Intermezzo natalizio

alberino di Rossella Gallori

In questa prima parte del nostro cammino abbiamo vissuto intense emozioni. Vi ricordate il sughero e il pizzo? le stoffe di Laura e Rossella? l’incontro con Alessandra? e ….”se una notte d’inverno un viaggiatore….” e la pioggia battente, le pagine lette, le barchette, i diari non scritti, gli abbracci…….?

Se non ricordate rileggetevi! Mai perdere le briciole di questo nostro andare!

Mille auguri speciali!

Barche sull’Oceano

Monologo de La leggenda del pianista sull’Oceano (da Novecento di Alessandro Baricco

Tutta quella città… non si riusciva a vederne la fine…
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
Era tutto molto bello, su quella scaletta… e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema. Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace. In questo posso vivere.Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai… Quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una. A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…Io ci sono nato su questa nave. E vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo. La Terra… è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.Non scenderò dalla nave.Al massimo, posso scendere dalla mia vita. In fin dei conti, è come se non fossi mai nato.

Nadia Peruzzi

Ho conosciuto gente semplice che aveva pochi studi ma un cuore grande come l’oceano. Era capace di muoversi fianco a fianco, in avanti,  accettando pure il rischio della sconfitta ma a testa alta.

Aveva come riferimento un orizzonte che si stagliava più netto di quanto non emerga dalle nebbie confuse dell’oggi. Mirava diritta all’infinito osando l’impossibile.

Insieme, in gruppo, la paura di sciogliere gli ormeggi per affrontare il mare aperto la si tiene a bada meglio. Tenendosi stretti stretti, si riesce addirittura a sconfiggerla. Ci si ritrova coraggiosi come non mai. Insieme, fianco a fianco, avanti.

Quella gente semplice, ma decisa, si muoveva così.

Sandra Conticini

Ognuno ha la sua barca e la fa navigare come può, ma tutti in maniera diversa.

Nessuno la vuole cambiare, né prendere la scaletta per scendere, perché ha paura che cambiando succeda qualcosa che non è in grado di gestire.

Antonella Del Vecchia

Conosco delle banche che non sono mai uscite dal porto perché avevano paura delle correnti, piene di sole, ogni giorno affrontano la forza del mare, sono incatenate al porto e non sanno come uscirne, sono arrugginite e non escono per paura di spiegare le vele, hanno paura di affrontare il mare in tempesta…….

Carla Faggi

Potrei andare ma non vado.

Sto qui e mi distendo sul mare.

Mi accoglie e mi coccola.

Mi bagna, mi scalda e mi raffresca.

Col mare vado e viaggio, ma non mi muovo.

Sento i suoi profumi, guardo i suoi colori, godo della sua freschezza.

Non mi muovo ma non sono più qui.

Rossella Gallori

….tra una barca ed un pianista….in un mare che spesso mi spaventa e non è sempre vita…

Salì in silenzio la stretta scala, ottantotto gradini che sembrava non portassero a niente, se non ai suoi sogni.

Dal faro, la citta appariva immensa ed irraggiungibile, una striscia di luce confusa senza fine…si strinse nel suo cappotto , il suo cappotto più bello non la proteggeva abbastanza, tremava mentre guardava miriadi di barche ancorate aveva freddo  lacerata dal vento, graffiata dentro, ondeggiava come una vela di carta velina, le sembrava di udire una musica, un suono stonato ed arrugginito, note ostili quasi la schiaffeggiarono.

Infondo era nata li, non avrebbe rischiato un  passo in più, un vento più forte, un mare più grande…

Si appoggiò alla ringhiera,  per non cadere, i suoi muscoli erano irrigiditi, una tastiera da accordare….

Una sirena la salutò, un po’ pesce un po’ donna, un po’ amore  ed un po’ odio. La sua vita le apparve riflessa nell’ acqua, che sembrava invitarla, doveva solo decidere se sembrare libera o esserlo…..

Carmela De Pilla

Era mio padre quella barca.

Lacerata, ridotta a brandelli, tormentata, ma solida e robusta, tanto robusta da trovare sempre la forza per ritornare nel porto.

Erano gli anni quelli in cui molti faticavano per non essere travolti da quel mare in tempesta che era la miseria, dilagante soprattutto in quei luoghi di un’Italia povera, stanca, privata perfino dell’essenziale.

