonna si voltava per vedere se arrivava la sua nipotina, avrebbe interrotto per un po’ le chiacchiere e se la sarebbe coccolata dondolandola sulle ginocchia e canticchiando la filastrocca di staccia buratta o cavallino arrò arrò.

La bambina accorreva con il pane della merenda in mano.

“Nonna, ora finisco di mangiare e poi giochi con me!”

Mentre gustava la fetta di pane guardava con curiosità le abili mani che ricamavano roselline rococò e rimaneva attenta alle parole che passavano da una bocca all’altra a formare frasi per lei spesso senza significato.

Il tunnel in foto

Tunnel luminosodi Vanna Bigazzi

Dicono che appena morti, entriamo in un tunnel che sfocia in un cielo luminoso. Mi chiedo cosa accadrebbe, cosa si vedrebbe se guardassimo all’inverso, ovvero se fossimo nella parte luminosa e lanciassimo  un fascio forte di questa luce in questa fantastica galleria: per vedere cosa c’è sulla terra…

Il raggio tanto potente e carico di un vento poderoso, staglierebbe ai margini del tunnel, alcuni umani colti di sprovvista, poiché giunti a quell’imboccatura da una tiepida spiaggia di un mare calmo ed azzurrino. Le loro figure, scure contro il sole, si muovono in una danza improvvisata e sconnessa: la danza di chi si sente catapultato, oltre la propria volontà, dentro il mondo, in una vita mozzafiato.

Suggestioni di una bottiglia verde

L’universo in bottiglia – di Vanna Bigazzi

Una bottiglia magica

scorre fra le nostre mani.

Onde oscillanti ad ogni movimento,

creano un cosmico fluido serpeggiante.

Astri antichi danzano in ellittiche galassie,

gas e polveri si fondono in occulte foschie.

Nel cielo notturno compaiono aurore.

La luce del sole è calata:

colori mutano mistiche atmosfere.

Miriadi di piccole stelle

nuotano lente e confuse

in sinistre maree di alghe violacee.

Cielo e mare si uniscono

Nel sinuoso magma universale.

Foto tre

Sei personaggi – di Mimma Caravaggi

Sono sei grandi amici e si conoscono da anni. Amano la danza, ballare è il loro scopo più importante, è il loro sogno. Vorrebbero fare, sempre uniti tutti insieme, un grande spettacolo pertanto sperimentano forme coreografiche diverse e divertenti, inusuali. Dedicano tutto il loro tempo libero per riunirsi e danzare un pò dovunque sempre alla ricerca dell’originalità. Il bisogno di libertà e credere in qualcosa di diverso li accomuna. Nella danza trovano i loro sogni la loro libertà di espressione e li fa evadere da un mondo in cui sono costretti a stare. Tutti questi loro ideali si ritrovano al momento della danza. Nelle case, che ormai calzano troppo strette, restano il tempo giusto perché non vedono l’ora di evadere e ritrovarsi. Non vogliono perdere questo senso di unione e libertà che hanno faticosamente acquisito nel tempo e nell’amicizia che permetterà un giorno di realizzare i loro giovani sogni.

.

                     

Foto due

Sulle panchine d’estate – di Cecilia Trinci

  • Senti come si sta!
  • Che ventarellino!
  • Anche oggi erano 33 gradi al termometro sopra la farmacia!!!
  • Boia dhe!
  • (arriva un signore con il cane)Scusate…….si può bere quest’acqua della fontana?
  • si si….beva beva!
  • Ah grazie!…….Ma….. ma quest’acqua è calda!
  • Eh sì i’ ghiaccio oggi un l’hanno portato
  • Ma se scorre un po’ si raffredda?
  • No no questa resta sempre calda un si preoccupi
  • Allora il mio canino come fa a bere quest’acqua calda?????
  • Eh s’adatterà….così un gni fa male allo stomaco!
  • …….
  • (arriva un altro signore)Scusate ma un posto per mangiare????
  • Secondo cosa vuole mangiare: carne o pesce?
  • Carne
  • Allora vada alla Bottega XXX
  • ????
  • Giù…in fondo….sull’angolo……
  • No passi di là
  • Macché tutto diritto
  • Sie!!!! in fondo deve girà……
  • Che gli dici?? E gira,…. ma gira dopo…..lei vada vada…..
  • (il signore smarrito) ???????  dove di qua?
  •  si di là
  • Si di qua
  • Si di giu
  • ……….
  • (arriva ancora un altro signore) Scusate……? c’è un posteggio in questo paese?
  • Vada in fondo e giri là…poi si trova le scale e le sale e va in paese……
  • Come? Le scale!? Ma scendo di qua?
  • Certo! Scende e gira e poi trova le scale….vada vada……..
  • !!!????
  • ……………

