Profumo di bimba

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Profumo di bimba piccola – di Sandra Conticini

Me lo ricordo benissimo…era un misto di sapone, crema, olio, tutto rigorosamente da bambini, ma c’era anche un po’ di odore di latte della mamma…. Quando ti lavavo e cambiavo non riuscivo a smettere di sbaciucchiarti in quel collino corto, pieno di grinze e odoroso di te.

Comunque, nonostante il tempo sia passato io quando posso, continuo a sbaciucchiarti nello stesso posto, ma la delusione è tanta  perchè quell’odore di neonato non c’è più… la bambina che dipendeva esclusivamente da me, senza malizie, che ancora parlava poco è cresciuta e resta il rimpianto di non aver  vissuto attimo per attimo quei momenti….

Profumo di alba

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Profumo di alba in campagna – di Vanna Bigazzi
Il nonno partiva prestissimo per andare a caccia; purché carcasse di non fare rumore, io mi svegliavo sempre ed aspettavo che se ne andasse per aprire leggermente le persiane. Entrava da quegli spiragli un mondo di odori e di suoni suggestivi che mi immergevano nel verde, in quella magica realtà che si offriva non solo ai miei occhi ma a tutti i miei sensi. Mi aprivo a ricevere quel mare di emozioni: quell’odore misto di erba e di animali, un venticello di nipitella, il canto del gallo, il profumo della stalla. Erano sensazioni forti per me. Ogni mattina nascevo a qualcosa di nuovo…

Profumo sull’acqua del fiume

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Profumi verdi – di Aldo Bombaci

Come descrivere un profumo se non come una sensazione percepita al momento, una suggestione che dall’esterno arriva dentro, ti emoziona, ti mette nella condizione di entrare in uno stato d’animo che poco prima non avevi.
Questa è la sensazione che provo tutte le volte che mi avvicino ad un prato di erba tagliata.
Stamani mentre camminavo lungo l’Arno, di là sul l’altra sponda, all’Albereta, c’era una grossa falciatrice che tagliava l’erba dell’argine.
Nonostante la distanza l’aria era pregna dell’odore classico d’erba tagliata di fresco, e tutte le volte che lo percepisco ho la sensazione di ritrovare un rapporto fisico con la terra, di qualcosa che attraverso il taglio si rigenera, sempre con la stessa intensità, con la medesima generosità di una madre, pronta ad offrire qualcosa di vitale, anche quando non te lo aspetti.