Fu così che a trentasette anni, nel lontano 1956, decise di lasciare il piccolo paese della Puglia, un porto sicuro per lui, per avventurarsi in quell’oceano immenso e sconosciuto e approdare poi in Germania, solo, spaventato e intimorito da quella nuova vita così diversa.

Ma era solido e robusto mio padre, proprio come quella barca che ritorna nel porto più coraggiosa e più forte, incurante delle fatiche, degli ostacoli e ogni giorno affrontava la sua battaglia con tenacia, con ottimismo, sicuro che ce l’avrebbe fatta, doveva farcela,  per sua moglie e per i suoi figli.

Con i suoi occhi attenti, diligenti e vigili carpiva ogni segreto per potersi dire ogni giorno che la vita è bella nonostante tutto.

Non ho mai visto mio padre triste,  arrabbiato sì, deluso, ma mai triste, sento ancora nell’aria la sua risata fragorosa e contagiosa che ancora  mi fa sorridere.

Ha navigato una vita intera mio padre, ma è ritornato sempre nel porto e ancora oggi, in quel piccolo paese della Puglia, qualcuno tra quelli rimasti lo ricorda con ammirazione e affetto.

Vanna Bigazzi

Inquietante è l’infinito.

Per contemplarlo si parla col mistero.

Strana dimensione, vorrei che fosse mia.

La posso immaginare…

Un punto lontano che la vista non cattura,

un suono bello che ti fa impazzire,

perché sarà incompiuto.

La vita finisce,

e se non finisse?

Continuerebbe in Cielo!

E per chi non crede?

Chi non si slega non può aspirare all’infinito!

Forse non è solo inquietante,

è anche affascinante.

Può essere un sogno, un credo, un ideale:

un Dio dalle lunghe mani

che suona musica eterna

a un pianoforte dai suoni assoluti,

dai tasti illimitati.

Stefania Bonanni

Ho visto barche partire per viaggi tranquilli, aspettare il mare calmo, il vento giusto, aprire vele gigantesche, e spiaccicarsi su scogli insignificanti, che bastava fare attenzione, per riuscire a scansare.

Ho visto barche piccine infilarsi tra il fianco di navi grosse ed il molo, e far parlare di se’ il mondo.

Ho visto navi da crociera, super lusso e tanti conforts, affondare per la stupida arroganza di chi si è  sentito così bravo, da non prestare attenzione,

Ho visto barconi carichi di disperazione. Ho sentito freddo per il mare che attraversavano in inverno, paura per quelle onde immense. Ed erano solo ragazzi, donne,  bambini, umanità in viaggio, alla ricerca di un posto sicuro nel mondo.

Ho visto barche di renaioli, quelle che si governano con solo un remo lungo, volare sull’Arno in piena, su scivoli e pescaie. Sembravano cavalieri antichi, su desideri volanti,  l’incerato gonfio di vento e pioggia, come un mantello magico.

Ho raccontato una volta di una donnina piccina piccina che scivolava sull’acqua su un guscio di noce a metà.  Non le faceva paura l’oceano, poteva essere una fogna, il termine del suo viaggio.

Carla Faggi

È bene essere la barca che siamo.

Sono una barca a vela?

Allora aspetto il vento, con lui mi muovo, me lo faccio amico adattando le mie vele, vado veloce o vado piano a seconda che noi, il vento ed io, ci intendiamo e ci condizioniamo.

Il vento non c’è? Allora resto in porto. Non è tempo perso ma tempo di preparazione perché al viaggio ci si prepara. E poi che senso ha una barca a vela in mare senza vento!

Sono una barca a motore?

Allora preferisco il mare calmo perchè così comando io.

Vado forte, vado piano, mi fermo. Tutto dipende da me. Non cerco il vento perchè ho solo bisogno di carburante, cerco solo la velocità ed un mare adatto.

Ogni barca è quello che è e se cerca ciò che è fatto per lei, può conquistare il mare e anche gli oceani.

Altrimenti è costretta a restare in porto a galleggiare.

Intrecci

Racconto mediterraneo – di Luca Di Volo

Il sole feriva il bosco delle vecchie querce da sughero, trapassava il fogliame dei vecchi tronchi con pozze di luce e macchie nere come le cortecce delle piante secolari. Un luogo santificato da tante religioni, Fenici, Romani, Druidi, e infine i cristiani di S.Efisio, protettore dell’antica Sardinia.