*****

  • Senti come si sta!
  • Che ventarellino!!!!
  • Ah bene!
  • Boia!
  • Mi ci vole il golfino sulla gola…
  • Per la voce per la gola di golia ce n’è una sola…..
  • Anche stanotte un s’è dormito…ma la mi’ mamma dorme sa’?….. E si va a letto ….bonanotte mamma…e lei ….pah! e dorme. La mattina si sveglia “bongiorno!, mi fa, ha’ dormito?” e io “non tanto” e lei “io sì ho dormito”….e dorme vai!
  • Io quando lavoravo m’alzavo alle quattro di notte e prima delle cinque c’avevo i’ pulmann. Un n’ho perso uno. M’alzavo sempre prima della sveglia.
  • Prima de’ grilli ero già ‘n casa e lui mi diceva “o che sé belle sveglia?”. Mai perso un pulman
  • E quando andavo a lavora’ c’era il mi’ capo che mi volle portare a Torre del Lago perché aveva fissato i tordi. Dice vieni con me senza cenà……ma io dissi mah! Sarà bene che qual cosina mangi, un si sa mai! Poi si parte e s’arriva a i ristorante e portano i tordi…..ma io gli fo: ma che son tordi questi? Questi so’ storni!.
  • Eh gli storni son più duri….so’ filosi…e vanno bolliti prima di cocerli…..però so’ boni. Si fanno gli spiedini con la pancetta, la patata, i’ pane condito, la cipolla……tutti trattati so’ boni.
  • Come la ghiandaia! Bah vengan de’ crostini spietati!!!!!
  • Bah quando un ci s’aveva da mangià si mangiava anche i passerotti. Ognuno mangiava quelli del su’ tetto e guai se qualcuno andava sul tetto d’un altro a piglia’ i passerotti!!!
  • Eh lo so io che vole di’ la fame! La mi’ mamma ci diceva sempre con quello che c’è mancato a noi si manteneva bene quattro famiglie….ma bene ci si mantenevano.
  • Eh si faceva la zuppa di chiocciole scappate, la minestra di lesso scappato….
  • E infatti i mi’ fratello diceva o mamma ma a noi ci scappa sempre tutto????
  • O quando si sparava dalla 500? S’andava di notte nel bosco,  in quattro co’ i ttetto aperto: uno guidava e tre sparavano. A i’ buio con la torcia puntata. Una notte si fece 22 lepri. I’ problema era dividere 22 per 4!!!!
  • Si ma a caprioli un c’ho mai tirato…mi fanno un che…..piangono quando si feriscono e paiono bambini…no no a caprioli un ci tiro!
  • Ma lui è poco bono anche co’ cinghiali perché li guarda …invece un si deve guardare si va su d’imbracciatura e …pum. Si tira e via. Senza guarda’……
  • Io chiappo bene la lepre…..qui’ giorno che gli facevano la posta alla lepre e erano in cinque appostati in macchina…co’ la luna piena…..e io chiò…un colpo e la lepre giù…proprio davanti a quelli…manca poco gli piglio lo sportello…O te? Mi fanno. Eh o io? L’ho chiappata. E s’è mangiata noi!
  • Si scuoia e via e che ci vole? Poi si tratta con gli aromi adatti …….e vien di nulla! La lepre si tratta in un modo…il cinghiale in un altro……Meglio di tutti so’ i conigli selvatici. Si scuoiano e si mangiano Bah! So’ spietati!
  • Arrosto so boni vai!
  • Co’ tutte le spezie….e l’aglio…
  • L’aglio…pe alzà ‘l batacchio!
  • Ovvia giù!
  • O di paglia o di fieno basta che ‘l corpo sia pieno

Comunque i contadini di fame un moian mai…..per esempio lo sai che c’è di meglio degli asparagi? I pungitopo! Si si …si piglia i butti novi, si bollano finché un vengan dolci e poi si fa la frittata…..dopo che uno l’ha assaggiata gli asparagi li lascia lì.

  • Mah….. ora una bella fetta di prosciutto me la mangerei
  • Ah bene una frega co’ l basilico fresco! A me de’ fiori o de pensierini un me ne ‘mporta nulla ma di un bel mazzetto di basilico sì.
  • Bah! O bimba! I’ basilico fresco è una goduria!
  • Ma co questo caldo un si mangia miha nulla!
  • Nulla!
  • Macché Oggi avevo fatto la paella, il riso a freddo e poi i’ ppollo co’ peperoni……gli ho detto cosa voi? Voi anche l’arista? No no m’ha detto. E s’è mangiato il riso a freddo e basta. Era bono c’avevo messo i pomodori, il cetriolo, gli zucchini lessi,  l’olive, l’origano il basilico il formaggio il salamino, l’ova sode……poi dopo…. un pochino di pollo co’ peperoni e rizzati. Con questo caldo un s’ha fame via! Alla mi’ mamma gli piace la carne. Per cambià domani fo la trippa.

Foto due e tre

NONNE E NIPOTI – di Simone Bellini

– Ciao nonna, io vado con gli amici sulla spiaggia, lo dici te alla mamma quando torna ? –

-Va bene stai attenta però, non fare tardi o mi tocca sentire le lamentele della tua mamma!-

-Va beenee!!! Ciao Adelina, ciao Luisa, Giovanna, Elsa prima o poi farete un golf anche a me, ci conto !-

– Com’è cara tua nipote, sempre allegra ed educata ! Guarda, se mi vien bene, gli do questa maglia che sto facendo.-

Via di corsa al vecchio distributore dismesso, è lì che Eleonora ha fissato con le amiche del cuore, per poi incontrarsi con i ragazzi sul lungomare.