Profumi verdi

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Profumi verdi – di Nadia Peruzzi
La casa era silenziosa, nessuno si era ancora svegliato malgrado dalle gelosie il sole cominciasse a far capolino.
Era un’alba magnifica, tersa, senza nemmeno una nuvola.
L’aroma del basilico era rimasto a galleggiare nell’aria dalla sera precendente. La pianta con le sue foglie brillanti, faceva la sua bella figura sul davanzale. Era solo in attesa di qualcuno che aprisse la finestra .
La prima a scendere in cucina fu la nonna. Non riusciva a dormire più di tanto e la prima luce era più che sufficiente a svegliarla e a indurla ad alzarsi dal letto. La prima cosa che fece,fu di andare verso la finestra. Il profumo del basilico le piaceva così tanto che doveva riaprirgli la strada verso l’interno della casa. Le piaceva far colazione da sola, per gustarsela tutta la calma dell’alba in campagna.
La luce che via via prendeva forza, il torpore, il silenzio della notte che man mano cedevano a energie in movimento e punteggiature di rumori, e l’aroma del basilico che si fondeva e rincorreva con quello della menta dell’aiola davanti casa in una strana alleanza per tentare di sovrastare, senza esito, quello prepotente, resinoso, quasi aggressivo del cipresso che ombreggiava, austero e imponente, la porta di ingresso.
Voleva solo per sé i profumi del mattino, insieme all’aroma del caffé che parlottava mentre stava uscendo e del pane tostato ricoperto generosamente di marmellata.
“Stamattina qualcuno si deve essere alzato prima di me”, penso’ Luisa sentendo che in mezzo agli altri si era insinuato l’odore inconfondibile dell’erba tagliata di fresco ,unito all’odore di terra un po’ bagnata dalla rugiada del primo mattino ..
Arrivava da oriente, insieme al sole che riprendeva il suo corso e ad una brezza tesa e gia’ tiepida.
Era il prato di Egisto, si disse, mentre le passava negli occhi l’immagine di quel tappeto lucido e folto.
Non arrivò da sola quella immagine. Era sempre una scommessa giocata con la natura provare ad indovinare in anticipo quali novità, quali colori, quali profumi le avrebbe regalato quella nuova giornata.Si sapeva perdente, la natura ha sempre la meglio. Mai uguale del tutto a sé stessa, sempre in grado di meravigliare. Assaporo’ con gusto la sua colazione in solitaria e si decise ad uscire inseguendo la scia che la attirava verso l’immenso tavolo da biliardo disteso a lambire la vigna del suo vicino.
Cercò il punto che le piaceva tanto, quello vicino al pino marittimo arrivato li chissà come,chissà in quale tempo. Era gia’ cosi’ tiepida l’aria che decise di stendersi chiudendo gli occhi.Sperava di sentire arrivare il profumo intenso delle rose di Elena.Le arrivò invece, avvolgente e dolce, seducente e ammaliatore, quello del glicine del pergolato di Anita. Quella mattina era condito, ogni tanto, con un pizzico di penetrante rosmarino dalla siepe attorno casa e di salvia con più di un tocco di timo.
Le capitò di pensare a quando, in mezzo a tutto questo  si infiltrava l’afrore forte del bestiame concentrato nelle stalle vicine e del letame raccolto in grandi mucchi in attesa di esser usato come concime. Era piccola, allora.
La mattina la svegliavano il passo cadenzato delle mucche in formazione e il concerto festante dei loro campanacci,mentre prendevano la strada del pascolo.La sera le vedeva caracollare appesantite e quasi stordite dal sole e dalla gran quantità di latte che gonfiava come otri le loro mammelle al punto di scoppiare se nessuno le avesse man mano svuotate.Ricordò che al suono del primo campanaccio che annunciava il rientro nelle stalle,la mamma le consegnava il recipiente smaltato di bianco e di rosso,un pochino sbocconcellato,in modo che fosse fra i primi a mettersi in fila dal contadino più vicino per comprare il latte per l’indomani.
Si rivide col vestitino a grandi tasche di cotone rosso a fiorellini bianchi, con i codini con quei bei fermagli con le coccinelle, mentre porgeva il pentolino in cui veniva versato quel liquido denso, ricco di panna e così dolce che quasi non aveva bisogno di metterci lo zucchero,e pregustava già il momento in cui ci avrebbe inzuppato le fette di pane col burro e la marmellata. Dai recipienti colmi di latte il profumo invadeva la piccola stanza della mescita riportandola per un attimo al tenero abbraccio e al seno materno,allo zampillo del suo nettare essenziale,nutriente e ricco di vita e di energia.
Si abbandono’ a quella immagine fino a che si accorse che l’aria si era fatta ferma e che non le arrivava più nessun nuovo odore.
Era senz’altro ora di rientrare. La mattina era così bella, tuttavia, che optò per il sentiero più lungo. Quello che costeggiava il fiume nel punto in cui faceva quel piccolo salto fra le rocce e l’acqua scendeva a valle chioccolante.
C’era una piccola radura ombreggiata da querce e noccioli.Attorno alla cascata era un gioco di rocce, muschi, violette e felci.
Il verde la faceva da padrone in quella stagione. Cosi’ tante erano le sue sfumature da dare quasi alla testa. I raggi del sole ne facevano risaltare alcune, a scapito di altre mentre andavano ad infrangersi nell’acqua che lucidava i lastroni di pietra e zampillava da ogni anfratto nella sua corsa verso il basso. A volte l’acqua sembrava chiedere  permesso agli arbusti che ne frenavano il percorso e lo deviavano in più punti in alleanza con le pietre più grosse. Il più delle volte ,trovava da sé la strada per precipitare con una energia che non ammetteva né regole né freni.
Il profumo del muschio intrecciato a quello dell’acqua corrente la colpì più di sempre.Era misto a quello dei gelsi non distanti e ai biancospini. Le arrivò anche un piccolo tocco di ginepro .Quasi si perse, ma sapeva che era il momento di rientrare.
Mancava poco che si svegliassero tutti.Lei non mancava mai di accogliere il loro parlottio ancora un po’ velato di sonno,e le loro risate mattutine attorno a quel tavolo per lo più coperto dalla tovaglia a quadri rossi e bianchi che metteva allegria.
Si sentiva leggera, ristorata, priva di pensieri. Pronta per la nuova giornata.
Prima di mettersi ad acciottolare stoviglie,decise di fare un salto al piano di sopra,dalla piccolina.
Alice dormiva placidamente nella culla, che nella penombra sembrava occupare quasi tutta la piccola stanza.
Rosea, paffutella, i pugnetti stretti stretti,  le gambine semi piegate,un respiro lento e quieto.
Fu un attimo e la vide aprire gli occhi. Si accesero insieme, vispi come sempre. Le regalò un sorriso bellissimo che le scolpiva deliziose fossette sulle guance.
La piccola si mosse e lei sentì arrivare quel profumo da neonati misto di olio, latte, salviette detergenti e crema emolliente, sapone delicato e quel pizzico inconfondibile di pannolino da cambiare, che si librava nell’aria minando più di un po’l’ idillio e la poesia.
La pacchia era finita, pensò Luisa, era ora di ripartire dal cambio di quel pannolino puzzolente!