Forse per questa storia magica era divenuto il ritrovo di un piccolo nucleo di briganti e fuorilegge… almeno secondo la legge dei “continentali”. Lo usavano per tenere i contatti con la gente del popolo, che li aiutava e proteggeva.

Quel mezzogiorno, col sole giallo della prima estate, uno di questi briganti ..lo chiameremo Elio, si era recato al solito posto aspettando vivande, munizione e, soprattutto, notizie dal mondo “di fuori”. Avrebbe dovuto venire la vecchia Artemisia, sempre vestita di nero totale…ma quel lampo rosso fuoco intravisto tra i cespugli del pendio gli fece intuire che forse la messaggera era un’altra.. Si sedette col fucile in grembo e fu quasi spaventato colto di sorpresa dallo svolazzio di uno scialle rosso sangue che comparve sbucando dal nulla. Ma più bello di quel pizzo era colei che lo indossava…occhi di giaietto, capelli corvini, labbra di carminio…La guardò meglio, la conosceva , da lontano, sapeva che era la moglie di un suo compare fuorilegge anche lui. E fu per questo motivo che ,finito il primo impeto passionale, il suo contegno divenne più freddo che poté, per lui non doveva essere nemmeno più una donna, anche se in fondo all’oscuro della sua coscienza c’era stata una grossa onda d’urto.

Si salutarono dopo pochi minuti con deferenza e distacco, ma, nel voltarsi con una mossa serpentina un pezzetto dello scialle le rimase impigliato in un cespuglio..lui fece per trattenerla ma lei, agile come gazzella, era già lontana lungo le balze della collina…Non rimase che raccogliere quel lungo filo rimasto appeso ai rami… di lei gli rimaneva solo quello…

Era un lungo filo, che li teneva uniti ma distanti. Lui sapeva di lei da suo marito e nelle lunghe notti davanti al fuoco aveva capito che quel volto così bello aveva su quell’uomo un ben diverso effetto che su di lui. Ne sembrava quasi annoiato.

Ridette uno sguardo a quel filo rosso sangue e ci vide una sorta di traccia del destino: dove l’avrebbe portato quel filo lo attraeva e che sentiva in tensione verso una donna appena intravista?

Da quel momento volle andare sempre lui nel boschetto a tenere i contatti.

La terza volta lei ritornò. Lui aveva un mazzetto di fiori purpurei , glieli porse con gesto timido per il timore di offenderla, ma lei mostrò di gradirlo, spalancando quegli occhioni su cui il sole trasse profondi lampi neri.

Quel bosco esercitava un richiamo assordante che lo portava a ritornare, era una cosa scontata, nessuna domanda e nessuna risposta era possibile.

Divennero amanti, e, come tutti gli amanti, si trovarono un rifugio. Gli era sempre piaciuta quella casa sulla collina, un po’ nascosta tra i tigli. Si scopriva spesso incantato a vederla arrivare dalla finestra del salotto quando arrivava la sera.

Ma arrivò il colpo di mannaia, la tragedia…mentre all’imbrunire era al solito posto ad aspettarla, la vide giungere trafelata..un colpo secco e il suo corpo ruzzolò all’indietro.

Una spiata, un ‘imboscata dei gendarmi..non la vide più.

Ma tutte le sere , quando il sole traeva barbagli dalle foglie delle sughere ,tornava lì, aspettava le stelle, convinto che lei fosse una di loro..e i pensieri erano lenti, molto lenti, non facevano rumore, solo a tratti quando diventavano forti e determinati sembravano sfondare le orecchie. Ma era solo un attimo, poi di nuovo il silenzio.

Intrecci

Sassolini nella testa…. – di Sandra Conticini

Dalla prima volta che l’aveva vista passeggiare a Cordova lungo il mercato colmo di merci e gente frettolosa, non l’aveva più scordata, lei, che sembrava l’unica a fermarsi, calma e tranquilla ad osservare tutto, in particolare quel coso strano. A lui sembrava solo un pezzo di corteccia di sughero che era stato tagliato da un albero. Lei invece lo carezzava, lo baciava, lo odorava e rideva, rideva, rideva. Così si incantò a guardarla e si lasciò attrarre da quella calamita, che erano quegli occhi nocciola così vivi e pieni di scintille.