Quindici anni, il vento fresco sulla faccia, l’allegria, la spensietatezza di quella benedetta età accompagnano le ore felici di quella combriccola, mentre ridono, corrono, saltano dentro un tubo  edilizio di cemento, fra gli sguardi intontiti dei  coetanei con il cellulare in mano che si stancano anche solo a guardarli.

– Si , tua nipote non sembra di questi tempi, ricorda noi, la nostra gioventù, libera di correre, sfogare tutte le energie sporcandosi per poi tornare a casa stanche ma felici !-

– O ragazze, s’è fatto tardi ! Ho tutto da preparare ! C’è “Sanremo” stasera !!!

Foto di gruppo

Le allegre comari – di Tina Conti

Come fate, non le so, a me  non riesce lavorare  a maglia tutti i giorni, mi manca il tempo. Oggi Giovanni mi ha portato dall’orto tutto preparato ma  in cucina ci metto tanto tempo, il  desinare era lungo, il papero quest’anno era grosso  e ho dovuto faticare per metterlo in pentola.

Poi sono venute le ragazze a cercare le cose  per la commedia. Hanno rovesciato tutto il baule, risate, da morire, si sono provate tutto, le camiciole, le calze di cotone e i cappelli. Ma ve lo  ricordate voi il mio cappello per il matrimonio dell’Agatina? Come stavo bene, a me i cappelli hanno sempre donato.

-Sii Rosa. , ricordati di girare il papero senno ti  si brucia. Rosa, ci sono andate anche le tue nipoti in paese, la macchina era piena

:- se la prendono comoda,vanno al bar, dalla profumiera, non sono mica come noi che si doveva fare sempre tutto di corsa, e poi non si avevano soldi da buttare. Quante cose si facevano da noi!

Foto di un tubo

Il tubonido – di Rossella Gallori

Si erano infilati lì, non per non esser trovati….e nemmeno per gioco, era una necessità fisica, la loro, volevano semplicemente provare a volare…volare in un piccolo spazio, cercando di non farsi male, con le ali spiegate a mo’ di farfalla. Uccelli giocosi in una gabbia aperta,  aerei senza passeggeri….privi di anni, di zavorre.

Guya, la più agile, era stata la prima a scovare l’ immenso tubo, che venne definito “il nido”.

I gemelli rubarono le tute, dal capanno sulla spiaggia, la porta aveva ceduto al loro peso senza difficoltà.

Qualcuno portò la musica, una immensa radio che quasi si accese da sola, annunciandosi con una nenia lenta ed intrigante, che li avvolse e coinvolse.

Iniziò la danza,  che i pescatori di passaggio identificarono come macabra, il nero incorniciato dal grigio/acciaio, un rito antico…li salutarono senza voce, allontanandosi dalla riva.

Per loro, invece, fu libertà, un movimento, tra sogno ed incubo, non più  piccoli uccelli….non risero, non si sfiorarono, ed ognuno divenne quello che in fondo voleva essere: un falco dagli occhi di gelo, un’ aquila aggressiva e sorda, un cardellino timido…..un pavone impietoso e tronfio, qualcuno diventò airone…e non fece mai sapere del suo volo pesante…….

Io, io mi ritrovai nel sogno, rannicchiata nel letto e divenni gufo….ed aspettai la notte per poter vivere…..

Fotografie del tempo

La freccia del tempo – di Luca Di Volo

Tre, anzi, quattro libellule, giovani donne danzanti che sembrano aggredire l’obiettivo,volti ed occhi abbagliati dallo splendore di un panorama inondato di luce. Avanzano trionfanti, quasi fossero sul palco di un teatro dove il pubblico è sospeso nell’attimo che precede il primo applauso scrosciante. Comincia a formarsi una musica che,trapassando l’immagine ci giunge come sottofondo sottile e struggente..

Bello..troppo bello….Bisogna congelarli nel tempo questi attimi,e così avviene nella foto.

L’immagine è fissata nel tempo, immutabile. Ma il tempo non si può ignorare, continua a fuggire e non si ferma.

E allora spostiamo la clessidra in avanti. Un’altra istantanea..ed eccole qui le nostre ninfe danzanti,sono ancora belle..sedute insieme, intente a sferruzzare con l’uncinetto. Non c’è più l’antico smalto, ma nell’ora della quiete della viuzza, esso gli si sostituisce con un colore antico, più morbido e avvolgente. Inventano storie  fantastiche, forse quando le racconteranno i nipotini ne saranno spaventati…Sicuramente faranno qualche commento al vetriolo sulle  ultime imprese della bellona del paese..Oppure nella pace dell’angolo serale ricameranno ogni tipo di dipinto, con francescana pazienza.

Ma capovolgiamo ancora la nostra clessidra.. Ora si forma un’immagine …insolita..Ombre di luce e materia ,sembrano agitarsi trasportate da un vento potente.Un vento che sembra provenire da un improbabile oggetto geometrico..una sorta di condotto,forse un passaggio ignoto. Un segno …una promessa di rinascita? L’azzurro del cielo che si intravede, così splendente, ci induce a crederlo. Ma non lo sapremo mai. Almeno finché anche noi non saremo lì.

