Echi e risonanze

A pochi giorni dal Natale, Roberta Tucci ci ospita e ci accoglie presso l’Oratorio di Santa Caterina proponendoci un’esperienza di echi e risonanze tra gli affreschi e i colori con una canzone che, secondo la tradizione popolare, racconta in breve la storia della santa.

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https://drive.google.com/file/d/17ZWMYlNpOn6sKuRWMH0HyUo2yBnmsKob/view?ts=5c1e9012

Crepitare

FIAMMA VORACE – di Laura Galgani

L’aveva già visto almeno tre volte, ma mai da solo. Quella sera era seduto sul divano, con i piedi appoggiati sul tavolo basso di cristallo, di design, così freddo ed elegante, il vuoto accanto a lui.

La scena in cui la pellicola inizia a prendere fuoco, con un crepitare violento ed irrefrenabile, proprio non la sopportava. Le fiammelle arancioni e blu si levavano da quelle grandi ruzzole, prima piccole e insignificanti, che sarebbe bastato un panno buttato sopra per spegnerle, poi sempre più alte, voraci, distruttive, rumorose.

In un attimo tutta la cabina di regia era in fiamme, e anche le pizze dei film, che tanto avevano fatto sognare il bambino protagonista del film e anche lui, da spettatore. Gli sembrò che quelle fiamme lo prendessero da dentro, alla bocca dello stomaco. Un’emozione forte, lancinante, salì dai suoi organi interni, avviluppò il cuore come una fiamma vorace, si arrampicò alla gola, e gliela strinse quasi soffocandolo, finalmente arrivò al suo volto, che si contrasse in uno spasmo per liberarsi poi in un pianto dapprima sommesso, poi rumoroso, lamentoso, ma libero!

Mentre in TV l’incendio divampava e tutto intorno si faceva fiamma, lui piangeva, finalmente. Piangeva l’amore finito, la casa vuota, freddo il loro letto. Riuscì a spremere fuori un bel po’ del suo dolore. Non tutto, sapeva che sarebbe tornato, come la marea riporta l’onda sulla riva prima asciutta. Ma il sollievo c’era.

D’un tratto una musica sommessa e dolce invase la stanza. Si lasciò andare a quelle note, al desiderio di dilatare il respiro e riportare un po’ di pace dentro di sé.

Gli sembrò che il soffitto non esistesse più, e sopra di lui brillasse uno spicchio di luna in un cielo sereno.

Ancora una volta “Nuovo cinema Paradiso” gli aveva regalato qualcosa.

Strascicare

 LEGNA A STRASCICO – di Elisabetta Brunelleschi

Uno dei passatempi delle zie e della nonna era andare a far la legna nel bosco. Io ero felicissima quando, col permesso della mamma, potevo andare insieme a loro.

Per il bosco loro indossavano gli abiti più vecchi che avevano e si attrezzavano con corde più fini e più spesse, borse di tela mezze rattoppate.

Si partiva di buon passo e attraverso campi e balzi si giungeva velocemente alla Cipressaia. Il bosco più bello, allungato quasi sulla sommità della collina, che, nonostante il nome, era composto in maggioranza da pini e quercioli, mentre i cipressi ne segnavano solo i lati confinanti con la strada e le piagge. 

La prima tappa era nella pineta, ombrosa profumata. Lì ci si fermava e si riempivano le borse di  pine. Perché servivano per avviare il fuoco, con una pina e un solo fiammifero subito la fiamma si sprigionava e andava a propagarsi alla legna accanto. Molte pine erano rosicchiate dagli scoiattoli e le zie non le raccoglievano:

– Non sono buone e nulla!

Ma io mi divertivo a metterle nelle mia borsetta.

– Prendile, prendile, tanto bruciano lo stesso – Mi diceva la nonna.

E io le afferravo a una a una, piano, senza far rumore, nella mai realizzata speranza di vedere almeno uno scoiattolino.

Riempite le borse, si passava alla ricerca di rami e frasche e per questo ci si spostava dove c’erano le querce, perché:

– Il legno dei pini non èbuono a nulla, una fiammata e via, per far parecchia brace ci voglio querce e olivi!- così sentenziavano le zie.