Disse allora che il sughero per lei era importante, le ricordava il babbo che aveva visto poco, e quando trovava pezzi di sughero più grandi se li coccolava e le sembrava di essere con lui a tagliare gli alberi per guadagnarsi il pane.

In quella vacanza nacque un’amicizia importante.Quando lui partì le promesse si buttarono via ma poi lei sparì nel nulla. Quell’anno si fece forte e decise di tornare a cercarla in quel mercato dove si erano conosciuti.

Era sicuro fosse lì, non sapeva come, ma percepiva la sua presenza. All’improvviso sentì  sullo sterrato che riecheggiavano passi, come se milioni di sassolini avessero cadenzato il ritmo di una clessidra.

La vide, le sembrò più bella di quando l’aveva lasciata, con quel vestito di trina rosso, attillato, con uno scollo profondo e quella rosa rossa tra i capelli neri quasi blu.

La chiamò più di una volta, ma lei non lo riconobbe. O fece finta di non riconoscerlo?  Non era possibile che si fosse scordata di lui…

Sentì un movimento quasi impercettibile alle sue spalle e nell’ oscurità vide un bambino che le correva dietro piangendo….avrà avuto quattro o cinque anni. I lineamenti non assomigliavano a quelli della mamma, non sembrava di origine spagnola..

In testa gli iniziarono a frullare strani pensieri ai quali non riuscì  dare una spiegazione. Avrebbe voluto chiarirsi le idee, domandare, parlare con lei, ma  non riuscì a vederla nei giorni che rimase a Cordova. Così tornò  a casa con più pensieri di quando era partito. 

Intrecci

Ballando in rosso – di Carla Faggi

Manuel uscì di casa quasi correndo, aveva fretta di arrivare.

Lo attendeva una serata tra amici, a casa di Juanito.

Avrebbero festeggiato il ritorno di Carmen dall’Andalusia.

Gli era sempre piaciuta Carmen, una donna di carattere, corpo asciutto ma generoso dove occorreva, occhi neri penetranti, una femmina da perderci la testa e Manuel l’aveva persa.

Era convinto che pure Carmen provasse per lui interesse, sentiva che tra loro c’era un filo che li teneva attratti, una tensione amorosa che li univa.

Carmen aveva promesso che al suo ritorno li avrebbe deliziati di una sua performance di flamenco assieme ad una amica andalusa.

Meno male, pensò Manuel, fosse stato un amico mi sarei preoccupato!

Arrivato davanti all’abitazione di Juanito, si soffermò incantato ad osservarla quella splendida casa sulla collina, sullo sfondo i Pirenei, di lato un piccolo lago.

Gli era sempre piaciuta fin da piccolo, quando assieme a Juanito e Carmen giocavano alla corrida, lui faceva sempre il matador, il toro lo facevano a turno gli altri. Carmen piangeva sempre quando toccava a lei.

Che tenerezza, non vedeva l’ora di incontrarla!

La casa è piena di amici, la festa è iniziata, Carmen danza, la sua amica fa il ballerino.

Il ritmo incalza e la danza e il pizzo rosso della mantilla sui capelli corvini e si beve e si canta e ancora il ritmo e le gambe di Carmen e la gonna che ondeggia e il seno di lei che balla con la musica e eccola è vicina. Si , ora le dico che l’amo.

La musica finisce. Manuel si avvicina entusiasta. Carmen sorridendo si avvicina: “ciao Manuelito, ti presento Lucilla, la mia compagna. Ci siamo conosciute in Andalusia, ci siamo innamorate e oggi voglio gridarlo al mondo! Voglio essere libera, voglio vivere la mia diversità!

Manuel ascolta, annuisce e i suoi pensieri diventano lenti, molto lenti, non fanno rumore, solo a tratti quando diventano determinanti e brevi sembra che sfondino le orecchie. Ma è solo un attimo, poi di nuovo il silenzio, lento.

Intrecci

Trucioli – di Rossella Gallori

Sentì un movimento quasi impercettibile alle sue spalle,di lei non vi era traccia, era, però  sicuro, che fosse lì, non sapeva come, ma percepiva la sua presenza; addirittura sentiva il rumore del suo vestito, quel tulle rosso fuoco, che ad ogni passo emetteva un piccolo sibilo, impossibile ignorarlo, dimenticarlo.

Sullo sterrato riecheggiavano i passi, come se milioni di sassolini avessero cadenzato il ritmo di una clessidra, rumore anche di sabbia, forse.

