Picchiettare

PICCHIETTARE – di Franco Bellio

Mi ha sempre affascinato accompagnare mio padre quando faceva compere ed approvvigionamenti per l’osteria. Lo osservavo estasiato testare la qualità di una partita di vino da acquistare, prima assaggiandolo  con gesti  ed espressioni facciali che molto più tardi avrei visto ripetuti da pomposi sommeliers, poi armeggiando con sapienza ed esperienza complicati arnesi del mestiere come provette, versatori cromati, termometri e alcool tester. Ma quello che più mi incantava era quando nei caseifici sceglieva con accuratezza certosina una forma di parmigiano. Estraeva con religiosa precauzione da un astuccio (quasi una teca) un argenteo martelletto e iniziava sapientemente a picchiettare la forma, tendendo l’orecchio per percepire il rimbombo nei minimi particolari. L’espressione del suo viso non era mai uguale, quasi stesse riflettendo come in uno schermo la vita del prodotto che stava analizzando : sembrava intravvedere quanto i pascoli fossero verdi, quanto chiare e fresche le acque del ruscello che li attraversava, quanto sazie e tranquille fossero le mucche, quanto il pastore fosse stato paziente e scrupoloso nella mungitura, quanto i mastri casari avessero svolto con passione il loro lento, metodico lavoro. Quel picchiettare rilasciava un suono  che riecheggiava a meraviglia un intero mondo

Argento

Argento – di Rossella Gallori

…era argento, la luce che filtrava sfacciata ed ondeggiante, tra i fili della frangia di tripolino azzurra, della lampada pesantemente Liberty.

Era argenteo, il nastro glacée tra i capelli stopposi della bambola di bisquit, impalata sul divanetto di velluto mauve unto dal tempo, un color malva indefinito e spento.

I vassoi d’argento riflettevano sontuose teiere grasse e lisce dipinte a mano.

Zuccheriere Sheffield  sembravano scoppiare da un momento all’ altro…successe e fu solo e semplicemente polvere bianca, dolce e morbida che cadde a terra senza far rumore…scricchiolava, invece, sotto le babbucce di raso rosa, lise in punta del piccolo fantasma trasparente che volteggiava facendo ondeggiare i riccioli color rame, sorrideva, riconoscendo l’immenso salone, prato dei suoi giochi, di cucciola  diafana…si fermò solo per un attimo ad asciugare le lacrime, che inarrestabili scendevano sul volto ancor giovane di sua madre, che piegata sul tappeto, di fronte ad un camino spento, la piangeva morta, accarezzando il nulla.

Un piccolo campanello di alpacca…annunciò l’ora del thè….

Gemito

Il mal di testa – di Sandra Conticini

Ero piccola…ricordo i gemiti della mamma quando, ogni tanto, le veniva un forte mal di testa.. Mi impaurivo, pensavo che fosse una cosa grave. Io non chiedevo niente, ma nessuno mi tranquillizzava o mi spiegava che come era venuto presto sarebbe passato. Me ne andavo nel mio lettino, senza il suo bacio della buonanotte, mi coprivo fino sopra la testa, mi tappavo le orecchie e pregavo fino a quando non riuscivo ad addormentarmi. La mattina, appena sveglia, facevo capolino alla porta della sua camera per vedere come stava. Che sollievo provavo se il letto era vuoto e lei era in cucina a preparare la colazione per tutti.

Lo scricchiolio della penna

L’indovinello del Monaco – di Luca Di Volo

scrittura

 

Nel vasto scriptorium dell’Abbazia un novizio solleva lo sguardo dalla sua fatica, stanco dell’oro e del lapislazzulo che luccicano sulla miniatura su cui lavora. Quello che scorge è una sequenza, quasi spettrale alla luce del giorno morente, di teste tonsurate chine sui tavoli e forse rapite in qualche cielo sonnolento. Osserva il suo lavoro, soddisfatto per la perfezione, la cura e la precisione del tratto, forse domani l’Abate lo loderà…chissà, lo riempirebbe d’orgoglio..

Ma, come un lampo irruento, una domanda-sottile-gli lampeggia nella coscienza. A lui appare così, guardando ancora una volta la sua preziosa icona: ”Questo è l’ordine, la sublime composizione, l’ordine delle sfere celesti…..ma, il suo contrario, il disordine…come sarà? In quel dominio oscuro, forse si potrà essere più liberi, più…sinceri, in una parola, più “umani”?

Quasi ipnotizzato da questo pensiero, e sotto il suo impulso irrazionale, afferra uno dei preziosissimi (e carissimi) fogli di pergamena (fiducioso che domani il cellario sarebbe stato un po’ disattento, viste le sue abitudini alcooliche). Di getto comincia a ferire il foglio candido con il calamo scrivendo cose svariate, a caso, senza ordine, affascinato dal disarmonico rumore della penna che graffia senza pietà la candida pergamena. Scrive con fretta irresistibile, quasi stregato da quel tangibile scricchiolio liberatorio. Tra le varie stupidaggini vergate inserisce un indovinello che allora andava di moda tra i frati colti…

Un attimo di ritmo selvaggio di una musica sconclusionata e selvaggia ma anche finalmente gioiosa e liberatoria .

Tutto s’interrompe col suono del Vespro, l’incantesimo svanisce, con un sospiro tira un gran rigo sotto la strana composizione, terminando così il suo, forse eretico, viaggio in un mondo, per una volta molto umano.

NB: l’indovinello vergato da questo strano novizio, per uno degli incredibili scherzi della Storia, è giunto fino a noi, ed è una preziosa testimonianza di un periodo sconosciuto della transizione tra latino e volgare Italiano, si chiama “L’indovinello di Verona” ed è databile a circa la metà dell’VIII secolo D.C