Trovati i rami si passava a tirar fuori dalle tasche corde e cordini per legare in fastelli il prezioso bottino. Poi cariche di fastelli e borse ricolme di pine, si riprendeva la via di casa. A me di solito veniva affidato un fastellino, lo preparavano proprio per me: piccolo, leggero, poco ingombrante.

La nonna nel bosco stava bene, si vedeva che era contenta. Lei di solito taciturna e ombrosa, tra i pini e le querce della Cipressaia, chiacchierava e canticchiava. Aveva una voce limpida e cristallina. Mi indicava le piante del bosco e di ognuna diceva il nome. Ogni volta non tralasciava di prendere la ginestra, perché, diceva:

– Può far comodo nell’orto, per legare qualcosa-

Una volta che avevano portato solo una corda, usarono i tralci di ginestra per legare i fastelli.

La nonna raccoglieva anche strani sterpi duri e appuntiti e un giorno li nominò:

– Sono rimbrentani! Di maggio fanno i fiori –

Infatti, in primavera, quei bassi arbusti si riempivano di fiori rosa, i cui cinque petali erano tutti grinzosi, come se qualcuno li avesse stretti in una mano e poi lasciati andare.

Da adulta ho poi scoperto che il rimbrentano ( e la nonna chissà dove avrà pescato quello strano nome) altro non è che il cisto della specie incanus.

Ricordo che un giorno passammo quasi di soppiatto dal campo del Colle. Doveva essere fine marzo, perché ai piedi degli olivi c’erano i resti delle potature: rami e frasche di misura diversa, proprio adatti per un fuoco con braci consistenti e durature.

Ne prendemmo una decina e via via le zie li legavano a due e a tre dal lato più grosso. Tutte, io compresa, impugnammo i tronchi e li portammo a strascico fino a casa.

I miei tronchi, per quanto corti e non molto grossi, richiedevano comunque un grande sforzo, per tirare e tirare. Ogni tanto ricordo che dovevo cambiare presa, il palmo della mano bruciava e sudava. Dovevo fare attenzione alle buche, ai dossi e a non rimanere impigliata nei rovi. Ma era un gioco, un correre volentieri, con il vento che batteva sul viso.

Tirando e tirando dal campo alla viottola e alla strada nelle mie orecchie entravano ogni volta  rumori diversi: il fruscio leggero dell’erba, lo strofinio sulla terra nuda della viottola, il rotolio dei sassi, il suono secco del legno sulla strada liscia.

Finalmente a casa la legna veniva riposta in un ampio magazzino che loro chiamavano stalla, perché in tempi remoti aveva ospitato la cavalla. La pigne andavano a riempire grandi cassette e i rami restavano appoggiati al muro in attesa di essere segati.

Nella mia lontana infanzia ho trascorso così alcuni sabato mattina o domenica pomeriggio. Unendo l’utile al dilettevole: raccogliere legna da ardere nell’inverno e svagarsi nel silenzio profumato di resine del bosco della Cipressaia.

Rumore croccante

Rumore croccante – di Patrizia Fusi

Una piazza piena di banchi, che mostrano  varie mercanzie, tanti rumori, odori, profumi, l’aria tiepida d’autunno.

Oggi si spera che sia una giornata fruttuosa per l’incasso, sto iniziando il mio lavoro.

Nel macchinario che produce il croccante ho inserito tutti gli ingredienti, zucchero mandorle e acqua.

Mi lascio andare a sentire il rumore della macchina, il profumo di dolce vainiglia e di zucchero caramellato mi entra nelle narici, per me è sempre un odore gradevole anche se da tanti anni che faccio questo lavoro.  Io sono addetta alla preparazione dei croccanti, il mio compagno alla vendita e a fare lo spiritoso con i clienti, cerca di invogliare a comprare offrendo degli assaggi.

È sera tardi è andato tutto bene, siamo stanchi ma decidiamo di andare al cinema all’ultimospettacolo.

La poltroncina mi accoglie, mi rilasso, il film mi piace, ha una bella colonna sonora e il tutto mi rapisce.