Nadia

Profumo verde di erba

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Profumo verde – di Nadia Peruzzi
La falciatrice la faceva da padrona quel giorno, al giardino dei giochi.
Il rumore era un po’ fastidioso,ma ha conquistato subito Lapo che si e’ messo a seguirne l’andirivieni che ad ogni giro restituiva un tappeto verde e compatto al posto degli steli alti del giorno prima ,fra i quali spuntava una bellissima punteggiatura di margherite.
Già le margherite oggi dovevano cedere all’invadenza di quella macchina inesorabile.Tirava un po’ di vento e per fortuna ha cominciato ad arrivare profumo a compensare lo sterminio delle bianche corolle.
Profumo particolarissimo quello dell’erba tagliata di fresco,come altri non ce ne sono.
La definizione e’ il profumo stesso,la sua essenza: profumo di erba tagliata di fresco,appunto ! Come lo Chanel N5 ,unico!
Sa di fresco,e’ un po’ aspro,ma avvolgente e ristoratore.Sa di nuovo,sa di terra e di rugiada mattutina,sa di rinascita.
E’ stato bello provare a farlo sentire anche a Lapo e rendersi conto che lo percepiva aspirando l’aria attorno,che ne era invasa.
Per un attimo il rumore della falciatrice e’ riuscito a passare in secondo piano.

Profumo di menta

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MENTA – di Rossella Gallori

C’era di te ancora il profumo.

Ci dormivo accanto.

C’era di te una traccia sul guanciale.

Ci vivevo dentro.

C’era un odore di menta, di schiuma da barba.

Ci respiravo piano.

C’era un sogno vero, una trama di lino speciale.

Ci riposavo tranquilla.

C’era un silenzio interrotto da brevi carezze.

Piccole gocce Lalique scandivano le nostre ore.

Profumo di macchina nuova

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Profumo di macchina nuova – di Mimma Caravaggi

La sto sognando da diversi anni, da quando la mia cara Twingo è stata rottamata e ho dovuto usare la macchina di Albert, una Xara coupé  giallo oro simile ad una supposta! Grande, pesante, ormai vecchia di più di 20 anni, consumatrice di benzina esagerata. Equasi diventata la nostra discussione quotidiana, potrei dire litigio, perché ovviamente Albert, da buon risparmiatorenon vuole assolutamente vendere la sua preziosa Xara anche se beve a dismisura! Io, date le mie proporzioni e letà avanzata, per salire e scendere dalla suppostaavrei bisogno di un paranco ma vista limpossibilità devo farlo con le mie forze e per accomodarmi ci metto molto tempo con una fatica enorme. Sono quindi intenzionata a comprarmene una nuova più adatta a me e sto tramando per riuscirci. Ho voglia, dopo più di 20 anni, di sentire quellodore che si sprigiona al momento che apri e ti siedi in una macchina nuova. Eun profumo molto particolare di pelle, finta pelle, metallo, olio, e benzina che ancora non si è impregnato nelle strutture ma che aleggia nel vano e dove perdura per diverso tempo. La vecchia Xara ormai profuma di tuttaltro anzi, dovrei dire che sprigiona effluvi di vecchiaia, di spese, di carichi diversi e di cane, visto che il mio Napoleone viaggia sempre con noi. Sogno per il momento di assaporare il profumo di una qualsiasi macchina nuova e dimenticare la vecchia.

Profumo di tiglio

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Fiori di tiglio – di Elisabetta Brunelleschi

È la sera il momento migliore: quando cala il buio in un giorno caldo di maggio e al tepore leggero della notte si mescolano gli aromi dolciastri dei fiori di tiglio.

Così gli ho annusati in un lontano 1981 (o ’82?) a Sesto Fiorentino. Fu come se li avessi sentiti per la prima volta.

Eppure a casa mia c’erano due tigli secolari. Ma loro no, non mi arrivavano con l’odore dei fiori ma solo con l’ombra che in estate sapevano donare.

