prima v’era chi
trovava un lavoro dopo il diploma
e chi ne trovava uno ottimo dopo la laurea,
prima v’era chi credeva in un ideale
e chi anche lo difendeva,
prima v’era la speranza che qualcuno lottasse
per una società migliore,
prima v’era un popolo con la sua dignità
ed i suoi diritti,
ora solo…primavera.
Mi piace l’attesa dello sferragliare languido del treno in stazione che porta mia figlia a casa, del trillo serale seguito dalla voce calda di mio figlio che mi racconta qualcosa della sua giornata, di ciò che riesco a comporre con le parole che scivolano vibrando lievi sulla carta, del dolce che ho infornato, di una vacanza o di una giornata a passeggio con le amiche, delle serate in cui volti di persone mi osservano mentre cucino per loro.
Avrò forse un problema ma l’attesa risuona in me più del
momento reale, forse perché sembra che
duri di più, che offra più spazio all’immaginazione, ai sogni.
Nell’attesa assaporo, mi crogiolo come
quando da piccola aspettavo i passi felpati di Babbo Natale o i colpi di scopa
della Befana.
L’attesa la trovi sempre, silenziosa o chiassosa, la puoi creare, gustare, è sempre come la vuoi.
Nell’attesa
che arrivi mio nipote mi piace guardare fuori della macchina, scrutare il luogo
che mi circonda.
Ai lati della strada vedo alberi che hanno una forma strana, i rami fini e diritti si stagliano verso il celo come stessero pregando, il vento li muove energicamente.
Sull’asfalto foglie secche accartocciate e di vari colori stanno danzando e strisciando per terra formano una sinfonia di suoni a seconda dell’intensità delle folate di vento, il cielo grigio colmo di nuvole e sembra che anche loro danzino al suono di quella sinfonia.