Non fa male la solitudine, volle pensare, eppure la mattina guardandosi allo specchio, si era visto come  un pezzo di sughero segnato dal tempo, rugoso e cupo, ecco cosa era diventato, per lei, con lei…sempre e solo l e i…non conosceva altro modo di stare al mondo…..Eppure finì, o iniziò tutto nel momento in cui la vide, aveva bisogno di un corpo privo d’anima, notò solo la trasparenza intrigante del tessuto, i suoi seni, i suoi fianchi quasi nudi, stupenda, anche se sembrava sporca, sudata  ed affaccendata in altri pensieri.

Si consumava in lui la lotta tra la razionalitá e l’ istinto, voleva agire abbandonando la strana concretezza dell’ immaginazione.

Doveva e voleva lasciarsi attrarre, da lei, lui così rigido e freddo, da quella calamita dagli occhi color nocciola, che, come cioccolato caldo e speziato, avevano sprigionato: scintille, gioia, risate…il tutto lo aveva catturato, annientato, i sensi lo avevano allagato come un fiume in piena.

Non riusciva a levarsela dalla testa, dalla prima volta che l’ aveva vista, non c’era giorno che non pensasse a lei, non c’era notte che non la cercasse, quando poi il suo soffrire trovava un varco,  ricordava Agata come qualcosa che forse aveva solo immaginato, annusato nell’ aria dei suoi anni…il suo incedere lento e sensuale, il sua passeggiare lungo il mercato colmo di merce, dove la merce più preziosa era lei,  tra gente frettolosa era l’unica a fermarsi, come una pantera color lacca, osservava e sfiorava ogni oggetto, proiettando ombre più lunghe ed occupando spazzi  che non c’erano.

Il vecchio di sughero stanco e rugoso, senti il suo cuore battere più forte… come uno orologio che segna un tempo che non ha, anche il cupo salottino ascoltava quel tonfo leggero.

Ormai era un pensiero che non lo faceva dormire, ne di notte né di giorno, un’ ansia che non riusciva a risolvere, non esisteva farmaco per lenire il suo dolore, per risolvere il suo dolore.

Una lama luccicò nel buio, interrompendo quel silenzio ritmato, tagliando in mille pezzi i ricordi, mille pezzi di tulle volarono volarono come petali, petali rosso sangue  che non toccarono terra…e fu notte per sempre.

Nota del commissario: la scena si presenta macabra ma piena di colore, il corpo è ridotto ad un cumulo di trucioli….3 dicembre 2019 Antella…..

Intrecci

Bellissima – di Chiara Bonechi

Lei era bellissima e un po’ fuori dal tempo, camminava per le strade del paese avvolta in uno scialle di pizzo rosso incurante degli sguardi dei passanti.

Quel pizzo che le copriva in parte i capelli le scivolava lungo il volto, di lato, fino a coprirle il mento; lo teneva appena appoggiato e le conferiva un aspetto davvero regale.

Era molto giovane, poteva avere forse trent’anni e lui, col viso scavato da rughe fitte e sottili di chi di vita ne ha vissuta tanta, la osservava.

Sapeva tutto di lei da suo marito.

C’era qualcosa che l’attraeva, era un lungo filo di seta che li teneva uniti ma distanti.

Dove lo avrebbe portato quel filo che lo attraeva e che sentiva in tensione verso quella donna appena intravista fra lo scialle di pizzo rosso?

Che strana la vita!

Lei abitava nella casa in collina. Gli era sempre piaciuta quella casa un po’ nascosta fra i faggi.

Si scopriva spesso incantato a guardarla dalla finestra del suo salotto soprattutto la sera.

Poi un giorno seppe che in quella casa abitava lei.

E allora il desiderio si fece più intenso, un richiamo quasi assordante lo portava a ritornare alla finestra del suo salotto, sempre più spesso e non più solo la sera.

Non sapeva spiegarsi perché, la donna era bella ma era di un altro ed era tanto, troppo giovane.

Non l’avrebbe mai avuta e neppure forse mai avvicinata ma era semplicemente scontato che a quella finestra ci dovesse andare.

I pensieri sono lenti, molto lenti, non fanno rumore, solo a tratti quando diventano determinati e brevi sembrano che sfondino le orecchie.

Quella donna avvolta nel manto di pizzo rosso, eterea, irraggiungibile, lo stava ossessionando.

