LEGNA A STRASCICO – di Elisabetta Brunelleschi
Uno dei passatempi delle zie e della nonna era andare a far la legna nel bosco. Io ero felicissima quando, col permesso della mamma, potevo andare insieme a loro.
Per il bosco loro indossavano gli abiti più vecchi che avevano e si attrezzavano con corde più fini e più spesse, borse di tela mezze rattoppate.
Si partiva di buon passo e attraverso campi e balzi si giungeva velocemente alla Cipressaia. Il bosco più bello, allungato quasi sulla sommità della collina, che, nonostante il nome, era composto in maggioranza da pini e quercioli, mentre i cipressi ne segnavano solo i lati confinanti con la strada e le piagge.
La prima tappa era nella pineta, ombrosa profumata. Lì ci si fermava e si riempivano le borse di pine. Perché servivano per avviare il fuoco, con una pina e un solo fiammifero subito la fiamma si sprigionava e andava a propagarsi alla legna accanto. Molte pine erano rosicchiate dagli scoiattoli e le zie non le raccoglievano:
– Non sono buone e nulla!
Ma io mi divertivo a metterle nelle mia borsetta.
– Prendile, prendile,
tanto bruciano lo stesso – Mi diceva la nonna.
E io le afferravo a una a una, piano, senza far rumore, nella mai realizzata speranza di vedere almeno uno scoiattolino.
Riempite le borse, si passava alla ricerca di rami e frasche e per questo ci si spostava dove c’erano le querce, perché:
– Il legno dei pini non èbuono a nulla, una fiammata e via, per far parecchia brace ci voglio querce e olivi!- così sentenziavano le zie.
Trovati i rami si passava a tirar fuori dalle tasche corde e cordini per legare in fastelli il prezioso bottino. Poi cariche di fastelli e borse ricolme di pine, si riprendeva la via di casa. A me di solito veniva affidato un fastellino, lo preparavano proprio per me: piccolo, leggero, poco ingombrante.
La nonna nel bosco stava bene, si vedeva che era contenta. Lei di solito taciturna e ombrosa, tra i pini e le querce della Cipressaia, chiacchierava e canticchiava. Aveva una voce limpida e cristallina. Mi indicava le piante del bosco e di ognuna diceva il nome. Ogni volta non tralasciava di prendere la ginestra, perché, diceva:
– Può far comodo nell’orto, per legare qualcosa-
Una volta che avevano portato solo una corda, usarono i tralci di ginestra per legare i fastelli.
La nonna raccoglieva anche strani sterpi duri e appuntiti e un giorno li nominò:
– Sono rimbrentani! Di maggio fanno i fiori –
Infatti, in primavera, quei bassi arbusti si riempivano di fiori rosa, i cui cinque petali erano tutti grinzosi, come se qualcuno li avesse stretti in una mano e poi lasciati andare.
Da adulta ho poi scoperto che il rimbrentano ( e la nonna chissà dove avrà pescato quello strano nome) altro non è che il cisto della specie incanus.
Ricordo che un giorno passammo quasi di soppiatto dal campo del Colle. Doveva essere fine marzo, perché ai piedi degli olivi c’erano i resti delle potature: rami e frasche di misura diversa, proprio adatti per un fuoco con braci consistenti e durature.
Ne prendemmo una decina e via via le zie li legavano a due e a tre dal lato più grosso. Tutte, io compresa, impugnammo i tronchi e li portammo a strascico fino a casa.
I miei tronchi, per quanto corti e non molto grossi, richiedevano comunque un grande sforzo, per tirare e tirare. Ogni tanto ricordo che dovevo cambiare presa, il palmo della mano bruciava e sudava. Dovevo fare attenzione alle buche, ai dossi e a non rimanere impigliata nei rovi. Ma era un gioco, un correre volentieri, con il vento che batteva sul viso.
Tirando e tirando dal campo alla viottola e alla strada nelle mie orecchie entravano ogni volta rumori diversi: il fruscio leggero dell’erba, lo strofinio sulla terra nuda della viottola, il rotolio dei sassi, il suono secco del legno sulla strada liscia.
Finalmente a casa la legna veniva riposta in un ampio magazzino che loro chiamavano stalla, perché in tempi remoti aveva ospitato la cavalla. La pigne andavano a riempire grandi cassette e i rami restavano appoggiati al muro in attesa di essere segati.
Nella mia lontana infanzia ho trascorso così alcuni sabato mattina o domenica pomeriggio. Unendo l’utile al dilettevole: raccogliere legna da ardere nell’inverno e svagarsi nel silenzio profumato di resine del bosco della Cipressaia.