Intermezzo: fiaba autobiografica

“Il cielo più bello non esiste” – di Carla Faggi

Il castello che si vedeva in lontananza era immenso, aveva tante e tante torri, ponte levatoio e si stagliava contro un cielo stellato stupendo, il più bel cielo che Carla avesse visto.

Le sue amiche le dicevano che per possederlo doveva aspettare un principe azzurro che ce la portasse.

Carla un po’ aspettò, ma era di carattere impaziente e poi gli piaceva fare le cose da sé!

Quindi, dopo aver ascoltato i consigli di sua madre, detta la Fata Morina, per i lunghi capelli scuri, decise: parto da sola e vado a conquistare il castello!

Prese tutto il necessario, scarpe comode, un maglione caldissimo perchè era un po’ freddolosa,e un sacco a pelo.

Chiamò la Fatina Morina e gli disse: non torno per pranzo e forse neppure a dormire. E si incamminò.

Il castello ed il cielo stellato sembravano vicini ed invece erano lontani lontani.

Cammina cammina Carla incontrò tante persone e paesi, anche un principe azzurro sul cavallo bianco da cui accettò un passaggio per arrivare prima al castello, ma poi scoprì che di principe aveva solo il mantello ed il cavallo. Quindi un po’ delusa scese e continuò il cammino da sola.

Avrei dovuto dar retta alla fatina Morina, pensò, mi aveva detto che ero in grado di arrivarci da sola e solo dopo averlo conquistato avrei potuto ospitare il cavaliere che più mi piaceva.

I paesi che incontrò furono tanti, alcuni ballavano e cantavano vestiti con abiti alla moda, altri erano tristi e soli, si sentivano inadeguati e cercavano se stessi.

Incontrò anche paesi che volevano fare la rivoluzione, e rimase un po’ lì con loro. Ci credeva nella rivoluzione, pensava che tutti avrebbero potuto avere un loro castello e tanto, tanto cielo stellato.

I rivoluzionari gli piacevano ma la rivoluzione non le riuscì, allora andò avanti.

Cammina cammina si accorse che camminare era bello, la soddisfaceva, arrivava quasi sempre dove aveva deciso, e quando non ce la faceva continuava l’indomani.

Ogni tanto alzava gli occhi al cielo e cercava quella stella laggiù laggiù che gli sembrava tanto bella. Era sempre lontano lontano, però erano così belline anche quelle stelle sopra di lei che sembravano tanto più vicine.

Infine arrivò vicino ad una quercia e ci si sedette sotto. Che albero stupendo, pensò, si sentiva tranquilla e allo stesso tempo eccitata!

Forte e protettivo, sapeva di casa sua. Rivoluzionario però, le foglie le perde non in autunno ma a fine inverno, per dare generosamente spazio alle gemme.

Gli sembrava che quella quercia fosse un castello e poi sopra, quel cielo era bellissimo anche se non c’era quella stella laggiù laggiù.

Si sentiva proprio bene, cosa era successo? Non sapeva spiegarlo, forse erano stati i paesi in festa che aveva incontrato, o quelli tristi e riflessivi, forse le rivoluzioni, quelle riuscite e quelle fallite. Oppure l’essersi messa in gioco o la fortuna di aver trovato quella quercia, oppure semplicemente perchè sopra di lei c’era un cielo bellissimo.

Fu così che decise di ritornare a casa, tra l’altro aveva anche un po’ di fame.

Arrivò appena in tempo, la fata Morina aveva appena buttato la pasta.

La seconda foto

DONNE SULLA PORTA – di Sandra Conticini

Anche quest’estate sono lì, la Giuseppina, l’Ida, la Maria e l’Elsa, ma manca la quinta la sora Giulia che quest’inverno se n’è andata.

Io l’ho detto a mi’ figlioli, dice la Giuseppina, quando muoio buttate via tutto e vendetela quella casa, ma fate le cose a modino, altrimenti vengo a tirarvi pe’ i piedi!!!!

Tutti gli anni si mettono li con i loro lavoretti e passano l’estate  tra una chiacchiera e l’altra a fare le solite cose da ormai cinquant’anni.

La Giuseppina, la leader del gruppo ed anche la più giovane, ha le samnie perchè vorrebbe andare in giro per i paesi a ballare o alle feste ma, come dice lei, le altre non ce la fanno sono troppo vecchie e, fra patate, calli ai piedi e dolori alle ginocchia è un miracolo se arrivano alla porta.

Ci furono degli anni che aveva trovato delle persone più giovani che andavano in ferie nella casa accanto alla sua e la sera la scarrozzavano a cene e balli e lei era contenta. Le altre passavano la serata a parlare alle sue spalle ed il giorno dopo tutto era come prima.

Anche quel tempo è passato e si è dovuta rassegnare a stare lì fuori con queste amiche a farsi prendere dalla noia.

Eh sì perchè quello è uno dei tanti paesi fantasma, sempre vuoto in inverno e in estate ci sono solo persone anziane che non sanno come fare la spesa perchè negozi non ce ne sono e si devono raccomandare a questo o a quello per farsi portare qualcosa.