Scalpiccìo

Scalpiccìo di passi e pensieri  – di M. Laura Tripodi

Tirò fuori dalla tasca il bigliettino con l’indirizzo. Non era il suo primo lavoro, ma il cuore le batteva forte come se lo fosse stato.

Si soffermò davanti a un cancello sgangherato che dava la sensazione di essere aperto e abbandonato da secoli. Se ne stava lì spalancato, immobile e desolato in mezzo alle erbacce, come un’enorme bocca in attesa di cibo. Oltre serpeggiava un vialetto poco curato, ma in cui le piante avevano trovato autonomamente una propria armonia.

Si avviò timidamente, dopo aver controllato per l’ennesima volta il biglietto con l’indirizzo.

Qualche cipresso austero e triste costeggiava  il cammino. Poi l’ombrosità del vialetto si aprì su un ampio cortile. Al centro c’era una vasca con qualche ninfea e a sinistra troneggiava una villa del ‘400. Di fronte un piccolo muretto si affacciava su un podere di ulivi, a perdita d’occhio e più in là Firenze, piccola piccola, ma immensa nella sua magnificenza.

Si fermò impietrita da quel misto di austerità e di bellezza.

Ancora non sapeva che quello sarebbe stato il posto della sua adolescenza e della sua prima giovinezza.

Le era sembrato di non aver udito alcun rumore fino a quel momento. Perfino i propri passi le erano sembrati inesistenti. Poi uno scalpiccio frettoloso e subito dopo un abbaiare non amico.

Un mastino napoletano stava correndo verso di lei. Si guardò intorno terrorizzata, in cerca di aiuto.

Poi una voce ferma lo richiamò. “Pirro torna qua! Buono Pirro! Zitto!”

La mamma dei bimbi la accolse con un sorriso, tenendo per il collare un Pirro per niente convinto.

Quando conobbe i bambini subito si innamorò. Fu un amore reciproco, immediato. I rumori e suoni della sua adolescenza furono per molto tempo un unisono con quelli della loro infanzia.

Li riconobbe dopo molti anni, i rumori. Li risentì, li chiamò. Quel giocare a chi tirava i sassi più lontano, dentro la fontana. Quell’inventarsi storie fantastiche fra un cipresso e l’altro, nel vialetto che portava al cancello perennemente aperto. E la sera loro tre intorno alla tavola di un cucinone che aveva visto tante cose. Chiacchieravano, ridevano, si facevano scherzi.

LEI ERA LA TATA.

“Ora basta Lorenzo. Vai a metterti il pigiama. Tu Caterina vieni con me a lavarti i denti.”

“Sì, ma stasera ci finisci la storia di Robin Hood e di lady Marian?”

E il più delle volte si ritrovava uno dei due nel suo letto. Come se avessero concordato dei turni, con aria noncurante e il tepore e la tenerezza della loro infanzia.

Carillon

Carillon – di Patrizia Fusi

 La musica fa apparire una camera, con una scatola magica.

Un letto grande e uno piccolo, le testiere  di metallo scuro decorato con  disegni floreali di vari colori. In un angolo un lavamano con la bacinella, sotto, la brocca e al bracciolo un asciugamano di cotone bianco. Un armadio di legno scuro con delle cornici lavorate in alto e in basso.

 La luce entra nella stanza dalla finestra, un raggio di sole batte sul cassettone, sopra c’è la scatola magica, un loro regalo di nozze.

Salgo sopra la sedia, apro la scatola, il carillon suona la dolce melodia, mentre un piccola ballerina inizia a ballare girando su se stessa.

Magia di violini su ghiaccio

Violini sul ghiaccio – di Franco Bellio

Era il suo modo per disintossicarsi dalla frenesia che gli procurava la pratica ad altissimo livello dello sport  del bob, dopo ore di intenso e faticoso allenamento sulla pista ghiacciata. Per stemperare la carica di adrenalina, che montava in modo progressivo durante le spericolate discese, l’unico rimedio era alla fine quello di rilassarsi sprofondato in una comoda e soffice poltrona-pouf nella sonnolenza ovattata di un isolato chalet in alta quota. Allora, quasi a contrapporre il suono ruvido dell’impatto delle lame del bolide sulla lastra di ghiaccio e dello stridio delle brusche frenate, sentiva il bisogno di farsi ammaliare dalla suadente magia dei violini e soltanto la calma placida di una lenta sonata di pianoforte gli alleggeriva l’animo dalle pressioni della sua precedente lotta sul filo dei centesimi di secondo tra impetuose accelerate, vertiginose discese e curve tanto spericolate da mettere in discussione le leggi della fisica. Potenza della musica…!

