
“Cantava, dico, ma sottovoce, vecchi motivi senza parole,metà mugolìo, metà fischiettìo, e un gorgheggio a tratti; ed era una buffadonna coi suoi cinquant’anni o poco meno, e la sua faccia non vecchia ancora,asciugata dagli anni, ma non vecchia, giovane anzi, e coi capelli castani quasibiondi, con la coperta rossa sulle spalle, con gli scarponi del babbo ai piedi.Vidi le sue mani, ed erano grandi, consumate, nodose, completamente diversedalla faccia, perché potevano anche essere di uomo che abbatte alberi o lavorala terra mentre la sua faccia era di odalisca in qualche modo. «Queste nostredonne!» pensai, e non volevo dire le siciliane ma le donne in genere senzadolcezza per la notte sulle mani, e forse, alle volte, infelici di questo,gelose e selvagge per questo, non avere di odalische le mani come pur avevanoil cuore e la faccia e non poter tenere i loro uomini legati a loro con lemani. Pensai mio padre e me, tutti gli uomini, col nostro bisogno di manimorbide su di noi, e credetti capire qualcosa della nostra inquietudine con ledonne; di come eravamo pronti a disertare da loro, le donne nostre con le manirudi e spicce, quasi maschili, dure nella notte; e di come si cadeva inschiavitù a chiamar regina una donna che fosse donna, odalisca, quando toccava”
Elio Vittorini Conversazioni in Sicilia