In inverno si lamenta e spera di poter andare presto alla casa in campagna per stare fuori in compagnia. Quando poi è li non vede l’ora di tornare in città e chiama i figli perchè la riportino a casa, ma poi non vuole tornare. 

La terza foto

Giocando da Cecilia – di Carla Faggi

Forza, prova, ce la farai!

Guarda come faccio io, uno due e…salto!

Ecco, guarda anche Luca, tre quattro…doppio salto!

Via, prova anche te, non è difficile. Vedi si fa così…cinque sei…sono su una gamba sola!

Anche Gabriella salta, sette otto…si tiene con una mano e gira…è bravissima, lo puoi fare pure te!

Non essere paurosa!

Nove dieci…vedi Tina come è brava, doppio salto mortale e Carmela, undici dodici…a testa in giù, incredibile!

Forza, prova, non è difficile!

Vedi come fa Chiara…tredici quattordici, triplo salto mortale, e poi Vanna…stupenda, quindici sedici, è bravissima!

Che dici? Vuoi provare anche te? Peccato…è troppo tardi! Ormai…!

Sta arrivando Cecilia e si fa un altro gioco!

Le tre foto

Il tubo – di Stefania Bonanni

Non succedeva mai niente, in questo paese dimenticato, a metà  strada tra il mare profondo, ed il deserto di una smisurata campagna arida.

Fino al giorno in cui arrivò la notizia dell’oleodotto.  Avrebbe attraversato il mare, sarebbe sbucato proprio qui, e avrebbe proseguito distruggendo il paese, gli ulivi, quella misera nostra campagna. Tutto sarebbe stato più  povero, più deserto, più inutile, più  brutto, e soprattutto, non più nostro.

Ci si ritrovava in piazza, seduti sulle panchine di pietra, tutti i giorni, tutto il giorno, fin da quando eravamo piccoli. Mai molto allegri, più spesso annoiati, sempre sognando e parlando di andare via. Solo che non si sapeva dove,  né a far che. E consapevoli che si sarebbe stati soli.

La notizia dell’arrivo del tubo ci aveva devastato. Solo sul momento, però. Perché poi ci era nata dentro una rabbia che cresceva via via che passavano i giorni. La rabbia ci aveva scosso, ci dava energia e parole, e voglia di gridare, ma anche di ballare,  cantare, e di ridere. Di saltare e di abbracciarci.

Finché  il tubo arrivò davvero. Nessuno ci aveva ascoltati, né  visti, né  sentiti.

Un tubo gigantesco,  piazzato tra il mare e la spiaggia, subito dietro la barriera di scogli.

Ci si avvicinò con sospetto. Era enorme: un lombrico transgenico, un’arteria di ferro. Ma la dimensione che più ci colpì fu quella del foro, dentro al tubo. Lucido, rifletteva le onde e moltiplicata il riverbero dei raggi di sole.  Sembrava un’armatura. Poteva essere un’armatura. Faceva sognare. Sembrava il carapace di un animale sconosciuto. A noi sembrò una tana. Era rovente di giorno e freddissimo di notte, ma ci nascondeva e riparava. Non ci pioveva, come in piazza. Non si vedeva nulla,  guardando da fuori il riflesso del sole sul metallo faceva sembrare tutto buio. Ci si poteva cantare, ed il rimbombo faceva compagnia, ci si poteva rintanare bagnati appena usciti dall’acqua, si ballava, si scivolava sulle pareti tonde.

Non ci si divertiva così  da quando avevano smesso di alzare il palo della cuccagna, in piazza.