Macinare con brio

Macinino da caffè – di Anna Meli

Il vecchio macinino del caffè era lì da tanto tempo e nessuno avrebbe mai pensato di usarlo ancora. Ormai era stato sorpassato da altre modernità, manteneva però un certo fascino di cose antiche e un odore particolare. Se avesse potuto parlare chissà quante storie tristi o allegre avrebbe raccontato.   Il bimbo lo guardava con aria incuriosita:

– Cos’è nonna questo strano aggeggio, a cosa serve, come si usa?

            E intanto cercava di girare la manovella inceppata che non ne voleva sapere di funzionare:

-Lo usavano tanto tempo fa, ai tempi di Cappuccetto Rosso?

-Sì  tesorino mio, proprio a quel tempo! La nonna da piccola si divertiva molto a macinare caffè; girando la manovella i chicchi introdotti in questo piccolo spazio venivano frantumati, trasformati in polvere  che andava a finire in quel cassettino che vedi sotto. A volte per ottenere una polvere più fine si doveva ripetere l’operazione. Mi piaceva molto e mi sentivo utile.

-Posso provarlo nonna?

-Non ho il caffè in chicchi!

-Certo ora fa tutto la Nespresso!

-Allora che faccio? Posso vedere la TV?

-Se ti fa piacere…

-Nonna senti che bella musica, mi viene voglia di ballare e muovermi  con le braccia, con il corpo; mi sento leggero, quasi mi gira latesta, mi piace un sacco!

-Anche a me, amore mio, continua. Ti voglio bene!

Il non sense di una musica per carrozzina vagante

E…. – di Rossella Gallori

Ma quanto era alto mio fratello, e quanto ero piccola …io

…e quel trabiccolino di latta verdeacqua scortecciato! Per le bambole? E chi ce le aveva le bambole…e quelle ruotine di gomma cicciute? Consunte e molto sudicine…

Correvo con il mio scimpanzè nascosto da lenzuolini di piquet rosa cipria, correvo sui sassi, raccontando storie, cantando ninne nanne, a quell’amica di lana  quasi tutta nera, e se una bimba si avvicinava, le coprivo il musino sparuto…e via sulla ghiaia, per non far vedere il mio bimbo imperfetto…mi avvicinavo  alle orecchie che non aveva, sussurrandole: non aver paura, respira piano, non ti piglia nessuno…e via, via di corsa trumtrun troc trac

Si capovolse quella carrozzina…e tutti videro ”Agnese, la mia scimmia senza pretese” e risero …e io piansi…e lanciai sassi…e ripiansi gridando che era mia figlia …e ne buscai da mio fratello…e le lacrime non scesero più, per non dargli soddisfazione, ma corsi via dalla piazza, dai sassi e dalla gente cattiva …e scappai a casa…e mi chiusi in camera con l’Agnese, che sapeva di lana e solo di me, ben stretta al cuore…e tappandomi le orecchie cominciai a sentire meglio ed iniziai a contare chi mi voleva bene…e ci misi poco…poi una musica lentamente bussò alla finestra, già aperta…ma chi suonava…e cosa…e perché…e per chi…e   e   e    e…..

Musica e foglie

Festa di foglie – di Nadia Peruzzi

Il parco lì davanti era una distesa di foglie. Gli alberi, quasi completamente spogli, lanciavano verso il cielo le loro braccia secche e smunte.

L’uomo andava avanti e indietro strascicando le gambe sempre più affaticate. Ad ogni movimento del rastrello il mucchio di foglie aumentava. Rosse, giallo sporco, marroni in cumuli sempre più alti a far contrasto con l’erba che ancora non cedeva il suo verde smagliante. Durava poco l’effetto cromatico, visto che finivano tutte in lugubri sacchi neri ammassati ai piedi degli alberi.