Invece quel viale a Sesto percorso a piedi, mi avvolse come improvviso di un sentore intenso che con l’aria dell’imbrunire si appoggiava sui miei capelli e riempiva le mie narici.

Andavo lenta verso un Circolo dove avrei incontrato un gruppo che si occupava di archeologia. C’erano persone che mi piacevano, con le quali avevo idee e sentimenti da scambiare.

Persone che per molto tempo mi sarebbero state vicine. Io quella sera non lo sapevo, c’era un futuro da percorrere.

In quel viale dove il buio da poco era calato, io scoprivo l’odore dei tigli e andavo leggera verso nuovi incontri.

Ancora oggi nelle sera tra maggio e giugno, aspetto quel profumo e quando il naso ne è pieno, non posso fare a meno di ripensare agli incontri di quei lontani giorni, all’archeologia, alle gite a Tarquinia, Blera, Roselle, Vetulonia, … e anche  a tutto quello che di quel tempo ancora mi resta.

Profumo di erba tagliata

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Profumo di erba tagliata – di M. Laura  Tripodi

Mi aveva investita all’improvviso, come uno schiaffo, o forse  mi aveva sfiorata come una carezza?

Era stato annunciato con un rumore, prima come di sottofondo, poi sempre più assordante . Interrompendo la quiete del tardo  pomeriggio sembrava quasi ci fosse qualcosa che non andava.

Seguii la curva della montagna e il rumore tacque, quasi che il silenzio volesse accogliermi. Fu in quel momento che il profumo acuto dell’erba appena tagliata invase non solo il mio naso, ma tutto il mio essere. Lo sguardo si posò pacatamente su una distesa di verde lucente, acquattato.  Una specie di trattorino stava ancora fumando cercando il riposo. Un uomo si tolse il cappellino di tela, si deterse la fronte con il dorso della mano e con un gran sorriso mi fece un cenno di saluto.

Stava calandola sera e il silenzio era interrotto dal punteggiare del canto dei primi grilli.  

 

 

Profumo di primo giorno di scuola

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Primo giorno di scuola – di M. Laura Tripodi

Mi è arrivato, non so da dove, un profumo di primo giorno di scuola.

Che novità uscire di casa e starmene fuori qualche ora, da sola.

C’era un misto di apprensione e di eccitazione.

La scuola, a quei tempi, cominciava il primo giorno di ottobre e l’autunno era davvero autunno. Il profumo che ho percepito sapeva di appuntatura di matite, di aria umida, di alberi spogli e di foglie rimaste a macerare sulla terra bagnata.

E poi l’immagine di un grembiulino bianco e di un fiocco rosa, quest’ultimo aggiustato sotto il colletto con impeccabile precisione.

Però,  sull’uscio della scuola, appena lasciata la mano della mamma fui presa da un improvviso senso di abbandono. Non conoscevo nessuna delle mie compagne, ma  per fortuna la maestra, nonostante il suo spolverino nero, aveva un’aria molto rassicurante.

Ci chiese di tirare fuori il quaderno a quadretti e le matite. Subito, dal silenzio assoluto dell’aula, nacque un gran baccano di cartelle spostate e serrature che scattavano e quaderni che si aprivano.

Deve essere stato quello il momento in cui si è sprigionato il profumo di primo giorno di scuola.

La maestra alla lavagna ha scritto Quercia – quercia – QUERCIA. Con l’iniziale maiuscola, con l’iniziale minuscola, con tutte le lettere in stampatello. Poi sotto ha disegnato una foglia e una ghianda.

C’era da copiare e colorare.

Non ricordo il risultato di quel mio primo esercizio scolastico. Ma ricordo perfettamente il mio sguardo bramoso ed entusiasta sulla fila di matite colorate che stavano sull’attenti dentro l’astuccio.

Tutto il verde che c’è

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Tonalità di verde – di Ivana Acciaioli