Guardare insieme tre foto

Gruppo di signore in un esterno – di Nadia Peruzzi

Più di uno al paese andava raccontando che ci erano nate su quell’angolo di strada,in quello scorcio di case un po’ sgarrupate ma vive. Si erano ritrovate a giocare lì con i loro vestitini a fiori, ai tempi della scuola,nelle ore del pomeriggio a compiti fatti.Crescendo, quel canto del paese era diventato il luogo dei segreti della loro adolescenza, dei primi amori che si dovevano tener segreti ai genitori e dovevano rimaner celati nel patto ferreo fra loro,pena la rottura della loro amicizia. Poi il racconto dei matrimoni e dei fidanzamenti,dei figli in arrivo o già arrivati e le complicazioni ,le ansie ,la felicità che ognuna trasmetteva alle altre.Adesso chi passa vicino a loro e le saluta mentre rincasa le guarda come sopravvissute di un mondo non più al passo con i tempi. Troppo sanguigno e fatto di rapporti diretti, sull’uscio di casa,dopo aver fatto le faccende di corsa per trovare il tempo per parlarsi e stare insieme facendo pure qualche lavoretto per diletto. Più di una volta era il prendersi in giro con bonomia ad avere il sopravvento, spessissimo il divertimento era fare il liscio e busso a chi si ritrovava a passare davanti a loro.La signora Argia era quella che se la passava peggio.Appena sentivano il ticchettio dei tacchi da 12 in fondo alla via,erano già pronte a farle la radiografia.Quanti bracciali,quante collane,quanto trucco! Era un po’ sopra le righe la signora Argia ,le piaceva mettersi in mostra e loro non gliene perdonavano una. Avevano scoperto anche il primo dei tanti ritocchini che si era fatta nel corso degli anni. “ Ma non si guarda allo specchio prima di uscire con quelle gonne così corte?E quelle labbra ormai a canotto?”“ E qui poeromo di Alvise come farà con tutte le corna che si porta appresso da anni?Possibile che un si sia mai accorto di nulla? Ohimmena,che mondo arrovesciato!” E giù a sferruzzare l’ennesimo maglioncino che poi nessuno dei nipoti si mette mai. “ Vanno dai Benetton, loro, mai avuto il piacere di vedergliene indossare uno alla Luisa ”, dice la Pina.“Ma lo sapete, fa la Giuseppa, che l’Alice l’è incinta? Ma mica di su’ marito. Sembra di uno che l’ha incontrato in discoteca una sera che la c’è andata con le amiche!” “Che tempi” dicono in coro le altre! La trina di uncinetto sembra non finire mai. Forse è come quella di Penelope . La sera a casa l’Armida la disfa per rifarla uguale uguale il giorno dopo . Ne ha fatte così tante di trine all’uncinetto che ormai non sa più dove attaccarle. Anche la stanza da bagno ne è piena e sa che suo marito non le sopporta più. “Sono stufo di vivere dentro una bomboniera !Prima o poi te le stacco tutte!” le ha detto più di una volta. Nell’epoca del tutti frettolosi e tutti chiusi in casa , quel quartetto è diventato man mano la memoria storica e insieme l’autobiografia del paese. Il paese è così si sa tutto di tutti, ma qualcuno ne sa sempre più di qualcun altro e le arzille vecchiette non erano seconde a nessuno. Non è difficile pensare che dopo aver vissuto per tanto tempo insieme, per non far dispiacere all’una o all’altra, possano anche passare a miglior vita tutte nello stesso momento.E perché no anche su quell’angolo che ha visto srotolarsi le loro vite, le loro gioie , i loro dolori , le loro ciarle venate di ironia e molta saggezza contadina. Il sindaco, noto anticipatore e organizzatore indefesso, da qualche tempo rimuginava  su come tradurle in fonte sempiterna di ispirazione. Un monumento per consegnarle all’immortalità sarà sufficiente e di che tipo? “ Quasi quasi ne parlo con il geometra Compasso, è un tipo un po’ strano,  ma di idee ne ha da vendere e penso che  faremo proprio un bel lavoro”. 

A proposito di guardare

Era una bella notte chiara – di Gigliola Franceschini

lamatitaperscrivereilcielo

Contrariamente al solito, mamma mi mise a letto vestita, mi tolse solo le scarpe ed io mi addormentai mentre lei e il babbo riempivano di roba due tascapani. Poi, nel cuore della notte, via da casa, quasi correndo, dalla periferia della città verso la campagna. Quando era venuto l’ordine di evacuare la costa, eravamo scappati dal nostro paese affacciato sul mare ed eravamo giunti con mezzi vari, in molti tra parenti e amici, nella splendida Volterra. Arrivammo dopo un bel tratto di strada  ai piedi di una collina vicino al podere di Pietrino che ci dava a strozzo  un po’ di latte ogni tanto. C’era un avvallamento nel terreno con erba molto alta  che ci poteva quasi ricoprire , stando distesi. C’ero già stata a giocare coi miei cugini e mio padre che era sempre in cerca di luoghi dove ripararci in caso di bisogno. Ci sdraiammo sull’erba e aspettammo un po’.  Per distrarre noi ragazzi il babbo cominciò a indicarci il cielo, le stelle, la via lattea. Era una bella notte chiara  e si vedevano brillare tanti puntini luminosi come lucciole lontane. “vediamo cosa mettiamo nel carro dell’Orsa Maggiore” disse mio padre e iniziammo un gioco che facevamo spesso “ E arrivato un carico di B, C, di O  e via a gara a cercare nomi di cose  da riporre  nel nostro fantastico carretto. C’era tanta pace intorno, qualche animaletto  faceva sentire il suo verso, sembrava tutto tranquillo. Per noi ragazzi ancora piccoli, era un’altra avventura, non sapevamo di essere in guerra ed anche se ce lo avessero detto, non avremmo capito.  Ad un tratto una luce forte e intermittente brillò nella notte e venne veloce verso la nostra collina. Non era una stella cadente come pensai io, ma l’ombra scura e minacciosa di un caccia che rasentò gli alberi con un crepitio di legna che brucia e continuò la sua corsa          lasciando nell’erba i segni di una mitragliata lampo.  Non c’era stato il tempo di avere paura, avvenne tutto ad una velocità incredibile. Mi ritrovai la mano calda di mio padre sulla fronte, non so se per proteggermi o tenermi ferma a terra. Ho saputo dopo  che aveva sentito in  lontananza il rombo dell’aereo e si era preparato al peggio.  Non so quanto tempo passò, rimanemmo immobili appiccicati gli uni agli altri, in attesa di qualcosa che non conoscevamo, un po’ infreddoliti e per unica coperta, quel cielo stellato che invitava alla quiete. Forse mi addormentai. Alle prime luci dell’alba riprendemmo il cammino verso casa. Sembrava che la città fosse stata risparmiata, nonostante ci fossero ancora alcune postazioni di tedeschi che gli aerei alleati cercavano di snidare. I nonni non erano voluti scappare. Mio nonno diceva sempre in quelle occasioni che voleva morire  nella sua casa e nel suo letto e che se era destino, così fosse! Ci accolse con un bricco di caffè caldo, fatto con la cicoria e ci disse “ Avete visto che non è successo niente, ve lo dicevo io, avete solo preso freddo e umidità cambiatevi almeno le calze” A quel punto mi accorsi che per fare presto mi ero messa i sandali nuovi di camoscio bianco , quelli con gli occhielloni  ai lati e che si erano sporcati di terra e macchiati con l’erba fresca. Andai a letto sperando che il giorno dopo mamma li avrebbe puliti col bianchetto.  Mi capita ancore di incantarmi alla vista del cielo di notte, quando mi allontano dalla città e l’aria è più pura e mi torna alla mente quel lontano episodio. Non mi porta tristezza perché non fui triste, avevo, come tutti i bambini piccoli, l’animo sereno e sgombro di pensieri dolorosi. La mano calda di mio padre è quello che ricordo di più  perché tremava e non si voleva staccare dalla mia fronte. Non ne sono sicura, ma sotto quel cielo che ci avvolgeva da ogni parte, qualcuno piangeva.

