
Parole da giovani, parole da vecchi – di Stefania Bonanni
Ci sono parole da giovani, e parole da vecchi.
Ci sono case di giovani, per giovani, e poi quelle stesse case che diventano roba da vecchi, piene di mobili ormai sciupati, e che non saranno mai antichi e di valore, ma solo vecchi, sbilenchi, tarlati, scoloriti.
Ci sono giardini dove c’erano fiori e siepi colorate, che circondavano case con le finestre aperte e l’odore di sugo che usciva a ventate, mentre qualcuno preparava il pranzo della domenica. Poi ci sono gli stessi giardini che diventano pieni di foglie secche e di alberi stenti, cresciuti solo in altezza, senza che nessuno abbia più accarezzato quei tronchi giocando a nascondino. Ci sono coppie di giovani davanti a chiese di campagna in un giorno d’estate, con la sposa che ha in mano i guanti di filo, e lo sposo con il doppiopetto grigio e la camelia bianca all’occhiello.
Poi ci sono lo stesso uomo rinsecchito ed ingobbito, che esce quasi solo per stare al sole, che gli fa bene alle ossa. E quella sposa antica che ai guanti di filo sostituì quelli di plastica, per pulire e pulire. Faceva le faccende cantando, mentre raccoglieva palette, palloni e biciclette abbandonati in giardino.
Poi, nessuno ricorda quando, non ha più fatto il sugo. Mangiavano da soli, l’omino raggrinzito e la donna annuvolata, sempre più severa, più zitta, più rugosa. Con le rughe tra le sopracciglia, quelle che raccontano uno sguardo che non è mai aperto, che forse non vede più chiaro neanche nel suo giardino, E mangiano cose lesse adesso, dicono tutti che il soffritto fa male. (Che sia tutta colpa del sugo?)
Non pensa più nessuno a quelle polpette piccanti che cuoceva la mamma dell’omino, nel paiolo davanti alla parete annerita da anni di fuoco, e che non si è mai saputo con cosa fossero fatte. Quelle però facevano bene, quando arrivavano in tavola cinque polpette in un mare di sugo, e la tavola era piena di fette di pane, ed i troppi commensali ridevano, e bevevano. Doveva anche essere freddo, la nonna portava addosso una specie di coperta a righe, ma il freddo è roba da vecchi, solo ora l’omino sente freddo.
Bella questa foto in bianco e nero dell’incedere del tempo. Tutto si trasforma ma rimane anche sempre uguale
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Il ripetersi MAI banale del ” ci sono” da un ritmo al tempo alla vecchiaia ….delle cose, delle persone….così bello da rileggere, rileggere….
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