Nel pomeriggio domenicale silenzioso, l’esplosione della primavera mi fa tirare fuori dal suo nascondiglio invernale la mia sedia a sdraio verde con le sue comode tasche dove sistemo cellulare, libro e chiavi di casa; scendo con lei in giardino e assaporo questa prima uscita rilassante nel verde, che sembra aver deciso di esplodere sotto questi raggi di sole anche troppo impertinenti.
Allungo le gambe sul poggiapiedi pensando all’ottimo acquisto di questa sedia ,mi mimetizzo perfettamente  con la mia camicetta verde ultimo acquisto alla moda. Quest’anno il verde è apparso nelle vetrine anche in tonalità azzardate.
Tonalità del verde, ecco cosa mi viene in mente di digitare su Google, e scopro che ci sono ben trentasei  tonalità e forse qualcuna di più perché non trovo il verde militare, il verde marcio e  il verde muffa che per me esistono.
Nella tabella colori  ogni gradazione   compare con  il suo nome preceduto naturalmente dalla parola verde.
I miei occhi  rimangono incantati dalle tante sfumature di colore e dalle definizioni.
Alcuni verdi mi erano noti, altri completamente sconosciuti almeno nel nome; alcuni caratterizzati da parole normali che abitualmente associamo  al verde come trifoglio, felce, erba, primavera, oliva, muschio, smeraldo, giada, ma altri buffi come Arlecchino, ufficio, vagone, cacciatore, Legnano.
Quelli più intriganti sono  verde cinabro, persiano, celadon, verdigris, Veronese, chartreuse perché sconosciuti; mentre i migliori sono  quelli che posso associare ad un profumo come menta, pino, lime e polpa di lime, pera, tè verde, asparago, mirto e poi ci sono quelli che un po’  intimoriscono come mimetico, palude, islam, foresta.
Non manca  il verde politico, quello irlandese e della lega Nord.
Però il verde dei sentimenti, seppure astratto, si fa strada a gran forza nella mia mente: la  gelosia(mostro dagli occhi verdi), l’ invidia, la speranza; infine tangibile e tanto desiderato quello del bene materiale per eccellenza il denaro.
Un soffio di vento giunge a smuovere le pagine del libro, abbandono  il cellulare, mi immergo nella lettura e  mi confondo nei toni  del verde del giardino.

Verde cipresso

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Scusate, ho perso la speranza – di Rossella Gallori

 Un giorno come tanti, un anniversario, difficile, più che una data, sembra un boomerang, che mi prende in pieno tutti, gli anni, so che succederà, ma inesorabilmente, non riesco a schivare il colpo. Anzi, me lo aspetto, so che starò male, voglio star male. Non preparo cerotti, ne disinfettanti, voglio grondare….e se non è sangue, sarà sudore, e se non fosse né sangue, né sudore….saranno lacrime.

Quest’ anno però, non è andata così…eppure le premesse c’erano tutte….il sacchetto con la spugna, le forbici, la pianta con i garofani rossi, due sassi ed una conchiglia, un pezzetto di collana rotta, che volevo nascondere dietro la croce, tra la tua, babbo e quella del bambino……avevo anche imbevuto un cotoncino con il mio profumo, volevo fartelo sentire;  di me, forse ricordi l’ odore di una bimba, il borotalco Roberts che amavamo tanto….o quella saponetta Palmolive, di un verde tenero, che usavamo solo noi.

Si c’era tutto quello che serviva…….ma dopo 57 anni non ce l’ ho fatta….per la prima ed forse non ultima volta, mi sono arresa….non sono riuscita a fare niente di quello che ho sempre fatto….alzarmi prestissimo, fare colazione, prendere la bustona per te, aspettare il 14, scendere in S Marco…..riprendere un caffè ….salire sul 25….e all’altezza del Cionfo,  iniziare a piangere…sempre il solito film….arrivare  a Trespiano, comprare altri fiori, percorrere il solito viale, con il soliti cipressi che mi sembran  sempre meno verdi e più bassi di allora…..percorrere quei metri, ed essere sicura di non trovarti  sperando che sia stata l’ennesima bugia di mia madre, la tua morte. Sedermi  ad aspettare per poi i vederti apparire….ti ho sempre aspettato, lo sai, vero?….poi delusa, ma non arresa ho sempre ripercorso il tragitto  a ritroso….sicura di ritrovarti….per tornare a casa insieme….

Quest’anno no, non ce l’ ho fatta, ho perso la speranza, quella speranza verde prato, che è più una follia grigio piombo…

Ci venivo a 11 anni da sola, a volte facendo un lungo pezzo a piedi, passando da Santa Marta….e ora a 67…. Mi arrendo…mi sono arresa, mi sono fatta accompagnare, ed erano già passati tre giorni da quel 16 aprile, e quest’ anno, pensa non mi sono arrabbiata, rileggendo la tua data errata incisa sulla lapide, frutto di un ennesimo errore della mamma.

Sono stanca, ho perso la speranza di trovarti seduto ad aspettarmi, di sentire la tua voce, che mi chiama tra i salici piangenti….

Non sono venuta sola, perché ho avuto paura…sapevo che le mie gambe questa volta non mi avrebbero portato da te…volevo un braccio, una spalla, una mano….un appiglio umano, che non ho usato, ma avevo bisogno ci fosse, di un compagno silenzioso ….che al momento giusto mi portasse via.