Gusto dieta

ANDANDO QUA E LÀ CON IL CIBO – di Elisabetta Brunelleschi

Mangio volentieri, sono una golosa.

Ma sto attenta a quello che metto in bocca.

Mi piacciono i buoni cibi, i piatti scelti, mi ritengo capace di riconoscere i sapori genuini.

Quando vado a fare la spesa controllo la provenienza, gli ingredienti, la data di scadenza e mi sforzo sempre di portare a casa prodotti naturali, tradizionali, legati alla terra.

Talvolta però mi tradisco, con che cosa? Con le patatine e le olive. Chissà cosa c’è dentro, ma io le mangio ugualmente, specialmente durante gli aperitivi!

Questo amore per il cibo, in gioventù mi ha creato non pochi problemi. Non sono mai stata magra Già in quegli anni vincevano le immagini di donne snelle e longilinee, ma io non ero magra e con difficoltà riuscivo a seguire le diete, i digiuni non facevano per me.

Ricordo amiche che sapevano rinunciare a pane, pasta e dolci, secondo i dettame delle diete allora in voga.

Io senza pane non riuscivo a vivere!

C’erano amiche che proprio avevano la mania della dieta, erano capaci di eliminare qualsiasi alimento e poi entrare nella taglia 44 o 42. Io al di sotto della 46 non sono mai scesa, anzi in alcuni periodi ho avuto la 48.

Ricordo un viaggio a Parigi dove il pranzo era una baguette divisa in quattro parti (eravamo in quattro). In certe giornate, dopo camminate di 10\12 ore, avevo proprio fame, ma tacevo e mi adeguavo alla compagnia. Devo però ammettere che una volta a casa abiti e gonne mi risultarono larghi intorno ai fianchi.

Rammento un viaggio a Roma con digiuni all’ora di pranzo (solo una tartina minuscola) e cene in ristoranti scelti dove una ragazza del gruppo rifiutò un risotto a i 4 formaggi perché, disse, c’era il parmigiano e, secondo lei, il parmigiano nei 4 formaggi non va messo; quindi digiunò, non mangiò altro.

E altri viaggi con amiche che mangiavano un gelato in tutto il giorno e mezza pizza per cena.

Ma anch’io una volta, avrò avuto 24\25 anni, decisi di seguire una dieta. Stimolata da una collega del tempo che era molto molto più pingue di me, andai alla Weight Watchers. Gli alimenti previsti erano ridottissimi: prosciutto senza grassi, un misurino di olio, tonno al naturale, carote crude, 7 spaghetti, formaggi quasi eliminati, zuccheri niente, il pane non mi ricordo se neppure si poteva nominare. In una settimana persi quasi 6 Kg, poi c’era da andare avanti e percorrere il periodo di mantenimento, che io naturalmente non riuscii a seguire.

Comunque di quella dieta conservo ancora alcune abitudini, per esempio non metto zucchero nel caffellatte, le insalate posso mangiarle anche scondite e cerco di cuocere evitando fritti e soffritti, mangio poca pasta.

Poi via via, che dalla giovinezza sono passata all’età matura, ho capito che in certi momenti della vita il cibo mi era servito come difesa, bisogno che compensava mancanze affettive. Mangiavo guidata dall’ansia. Mangiavo e non sentivo cosa c’era intorno a me. Poi magari, al termine di un pasto mi mi preoccupavo delle quantità che sempre mi parevano troppe. Oppure il mangiare mi serviva come riposo. Ricordo che nei primi anni di lavoro in sedi lontane e disagiate, il tornare a casa e sedermi a tavola mi rilassava, mi faceva stare tranquilla. Magari c’era anche l’appetito ma l’ingoiare mi riempiva anche di qualcosa che compensava le fatiche!