Le foglie secche si rompevano sfrigolando sotto i suoi piedi e sotto il peso dei pesanti sacchi che era costretto a trascinare da un posto all’altro. Era un rumore costante, quasi ritmato ma monotono. Così lo sentiva Luisa, attraverso la grande finestra del salotto che era rimasta aperta per fare entrare i tiepidi raggi del sole autunnale .

Non fu per quello che la chiuse, Luisa. Era per la nebbia che stava scendendo fitta, portando con sé umidita’.

Stava per mettersi al piano e voleva un clima confortevole. Malgrado il fuoco nel camino scoppiettasse, il solo vedere la nebbia l’aveva fatta rabbrividire. Ritrovò un po’ di calore appena si sedette e appoggiò le mani sui tasti. Quasi come se lo strumento le trasmettesse un’energia mista a calore.

Leggera toccava quei tasti, quasi intimorita dalla magia che era in grado di trarne. All’inizio solo esercizio. Note con poca armonia. Qualche sol e qualche la, a mo’ di prova! La base che usava talora come sottofondo si prendeva ancora la scena.

Ma fu per poco.

Il suono in breve, si fece largo, parlava di spazi immensi, di cieli con nuvole che si rincorrevano veloci .

Il salotto non esisteva più, la nebbia fuori sembrava scomparsa.

C’era solo il piano, la sua melodia, le emozioni che la musica era in grado di evocare.

Luisa si sentì in pace con sé stessa per la prima volta dopo un tempo che le era sembrato interminabile!

Un pianoforte suona nel buio

Stasera è una musica dolce – di Stefania Bonanni

Son qui, ad occhi chiusi, da un po’, e non mi interessa affatto sapere da quanto e per quanto. Accolgo morbida suoni che rilassano ed aiutano a camminare in spazi diversi e inaspettati. Stavolta è stata una musica dolce, di pesche sciroppate ed atmosfere di saloni dalle luci gialle, sbiadite, riposanti. L’ambiente immaginario, così distante e diverso, mi diverte. Come un the classico, ad un’ora classica di un pomeriggio classico nel salone col pianista che suona leggero nell’angolo, con signore che hanno gonne lunghe e velette, e guanti di filo che arrivano al gomito e fumano sigarette con lunghi bocchini. Come essere nel salone di un grande albergo che ha i pavimenti ricoperti di tappeti orientali, che appannano i passi dei camerieri,che arrivano a servire il the improvvisi ed inaspettati, e si allontanano ugualmente senza suoni, per non interferire con la perfezione dell’attimo, con l’indolenza ovattata e dorata di un mondo sconosciuto.

Sorprendere

Sorprendimi …

con baci che non conosco

 ogni notte stupiscimi …

e se alle volte poi cado ti prego sorreggimi,

aiutami a capire le cose del mondo

e parlami,

di più di te, io mi dò a te completamente …

Adesso andiamo nel vento e riapriamo le ali

C’è un volo molto speciale non torna domani

respiro nel tuo respiro e ti tengo le mani

qui non ci vede nessuno siam troppo vicini

 e troppo veri …

Sorprendimi … e con carezze proibite e dolcissime amami …

 e se alle volte mi chiudo ti prego capiscimi,

altro non c’è che la voglia di crescere insieme

ascoltami, io mi do a te e penso a te continuamente …

 Adesso andiamo nel vento e riapriamo le ali

 c’è un volo molto speciale non torna domani

 respiro nel tuo respiro e ti tengo le mani

qui non ci vede nessuno siam troppo vicini e troppo veri … veri ...

Dai che torniamo nel vento e riapriamo le ali

 C’è un volo molto speciale non torna domani

 respiro nel tuo respiro e ti tengo le mani

qui non ci vede nessuno siam troppo vicini e troppo veri …

Sorprendimi , sorprendimi, sorprendimi..

Poi torni vero?