Scusa ancora, se perdendo la speranza, non mi sono voltata per salutarti, non ti ho detto “a dopo”, come sempre, questa volta l’ho capito….non mi senti….non sei lì.

Qualcuno mi ha detto che è un piccolo traguardo, io credo di aver perso la guerra, non la solita battagliuccia quotidiana.

Ti chiedo scusa…..ma cos’è questa speranza di cui tanto si parla, cos’è? Una pazzia? Una necessità? Un sogno? Un incubo…..io comunque l’ho persa…..

 

 

Verde speranza

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Non credo alla speranza  – di Ivana Acciaioli

A quindici anni mi vedo, come fosse adesso, spalle contro il muro in quella camera dove la mia migliore amica di sedici anni sta morendo; mi chiama e  chiede il dottore e l’ambulanza, lei non sa che  nella stanza accanto ci sono  le sue due ultime speranze, ma che  scuotono la testa e per lei non hanno rimedi. Vorrei abbracciarla per l’ultima volta, salutarla con tutte le parole di bene che ho per lei, invece  resto impietrita, non riesco a mentire ma neppure a darle speranza.
Nel tempo ho capito che non riesco e non voglio dare speranza.
Alla mia seconda amica che mi lascia alle soglie dei nostri cinquant’anni, mentre preparo la valigia per condurla a casa a morire, a lei che mi chiede la pappa reale per il desiderio di rimettersi presto, non ho il coraggio di dire di abbracciare la figlia e salutarla con le parole di amore  che potrà ricordare, farle tutte le  raccomandazioni come ogni mamma farebbe ad ogni partenza.
Il suo commiato è la sua ultima occasione .
Questo vorrei    poterle  suggerire, invece la guardo, sorrido appena, non mento spudoratamente, ma non ho il coraggio di togliere speranza.
Ci vuole coraggio a toglierla e a darla, la speranza!
……
Se penso a mia madre morta a novantanove anni ho la certezza che la speranza non è infinita, si esaurisce in noi e si spegne insieme a tutto il resto del nostro corpo. Così mi  appare chiara la frase di Sciascia: “Ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”.

 

Verde assoluto

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Verde assoluto – di M.Laura Tripodi

Non conosco il verde assoluto, forse non l’ho mai visto. Penso a un campo di grano non ancora maturo che cambia il suo verde in mille sfumature a seconda di come la brezza primaverile lo accarezza .

Forse il verde della giovinezza è più compatto, ma mai assoluto .

Guardo il verde delle colline in lontananza e sento che ispirano pacatezza più che pace, ma ancora non penso al verde assoluto.

Poi osservo una formicuzza laboriosa. Forse guardandosi intorno  si sente circondata da un’immensa prigione senza sbarre , di un verde accecante. Forse è quello lì il verde assoluto: la dimensione fra terra e cielo prima di approdare  alla cima di un filo d’erba.

Verde cucciolo

 

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Verde – di Cecilia Trinci

Salta su da una panchina bassa, stretto stretto in mezzo a una manciata di piccoli bimbi, appena fuori dalla classe. Mi vede sempre prima lui e corre velocissimo tra le mie braccia. “Nonna, nonna!”  e mi bacia, mi accarezza il viso, mi guarda con i suoi occhi indescrivibili, tra il verde e il blu.

Una scheggia di vita, una miniatura di bimbo che mi corre addosso e mi resta abbracciato per un attimo infinito, proprio lì nel mezzo del corridoio della Scuola Materna. La marea delle mamme, delle nonne, degli altri bimbi ci raggiunge presto  sommergendoci  mentre stiamo isolati, abbracciati stretti, e ci costringe a lasciarci, a cercare il cappottino, lo zainetto verde con le posate e il bicchiere e mentre lui racconta “ho mangiato la pasta al podomoro…l’ho mangiata tutta!” , (notizia per altro confermata dai disegni  di pomarola  appiccicati sul grembiulino verde),  la nonna cerca gli occhielli del golfino, la cerniera del cappottino per poi uscire trionfante, tenendo per mano un cucciolo che zampilla.