Ed ora che sono sulla strada della vecchiaia mi ritengo una golosa attenta. Posso decidere di non abbuffarmi, mi regolo nella scelte, vorrei mettere in pratica lo slogan di Slow Food: buono, pulito e giusto.

Potrei ancora raccontare tanto del cibo, di come sazia, coinvolge e lega le persone, i temi sono tanti:

cibo e amici,

pizzerie innominabili e desiderio di mangiare a casa propria,

conferenze e rinfreschino finale,

cene e convitati sconosciuti,

donne esperte in cucina e donne che con fretta cuociono uno spaghetto,

scampagnate e spuntino,

escursioni, pranzo a sacco e merenda finale,

erbe commestibili e gruppi di raccolta,

sapori che scompaiono e frutti antichi,

fuoco acceso e pane abbrustolito,

il piacere del gusto,

il piacere dei sensi,

il sentirsi appagati ….

Gusto mistero

Sapori di casa e cantina – di Vanna Bigazzi

La cantina è quella parte di casa, fuori di casa. Il gusto antico della caramella mi porta in cantina: si respira quella freschezza odorosa di cibi nascosti, quel mistero che  ti spinge a indovinare.

Al contrario il profumo di frutta si assapora dentro la casa, specialmente dentro in cucina, dove l’odore di cibo permane, gustoso, allettante, stimolando la salivazione e la voglia di nutrirsi anche in orari desueti.

Gusto “La matita per scrivere il cielo”

Ieri…oggi… con le Matite – di Rossella Gallori

C’era una porta piccola, difficile da varcare.

C’erano molte scale, ripide e faticose.

C’era una sola finestra, dal vetro opaco.

C’erano disegni che non sapevo leggere.

C’erano scritti che sembravano solo suoni.

C’ era lei…lei…lei…c’era lui e lui…ed un arrivare di corsa cambiando profumo…per piacere a loro.

C’erano fantasmi che bussavano alla porta ed altri che sotto il tavolo mordevano i polpacci, c’era la rabbia che bolliva, la voglia di scappare, il sentirsi straniera ed estranea, il fare sogni in un’altra lingua, ignorando le Ave Maria, certa che il mio kaddish  , sarebbe stato ignorato, orfano anche lui come me.

C’era una nuvola rossa, due occhi color carbone, un naso a patata, golfini perbene, un sorriso silenzioso, capelli biondi.

Poi…….

C’era una stanza, con due finestre trasparenti e spifferose.

C’è una scala grande…ed un profumo che non cambio, perché è il mio.

Ci sono fantasmi amorosi che siedon con noi, qualcuno  ci fa il solletico, altri asciugan piccole perle d’acqua, lacrime dolci, come i ricordi, che non mordono più. Ci guardano seduti sulla cassapanca di legno color biondonoce, si alternano, senza spingere.

C’è una porta grande, chiusa ma aperta.

Ci sono sapori e saperi,  ed un gusto che è anche mio…ruzzola una caramella cattiva, dalla bocca al cestino, sventola una piccola asta di cioccolato,  senza dardo, né bandiera…una mela sa di ananas ed un ananas sa di mela, confondendo idee che han voglia di perdersi…

Alzo lo sguardo e non sono solo qui…ma per strada, in un bosco, le onde mi cullano, le barche mi accolgono….spesso son per terra, a volte sottoterra, ma non ho paura, non ho più paura….

Attraverso i microscopici  i fori dei Tuc vedo…vedo magia, sassi, spugne, conchiglie, parole….due occhi di fuoco, una nuvola rossa….ed una frangia di “saggina morbida” che dà valore ad aquiloni senza filo, a sugheri che affondano, a candele senza stoppino, in un lento valzer delicato e luminoso…

Poi si fa buio, ma non per sempre ….e tutti sanno il Kaddish ed io biascico  l’Ave Maria……

Gusto merenda

Antiche merende – di Patrizia Fusi

Penombra, il sapore dolce e profumato della mela mi invade, gli occhi chiusi mi aiutano.

Lo scricchiolare fra i denti della pallina mi disturba, il sapore di menta mi arriva alla gola e mi infastidisce.

Il gusto del biscotto e leggermente salato, friabile si scioglie in bocca e un insieme accattivante.

Torno bambina e ricordo le merende di allora.

Pane con olio con sale o con zucchero.

 Pane bagnato da vino o da acqua con sopra lo zucchero.

Pane con pomodoro strusciato sopra e condito.

Pane con un velo di burro che in estate si distribuiva bene sulla fetta perché era morbido, ma in inverno rimanevano piccole scaglie lontane l’una dall’altra, la quantità era sempre minima; sopra o sale o zucchero.

Pane e frutta di stagione.

Pane con formaggino, non troppo gradito da me.

Pane con un quadratino di cioccolata, incartato nella stagnola con la figurina del calciatore del momento, una fetta grande di pane che io mangiavo a grossi morsi mentre davo piccolo morsi al cioccolato per far sì che me ne rimanesse un bel pezzo da poter gustare senza pane.

C’era anche una mattonella grande, metà nocciola e metà cioccolata, che veniva venduta a fette, c’erano i dadi di cioccolata con le nocciole, e degli strani fruttini che a me non piacevano. Tutto sempre e comunque era “col pane”.