Un ciliegio, un amore – di Roberta Morandi

Quando una foto ti porta lontano, un ciliegio in fiore ti offre i suoi frutti futuri.
Furono dei lunghi sguardi, intensi, forse inizialmente non complici. Sicuramente assertivi, poi, dopo, molto dopo arrivò la chimica, ma quasi mai le parole.
In fondo a che servono le parole se tutto è già stato detto dagli occhi, da quella luce che arriva fino al cuore, che dà spazio alla chimica da cui non puoi sottrarti.
Vorrei ma non posso, ma si che posso, no, non posso, non devo.
E perché mai non devo?
Figli dei tempi dove tutto si manifesta nel turbinio dell’evoluzione dei pensieri contrapposti alle consuetudini dei padri che ora non contano più nulla, o forse ancora hanno un peso.
Coscienza, autocoscienza, sorellanza, indipendenza, ubbidienza, uniformarsi, ribellarsi. A chi, a cosa?
Facile quando si dice, quando è la bocca a parlare, belle frasi fra compagne, amiche, sorelle.
Agire è altro, senti il divario, la dicotomia che si configura nel mettere in atto un pensiero emergente ma non del tutto assimilato, compreso, condiviso.
Ecco condiviso.
Chimica che scorre, ci raggiunge, ci travolge e ci sorprende.
A pelle.
Il turbine dei sensi spinti da una forza incontrollabile.
Estasi irripetibile, terrena, le cui catene avvinghiano l’essere alla prigione dei corpi materiali.
Quanto tempo?
Infinito.
Un battito di ciglia.
Le parole hanno un senso di verità, di complicità.
Si confondono e si frammentano nei giorni, negli anni.
Le dita si intrecciano, gli sguardi s’incrociano più complici, le mani carezzano anfratti conosciuti, già esplorati eppur nuovi.
C’è ancora del nuovo nella conoscenza, le parole si sommano alle conferme e tutto si fonde nella quotidianità.