Andiamo allo scivolo? Andiamo. Ci sono altri bambini, i suoi amici. Rotolano a turno sulla lastra lucida, rimbalzano nell’ebra urlando “ A tutto gas!!!”  Scendono dalle scalette al contrario, si abbracciano, fanno merende finte di erba e fiori, fanno esplorazioni dentro la chioma dell’olivo basso. “Attenti alle foglie! Pungono!” azzarda qualche nonna (che non sono io). Perché mi affollano mille “attento!” ma non li dico tutti, uno si e uno no, di tutti quelli che mi vengono alla mente. Perché dire sempre su tutto “attento no!” pare da nonna ansiosa. Allora si scelgono i divieti, se ne dice uno su due, poi forse, nei momenti tranquilli anche uno su tre. E così fanno le altre nonne in modo da creare una barriera alternata di protezione virtuale. Perché se davvero cadessero malamente non potrebbe  impedirlo nessuna di quelle nonne schierate ai bordi del giardino. Finché, dopo un tempo ininterrotto di salti, urla, rimbalzi e rotolamenti una lancia l’annuncio “Su, ora andiamo a casa!” e tutte le altre si attaccano a quel segnale aggregandosi. “Sì andiamo anche noi!” Il giardino si svuota. Si riempiono di bimbi le macchine parcheggiate.

Lui sale dietro, nel suo seggiolino. Aprendo la manina mi regala un tesoro prezioso: una piccola pina un po’ storta. “Andiamo a casa dei nonni!” dice contento e dopo due curve gli occhi tra il verde e il blu si sgranano, cominciano a guardare senza vedere, restano ipnotizzati, incantati, bloccati in uno sguardo lucente e assente. Verde. Verde chiaro. Verde acqua. Verde sonno. Verde niente. Verde sogno. Un bel sogno con un drago verde, con una macchinina da corsa su una pista verde.

Verde verdoso

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Verde – di Lorenzo Salsi

Tutto il giorno nel verde, sempre. Anni nel verde.

Verde che fa gioire, verde che fa bestemmiare. Sono diventato verde anch’io,  verde mentalmente, solidale alla natura. Non mi annoio, anzi il verde mi pacifica, mi fortifica. Vivo nel verde costantemente. A volte mi sdraio nell’erba e guardo gli alberi che in prospettiva  mi vengono incontro, addosso, non fanno paura per niente  perché sono verdi. Verdi, campi verdi, di un verde verdoso, quasi accecante, onde di verde sulle colline che portano il grano verde sulla loro cute, mosse e fatte di vento.

Verde, che, con il colore della terra e dell’acqua, è il colore più presente, più invadente, più giusto….Quanti verdi! Tanti verdi!

 

 

Un pizzico di horror…… verde

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“Mantieni un albero verde nel cuore e verrà un uccello a cantare (proverbio un po’ cinese)” – Scherzo horror di Rossella Gallori

Picchiettava martellante sul vetro, mi guardava impertinente, con due occhietti giallo lampione, un pennuto nero e viscidino, su zampine anonime,  grigiastre e cortine, una coda ritta e zitta, puntata verso un  cielo minaccioso e plumbeo……tic….tic….tic….tac…tac…pic…pic…poc…poc…

Ne ero affascinata e terrorizzata, se solo avesse avuto l’ ardire di entrare in camera mia ….giammai, si sarei morta di paura, lo so.

Cercava, povero vecchio uccello, di attirare la mia attenzione …gnic….gnic ….bric ….bric…forse voleva dirmi o darmi qualcosa, forse era semplicemente qualcuno travestito da volatile.

Cercai di non guardarlo negli occhi, sapevo che sarebbe bastato un suo sguardo, per provocare la mia dipartita…..dopo averlo accolto.

Chiusi l’ avvolgibile con forza, sentii il “ crac” della cinghia sfilacciata che cedeva per usura e violenza….

Noooooooo non potevo e non volevo vedere!!!!

Una testina nera ed esangue, rotolò sul davanzale….con gli occhini sbarrati e privi di vita, emise un piccolo canto….gnunnnn…gn…poi il suo beccuccio tacque  per sempre.

Non so se fosse morto per il colpo o perché si era dimenticato di respirare…..decapitato, tra le sbarre di ferro battuto verde salvia terminò il suo vivere…

Niente fiori al suo funerale, piccole foglie verdi sulla “barettina” di latta, una scatola vuota di Pastiglie Valda, gialla e blu….riuscii ad incidere il suo nome, io, pietosa assassina : GRR BRR.

Lo descrissi, più tardi, il defunto,  ad un’amica ornitologa volontaria Lipu, molto più esperta di me in materia mi confermò il nome di uso comune …trattasi di uccello scrivaiolo…..poi mi illuminò sul nome latino dell’augello scomparso….un nome  difficile  da scrivere ed impossibile da pronunciare: ILKHGFRTOINMORED…….