Ma fu solo un attimo poi di nuovo il silenzio, lento.

Un sospiro profondo lo risvegliò: “devo uscire” si disse.

Non poteva immaginare!

Procedendo a testa bassa sul marciapiede che costeggia il fiume sentì “buongiorno!”

E alzando gli occhi fu avvolto da una nuvola di tulle rosso.

Intrecci

Velluto e macramè – di M.Laura Tripodi

Di lei non v’era traccia, ma era sicuro che fosse lì. Non sapeva come, ma percepiva la sua presenza.

Sentì un movimento quasi impercettibile alle sue spalle. Con il battito del cuore accelerato si voltò di scatto, certo che l’avrebbe vista, ma lei non c’era. Solo, la chioma dell’albero si era appena mossa e le foglie avevano intonato una canzone.

Sentì prepotente il bisogno di accostarsi a quel tronco rugoso, di toccarlo, di farsi raccontare  le storie di tutte le mani che l’avevano sfiorato, di tutto quel tempo che aveva vissuto, di tutte le cose che aveva visto.

Desiderò fortemente entrare in lui, assorbirne la linfa e godere della sua maestosa immobilità.

Chiuse gli occhi e le sue braccia diventarono rami e le sue gambe radici.

Sullo sterrato riecheggiarono passi, come se milioni di sassolini avessero cadenzato il ritmo di una clessidra.

Ma non tenne conto di quella presenza.

Nel suo cuore si era timidamente affacciato il ricordo di un corpetto di macramè sopra una lunga gonna di velluto bianco. Era un pensiero latente che si insinuava nelle sue notti e lo teneva in uno stato di costante dormiveglia.

Non riusciva a levarsela dalla testa.

L’immagine fluttuava dalla prima volta che l’aveva vista passeggiare lungo il mercato a quel giorno che, nascosto dietro una colonna, l’aveva salutata silenziosamente mentre appariva sul sagrato della chiesa con il suo bel vestito bianco di velluto e macramè.

Non riusciva a liberarsi dell’attrazione che quegli occhi nocciola riuscivano ancora ad avere su di lui.

Non fa male la solitudine se non si conosce altro modo di stare al mondo. Ma lui aveva conosciuto la felicità e l’aveva persa.

In mille modi aveva provato a distruggere l’immagine di lei. Se l’era imposta brutta, sudicia e con addosso l’odore sgradevole del sudore. Ma poi, lei tornava in tutto il suo splendore, riempiendogli la testa e svuotandogli il cuore.

In lui si stava consumando la lotta fra la razionalità e l’istinto.

I rami tornarono braccia e le radici si rifecero gambe.

Sullo sterrato riecheggiarono i suoi passi che tornavano verso casa. 

Intrecci

Incontro – di Stefania Bonanni

Di certo nessuno me lo chiederà mai, ma se dovessi parlare di me, mi paragonerei ad una scorza di albero. Rugosa, spaccata, piena di ferite, ma leggera. All’apparenza, quasi un libro con le pagine un po’ aperte. Ma poco scostate, non si legge neanche una parola, da fuori.  Sono un uomo di cui si sa poco, solo perché  a nessuno è mai interessato davvero chiedere . Così,  sono stato solo, tutta la vita. Solo, a guardare un mondo fatto di gente che non sa stare da sola.

Ma non fa male, la solitudine, se non si conosce un altro modo di stare al mondo.

 Eppure tutto finì,  nel momento esatto in cui la vidi. Non riuscii più  a levarmela dalla testa. Dopo che l’avevo vista passare lungo il mercato colmo di merci e gente frettolosa. Lei, l’unica a fermarsi calma e tranquilla ad osservare oggetti, sorridente e s volazzante. Questo fu l’inizio.  Un pensiero indipendente, autonomo, che mi si affacciava nella mente all’improvviso, e mi costringeva a cercarla, ad uscire sperando di incontrarla. Da lì a cominciare a seguirla, il passo fu breve. Indovinai dove abitava, spiai le sue finestre. Vidi l’intimità dei  suoi gesti domestici.  Affaccendata, sporca, sudata, viva, indimenticabile.  Era una calamità. Erano quegli occhi nocciola, così vivaci e pieni di scintille, di gioia e di risate. Erano quelli che mi avevano catturato in un attimo. In me c’era una lotta continua tra razionalità ed istinto. Fra la voglia di abbandonarsi all’immaginazione, e provare la concretezza di agire.

