A proposito di guardare

Era una bella notte chiara – di Gigliola Franceschini

lamatitaperscrivereilcielo

Contrariamente al solito, mamma mi mise a letto vestita, mi tolse solo le scarpe ed io mi addormentai mentre lei e il babbo riempivano di roba due tascapani. Poi, nel cuore della notte, via da casa, quasi correndo, dalla periferia della città verso la campagna. Quando era venuto l’ordine di evacuare la costa, eravamo scappati dal nostro paese affacciato sul mare ed eravamo giunti con mezzi vari, in molti tra parenti e amici, nella splendida Volterra. Arrivammo dopo un bel tratto di strada  ai piedi di una collina vicino al podere di Pietrino che ci dava a strozzo  un po’ di latte ogni tanto. C’era un avvallamento nel terreno con erba molto alta  che ci poteva quasi ricoprire , stando distesi. C’ero già stata a giocare coi miei cugini e mio padre che era sempre in cerca di luoghi dove ripararci in caso di bisogno. Ci sdraiammo sull’erba e aspettammo un po’.  Per distrarre noi ragazzi il babbo cominciò a indicarci il cielo, le stelle, la via lattea. Era una bella notte chiara  e si vedevano brillare tanti puntini luminosi come lucciole lontane. “vediamo cosa mettiamo nel carro dell’Orsa Maggiore” disse mio padre e iniziammo un gioco che facevamo spesso “ E arrivato un carico di B, C, di O  e via a gara a cercare nomi di cose  da riporre  nel nostro fantastico carretto. C’era tanta pace intorno, qualche animaletto  faceva sentire il suo verso, sembrava tutto tranquillo. Per noi ragazzi ancora piccoli, era un’altra avventura, non sapevamo di essere in guerra ed anche se ce lo avessero detto, non avremmo capito.  Ad un tratto una luce forte e intermittente brillò nella notte e venne veloce verso la nostra collina. Non era una stella cadente come pensai io, ma l’ombra scura e minacciosa di un caccia che rasentò gli alberi con un crepitio di legna che brucia e continuò la sua corsa          lasciando nell’erba i segni di una mitragliata lampo.  Non c’era stato il tempo di avere paura, avvenne tutto ad una velocità incredibile. Mi ritrovai la mano calda di mio padre sulla fronte, non so se per proteggermi o tenermi ferma a terra. Ho saputo dopo  che aveva sentito in  lontananza il rombo dell’aereo e si era preparato al peggio.  Non so quanto tempo passò, rimanemmo immobili appiccicati gli uni agli altri, in attesa di qualcosa che non conoscevamo, un po’ infreddoliti e per unica coperta, quel cielo stellato che invitava alla quiete. Forse mi addormentai. Alle prime luci dell’alba riprendemmo il cammino verso casa. Sembrava che la città fosse stata risparmiata, nonostante ci fossero ancora alcune postazioni di tedeschi che gli aerei alleati cercavano di snidare. I nonni non erano voluti scappare. Mio nonno diceva sempre in quelle occasioni che voleva morire  nella sua casa e nel suo letto e che se era destino, così fosse! Ci accolse con un bricco di caffè caldo, fatto con la cicoria e ci disse “ Avete visto che non è successo niente, ve lo dicevo io, avete solo preso freddo e umidità cambiatevi almeno le calze” A quel punto mi accorsi che per fare presto mi ero messa i sandali nuovi di camoscio bianco , quelli con gli occhielloni  ai lati e che si erano sporcati di terra e macchiati con l’erba fresca. Andai a letto sperando che il giorno dopo mamma li avrebbe puliti col bianchetto.  Mi capita ancore di incantarmi alla vista del cielo di notte, quando mi allontano dalla città e l’aria è più pura e mi torna alla mente quel lontano episodio. Non mi porta tristezza perché non fui triste, avevo, come tutti i bambini piccoli, l’animo sereno e sgombro di pensieri dolorosi. La mano calda di mio padre è quello che ricordo di più  perché tremava e non si voleva staccare dalla mia fronte. Non ne sono sicura, ma sotto quel cielo che ci avvolgeva da ogni parte, qualcuno piangeva.

Gusto dieta

ANDANDO QUA E LÀ CON IL CIBO – di Elisabetta Brunelleschi

Mangio volentieri, sono una golosa.

Ma sto attenta a quello che metto in bocca.