Due ricette verdi di speranza

di Rossela Gallori e Sandra Conticini

 

Rossella Gallori: Dolce Speranza

Un po’ di salute

Un po’ d’amore

Un po’ di carezze

Un sorriso piccolo

Un regalo fatto a cuore

Un cuore in regalo (ingrediente difficile da reperire)

Infornare a fuocooooo, diciamo “ basta che non bruci”

Aspettare quel tanto che basta, per indossare qualcosa di vero….per scrivere parole giuste , per sorridere senza sghignazzare, una figlia, due figlie, tre gatte….un’amica che ti chiede un consiglio …..un consiglio dato con affetto….qualcuno che ha bisogno di te….

Il dolce non si deteriora…..dura in eterno….profuma di vita…..un fetta per tutti.

 

Sandra Conticini: RICETTA DELLA SPERANZA 

Pazienza, lungimiranza,tempo, amore, serenità

La speranza sta sempre lì nel cuore e viene fuori ogni volta che ne hai bisogno.

Ci vuole pazienza, tempo, amore, lungimiranza, serenità e va consumata poca alla volta perché per ricostruirla ci vuole molto tempo…..

 

 

Cinque ricette verdi di speranza

di Stefania Bonanni, Lorenzo Salsi, Simone Bellini, Nadia Peruzzi, Mimma Caravaggi

Stefania Bonanni  – Senza speranza. 

Si può anche non avere speranza e dovere e volere andare avanti sereni, senza ostacolare il volo di nessuno, senza negare comprensione e abbracci, cercando di assecondare la corrente e lasciando che la vita vada dove può.

Lorenzo Salsi – Speranza in torta

2 etti di credenza

1 etto di sapienza

3 uova di panna montata

1 pedalata di Speranza (nonna di Marco)

2 fette di abitudine

1/2 litro di sangue di rape rosse

1/2 kg di farina di immaginazione

Burro di semi di affetto (parecchio burro)

2 pizzichi di illusione

Un po’ d’abitudine.

Mescolare bene tutto, ma bene bene, se l’impasto impazza lasciate stare.

Chi visse sperando morì usando la pietra fossile delle gagate, …..al gerundio.

 

Simone Bellini – La ricetta della speranza 

Mescolare con Forza di Volontà un Kilo di sogni con manciate di determinazione, aggiungendo un po’ di pazzia e tanta voglia di vivere, insistere nel mescolare più e più volte fino ad ottenere un impasto che lieviterà, ma attenzione a crederci fino in fondo, se non volete che si afflosci.

 

Nadia Peruzzi – Torta speranza. Come si puo’ fare un “dolce speranza” nel tempo presente? Non lo so di primo acchito e ho dovuto dormirci sopra per arrivare a rispondere. Non vedo la speranza? La vedo, la porto sempre con me, visto che è nel mio nome, che in russo vuol dire per l’appunto speranza.

Cercando bene gli ingredienti da usare ho deciso per questi:

100 gr di costanza

100 gr di intelligenza

200 gr di fantasia con aggiunta di capacità di cambiare percorsi facili e rettilinei ,quelli che vanno bene a tutti..ma non è mica detto

200 gr di sentimenti di fratellanza, di amore e di senso di giustizia, o anche solo di sentimenti senza aggettivazioni particolari visto che  spesso o quasi sempre, posso anche bastare da soli

200 gr di cura del mondo attorno a te e di rispetto per cose e persone e anche di cura di sé

200 gr di salute e di ben essere, scritto proprio cosi’.

Girare il tutto, con pazienza e con tutto il tempo che ci vuole, con pessimismo della ragione condito di tanto ottimismo della volontà e nessuna voglia di darsi per vinti prima della battaglia finale, che è persa per tutti noi perché segnata dalla finitezza del nostro essere umani.

Arricchire di pepe sparso a più mani intrecciate con semplici conoscenti, con compagni di strada o di studio o di gruppi di interessi culturali e non, con amici, figli, nipoti. Sopratutto i nipoti il cui sguardo ci consegna ogni giorno il senso di un cammino con più futuro che passato. Sguardo vivo e attento a tutto quello che li circonda, pronto a cogliere ogni minuzia da incasellare nel grande e misterioso libro della vita che stanno scrivendo attimo dopo attimo, anche senza averne consapevolezza!.

Mimma Caravaggi – Dolce di speranza. Lo preparerei con molta cura:

una margherita, un lillà e un tulipano per dare colore; il calicanthus ed i giacinti per dare profumo; peonie colorate per decorarlo; un po’ di erbette aromatiche per insaporirlo. Infine tanta serenità per gustarlo