Sentivo la sua presenza, non so come fosse possibile, anche quando di lei non c’era traccia. Presi a consumare il mio tempo davanti a casa sua, nascosto. Sobbalzando ogni volta che sullo sterrato riecheggiavano passi, come se milioni di sassolini avessero cadenzato il ritmo di una clessidra.

Sentivo che il tempo stava per finire.

Riconobbi subito il giorno fatale. Sentii un movimento impercettibile alle mie spalle. Un’ombra cauta che attraversò la strada di corsa e si infilò nel portone della casa di lei. Vidi aprirsi le imposte della sua camera.  Vidi lei. Un attimo. Non la scorderò. Indossava una sottoveste rossa, di pizzo. Intravedo il rosa della sua carne affacciarsi dai ricami. Vidi anche materializzarsi l’ombra alle sue spalle, lei che si girava e gli buttava le braccia al collo. Poi, come un lampo, uno schizzo di sangue si allargò  sul davanzale, e l’ombra fuggì,  con ancora in mano il coltello.

La ripeto da tanti anni, questa storia, ma tutti i testimoni hanno ricordato di avermi visto dietro di lei, al mercato, e per tanti, tanti giorni, a spiare le sue finestre.

Nero gatto

Coccole in nero – di Patrizia Fusi

Sono lenta e un po’ torta, mi sono appena alzata, telefono a mia figlia per sapere se ha ancora la febbre, ecco arriva la gatta, una pantera nera, anche lei un po’ goffa e grassa, quando sono al telefono viene subito sulla scrivania per farsi fare le coccole.

L’accarezzo, lei si rilassa e anche io, piego il mio corpo accanto a lei, mi annusa, la mia posizione la mette a disagio, scivola via, e va sulla poltrona a dondolo che è accanto alla scrivania.

Voglio stare ancora con lei, mi dirigo verso il salotto battendomi le mani sul petto e la chiamo, lei capisce e mi segue, mi siedo sul divano mi copro con un morbido plaid di pile, lei mi sale sopra il petto e inizia a fare i mostaccini e piano piano delle fusa, rimaniamo così per un piccolo tempo, coccolandoci, finché dopo un po’ scende dalla mia pancia e si sdraia sul divano accanto a me.

Rosa cipria

Un pelo, solo un pelo di Rossella Gallori

L’occhio smise di guardare, un nuvola rossastra mi investì, decisi di fingere, sorridendo stropicciai il malcapitato colpito, sperando che tutto finisse in fretta…niente avvenne, anzi,  per simpatia l’occhio non ferito, iniziò a lacrimare, il trucco si sciolse, l’ombretto “terra normanna” costoso e vistoso arrivò lento e copioso lungo le guance.

Lui mi guardava, non sapeva se ridere o gridare, forse voleva fuggire. D’altronde non era stata, per me, una giornata speciale, nell’ordine mi si erano: smagliate le calze, il tacco 12 aveva ceduto sotto il mio peso, l’orlo della gonna, poco prima di uscire, aveva mostrato il peggio di sé, ciondolando come uno scaricafulmini d’ auto d’epoca , per non parlare poi del profumo esploso sulla mia camicetta nuova di pacca di un rosa  cipria, che più cipria non si può.

Era il primo appuntamento, almeno  con lui, ed il fato mi era stato avverso: il tempo , i contrattempi, la scelta del maschio…e quel pelo, quel pelo contro, che cattivo e maligno aveva ucciso un probabile amore.

Non l’ho rivisto, nel vero senso della parola…

Rosso e Nero

Bella ciao – di Carla Faggi

Ho visto la serie di “ La casa di carta”.

Mi sono emozionata a sentire “bella ciao” cantata dalla BRIGATA di rapinatori protagonisti.

La canzone ha dato un senso alla storia e ne ha creato la morale.

Mi ha ricordato mio padre, la sua lotta partigiana, mia madre e l’emancipazione femminile, me stessa con tutte le mie peripezie rivoluzionarie. I ragazzi di oggi, le cosiddette sardine. Siamo tutti abbracciati dalle note di “bella ciao”. E visto che la storia siamo noi, la nostra è stata colorata dalla musica e dalle parole di una splendida canzone.