Ogni martedì – di Cecilia Trinci

Parcheggio sempre un po’ lontano dal portone  e posso riscendere sul marciapiede di Via Montisoni costeggiando prima la Misericordia, poi  la cancellata del teatro, guardando in su, verso la finestrina della stanza dove abbiamo tenuto il laboratorio di scrittura i primi anni. Mi viene istintivo, ogni martedì, come per  essere sicura che tutto è come sempre, che c’è tutto ancora che mi aspetta. Il cielo dell’Antella, sopra,  sempre grande, aperto di nuvole o di azzurro, si allarga sui tetti fino al campanile, tra il fiume e le colline.  Lo sguardo poi va  al gran tubo del camino che in questo periodo fumacchia un po’ per il riscaldamento acceso e mi conferma l’idea che il teatro è vivo e caldo. Camminando, raggiungo il lato  che si affaccia sul piazzale sassoso, con la piccola porta a vetri della caldaia. Guardo e ogni martedì, nonostante tutto, mi aspetto di vedere il gran cappello scuro di Roberto, un cappello allegro, rassicurante, proprio il suo, che esce dalla macchina parcheggiata di fretta sul marciapiede, si affaccenda, saluta, risolve qualcosa,  sparisce, riappare, risale in macchina….tanto si sa, poi torna.

Ogni martedì mi stupisco che non ci sia. Entro. Accendo la luce, le porte e regolarmente penso che se tanto qualcosa va storto lui……..lui……lui di certo…… stasera non ci sarà. Sento freddo, sempre, ogni martedì. Poi il lavoro distrae, ma alla fine, quando le luci si spengono, le porte si chiudono con un giro di chiave, eccolo di nuovo, quel pensiero di incontrarlo nell’atrio, vederlo seduto ad aspettare qualcuno, vederlo passare di fretta con un attrezzo in mano, vederlo sorridere dentro la barba, sentire l’ironia del suo affetto brusco, oppure sapere che c’è, al di là della strada, non lontano da qui. Pronto, sempre pronto a intervenire, a esserci. Ogni martedì e ogni altra sera che entro in teatro. Ma anche ogni altro giorno, quando “quante olive quest’anno!” , oppure “con chi gioca la Fiorentina?” oppure “da dove passerà il Giro d’Italia?” oppure “c’è una finestra che non chiude bene”  oppure “ma sei ancora qui?” oppure “Diglielo a Riccardo, mi raccomando”………

Eppure lo so, …..poi torna.

Campanellini di gioia

GHIACCIO CHE SCRICCHIOLA- di Tina Conti

Aveva acceso il fuoco nel camino, le fiamme impetuose brillavano e scoppiettavano.
Non aveva voglia di uscire, si era da poco messo comodo sulla poltrona e era immerso nei pensieri, fra poco avrebbe preso il libro e si sarebbe riscaldato coprendosi con quella coperta vecchia  e consumata, ultimo lavoro della mamma .
Si era fatto buio e per le strade ormai non c’era nessuno. ma l’aveva promesso, doveva andare al magazzino a insacchettare la merce per il negozio.
Si infilò gli scarponi pesanti, si copri bene con la giacca imbottita si mise sulla  testa calva un colbacco consumato e liso che tutti gli inverni ritirava fuori dall’armadio.
Con la torcia in mano uscì in strada.
Quanta neve era caduta nella sera, leggera, soffice morbida.
In alcuni  punti era ghiacciata, scricchiolava sotto i piedi, suoni diversi a ogni passo.
Andava lento e cauto, il ghiaccio era insidioso.
Passando vicino alle case, si vedevano dalle finestre luci e famiglie in intimità.
Dentro il magazzino c’era un gelo inaspettato, doveva fare in fetta, già sentiva freddo alle mani, doveva fare una bella scorta per non dover tornare di nuovo in quel posto.
Muovendosi si riscaldò un po’, in breve tempo dentro i cesti c’era la scorta di frutta secca, fichi, mandorle, nocciole e pistacchi per la pasticceria.
E quel sacco non si ricordava cosa conteneva, lo aprì con curiosità, dentro, fra nastri e fili argentati c’erano i campanellini  che sua nipote anni addietro aveva usato per la recita d Natale a scuola.
Ricordò  i visi gioiosi dei bambini, l’atmosfera festosa, i canti, l’allegria.
Si portò dietro il sacchetto: chissà che non serva di nuovo a qualcuno pensò
intanto i campanellini suonavano ad ogni passo  rallegrando il suo andare.