Mi piacciono i buoni cibi, i piatti scelti, mi ritengo capace di riconoscere i sapori genuini.

Quando vado a fare la spesa controllo la provenienza, gli ingredienti, la data di scadenza e mi sforzo sempre di portare a casa prodotti naturali, tradizionali, legati alla terra.

Talvolta però mi tradisco, con che cosa? Con le patatine e le olive. Chissà cosa c’è dentro, ma io le mangio ugualmente, specialmente durante gli aperitivi!

Questo amore per il cibo, in gioventù mi ha creato non pochi problemi. Non sono mai stata magra Già in quegli anni vincevano le immagini di donne snelle e longilinee, ma io non ero magra e con difficoltà riuscivo a seguire le diete, i digiuni non facevano per me.

Ricordo amiche che sapevano rinunciare a pane, pasta e dolci, secondo i dettame delle diete allora in voga.

Io senza pane non riuscivo a vivere!

C’erano amiche che proprio avevano la mania della dieta, erano capaci di eliminare qualsiasi alimento e poi entrare nella taglia 44 o 42. Io al di sotto della 46 non sono mai scesa, anzi in alcuni periodi ho avuto la 48.

Ricordo un viaggio a Parigi dove il pranzo era una baguette divisa in quattro parti (eravamo in quattro). In certe giornate, dopo camminate di 10\12 ore, avevo proprio fame, ma tacevo e mi adeguavo alla compagnia. Devo però ammettere che una volta a casa abiti e gonne mi risultarono larghi intorno ai fianchi.

Rammento un viaggio a Roma con digiuni all’ora di pranzo (solo una tartina minuscola) e cene in ristoranti scelti dove una ragazza del gruppo rifiutò un risotto a i 4 formaggi perché, disse, c’era il parmigiano e, secondo lei, il parmigiano nei 4 formaggi non va messo; quindi digiunò, non mangiò altro.

E altri viaggi con amiche che mangiavano un gelato in tutto il giorno e mezza pizza per cena.

Ma anch’io una volta, avrò avuto 24\25 anni, decisi di seguire una dieta. Stimolata da una collega del tempo che era molto molto più pingue di me, andai alla Weight Watchers. Gli alimenti previsti erano ridottissimi: prosciutto senza grassi, un misurino di olio, tonno al naturale, carote crude, 7 spaghetti, formaggi quasi eliminati, zuccheri niente, il pane non mi ricordo se neppure si poteva nominare. In una settimana persi quasi 6 Kg, poi c’era da andare avanti e percorrere il periodo di mantenimento, che io naturalmente non riuscii a seguire.

Comunque di quella dieta conservo ancora alcune abitudini, per esempio non metto zucchero nel caffellatte, le insalate posso mangiarle anche scondite e cerco di cuocere evitando fritti e soffritti, mangio poca pasta.

Poi via via, che dalla giovinezza sono passata all’età matura, ho capito che in certi momenti della vita il cibo mi era servito come difesa, bisogno che compensava mancanze affettive. Mangiavo guidata dall’ansia. Mangiavo e non sentivo cosa c’era intorno a me. Poi magari, al termine di un pasto mi mi preoccupavo delle quantità che sempre mi parevano troppe. Oppure il mangiare mi serviva come riposo. Ricordo che nei primi anni di lavoro in sedi lontane e disagiate, il tornare a casa e sedermi a tavola mi rilassava, mi faceva stare tranquilla. Magari c’era anche l’appetito ma l’ingoiare mi riempiva anche di qualcosa che compensava le fatiche!

Ed ora che sono sulla strada della vecchiaia mi ritengo una golosa attenta. Posso decidere di non abbuffarmi, mi regolo nella scelte, vorrei mettere in pratica lo slogan di Slow Food: buono, pulito e giusto.

Potrei ancora raccontare tanto del cibo, di come sazia, coinvolge e lega le persone, i temi sono tanti:

cibo e amici,

pizzerie innominabili e desiderio di mangiare a casa propria,

conferenze e rinfreschino finale,

cene e convitati sconosciuti,

donne esperte in cucina e donne che con fretta cuociono uno spaghetto,

scampagnate e spuntino,

escursioni, pranzo a sacco e merenda finale,

erbe commestibili e gruppi di raccolta,

sapori che scompaiono e frutti antichi,

fuoco acceso e pane abbrustolito,

il piacere del gusto,

il piacere dei sensi,

il sentirsi appagati ….