Rosa

Il diario per finta – di Tina Conti

Nonna, cosa stai scrivendo? Chiede EMMA  rimandata a casa dalla scuola per un mal di pancia
Un diario per finta!
Non mi sembra per finta perché io vedo le parole sul foglio
Scrivo le cose che mi succedono in un giorno, cose buone e meno buone.
Prova a dettarmi le cose tue, buone e non.
Mi sono portata il libro degli animali e ho scelto il cane che voglio!
Mi scappa da vomitare, questo non è  buono!
Domani non vado a scuola, questo proprio mi piace.
Con la nonna ho dipinto tutta la mattina! Questo è  stato divertente.


Emma poi è andata a riposarsi e si è addormentata, mi aveva fatto una confidenza alla quale ho pensato tanto e il giorno dopo ho scritto questo.

E poi?………
Mi domando  cosa ricorderà lei di noi due, del nostro stare insieme, del nostro  rapporto, delle cose fatte insieme, della casa di tutti i giochi, pensati per stare all’aperto, del mio modo sbrigativo e pratico per le cose della vita.
Poi però con loro, i nipoti so anche essere sensibile, accorta.
Ecco che ho scovato un suggerimento per il suo segreto: un sacchettino magico.
I cuginetti  vi hanno curiosato dimostrando interesse e desiderio per averne uno uguale.
Ho promesso che se necessario lo avranno anche loro.
Appena pronto ho consegnato a Emma il sacchetto e sono andata a portarglielo di persona. Era sotto la doccia….
Nonna, mettilo sotto il letto!
Mentre era nell’acqua, ho ricevuto un bacino tutto molle, era sorpresa per quel piccolo regalo pensato tutto per lei.
Mi rimane  però questa domanda…. E poi?
Tutta la nostra energia, il nostro amore, il pensiero, il genio che è in noi?
Noi cosa siamo? Cosa resta, siamo energia che rimane nel tempo , si muove e rimarrà nell’universo?
Sicuramente un diario vero o per finta ci aiuterà

Indaco

CONTROPELO – di Laura Galgani

In questo periodo mi sembra di vivere contropelo. Non è una bella sensazione. Le giornate si ripetono e mi lasciano tutte, alla sera, una sorta di irritazione sulla pelle. Proprio come se qualcuno, o qualcosa, mi avesse accarezzata con mano pesante, andando sempre contropelo: contro i miei desideri, contro le mie possibilità, contro le mie forze, contro il mio modo di sentire, contro la mia fantasia e contro ciò che vorrei fare delle mie energie.

Quando tiro le somme, alla sera, non posso che dirmi che meglio e di più di ciò che ho fatto non avrei potuto fare. Ho risolto mille problemi e ho raggiunto un bel po’ di obiettivi. Ma di chi erano quegli obiettivi e quei problemi? Non certo miei. E’ per questo che mi sento vissuta contropelo.

Lo so che sarebbe arrivato il momento di dire basta, di vivere per il verso del pelo e di volermi bene davvero. Lo so, ma purtroppo la consapevolezza non basta. E non serve neppure fuggire, perché una volta tornata si ricomincerebbe daccapo. E allora rovescio i termini del problema e mi invento una scappatoia, o meglio, una sfida: amare tutto ciò che faccio, in ogni istante, anche se non è mio, anche se non l’ho scelto né desiderato. Anche questo è un modo per prendersi per il verso del pelo. Aspettando un varco che mi consenta il salto nella mia vera vita.

Verde

Dicembre – di Cecilia Trinci

Ho girato l’ultima pagina del calendario. E’ arrivato dicembre, siamo arrivati in fondo anche quest’anno, veloci come razzi. Eppure se avessi davanti un mare come dico io, anche stamani che fa un po’ freddo, me lo masticherei di passi da cima a fondo ascoltando le onde e spingendomi con lo sguardo fin laggiù,, contro l’azzurro  di un dicembre mite. Invece sono qua a girare il calendario, a cercare foto di questo anno particolarmente speciale che sfugge con gli ultimi sgoccioli, a ricordare gli attimi dei miei bambini. E meno male ho scritto tutto nell’agenda e non potrò dimenticare niente di questo anno dispari, rotondo, pieno…..

 Tra poco sarà Natale.

 Mi sembra di aver riposto solo ieri  l’albero dell’anno scorso. Palline, addobbi e lucine di nuovo tra le mani. E’ una nostalgia bella, una malinconia che brilla. Un verde cupo che promette.