
La grande casa – di Patrizia Fusi
Un piccolo paese arroccato su una collina si affaccia sul lago, le case sono basse, le strade strette, nel centro ci sono ancora dei ruderi di antiche mura che un tempo chiudevano il paese.
La sede del comune è nel palazzo di una famiglia nobiliare che aveva il suo feudo lì nel medioevo, come si deduce dallo stemma sulla facciata.
Nella piazza centrale che si affaccia sul lago c’è una bella chiesa con un rosone di vetri colorati, che a vederlo quando il sole con i suoi raggi lo illumina, sembra un gioiello che orna la facciata della chiesa.
La vita in paese trascorre tranquilla specialmente nel periodo invernale, si anima un po’ di più all’arrivo dei turisti, alcuni di loro sono affezionati a questo piccolo paese.
C’è la pensione Primavera, non ha tante camere e è tenuta con cura, la cucina casalinga con gustosi piatti di pesce di lago e altre specialità del posto è a conduzione familiare.
In basso prima di salire verso al paese ci sono alcune case, fra queste una grade casa con la facciata in stile liberty, con dei tralci di glicine che per maestria del giardiniere incorniciano le finestre al centro di un bel giardino curato, sulla sinistra del vialetto fa mostra di sé un pergolato ricoperto di roselline a grappolo gialle non ancora fiorite, sotto si intravede un tavolo in ferro battuto con delle sedie intorno, ci sono dei vasi di camelie profumate che sono state messe lì per proteggerle dal sole, alla desta altre piante a fusto alto con delle panchine posizionate sotto e aiuole di cespugli di rose. Al limite del giardino una striscia di terra lavorato ad orto, un pollaio con delle galline.
La casa è a due piani, sopra ci sono le camere, al piano terra un gran salone, lo spazio è suddiviso da mobili bassi e divani, la zona salotto è concentrata intorno al camino e circondato da divani colorati, ampi e morbidi.
Nella zona pranzo una credenza con accanto una tavola a fratina tutta in legno di noce e tre grandi porte finestra da dove si può osservare il lago.
Separata è la cucina, e anche la stanza adibita a studio, con la libreria che occupa tutta la parete, piena di volumi e tanti ninnoli, ma il posto d’onore nello studio lo ha una vecchia poltrona ricoperta da una stoffa damascata a gradi fiori dai colori tenui, era della nonna, una persona importante nella vita di lei. Seduta su quella vecchia poltrona un po’ stropicciata e consunta le sembra sempre di sentire il profumo dell’acqua di rose che adoperava la nonna, e Sandra, quando si abbandona a questo abbraccio, le sembra di riuscire a prendere le decisioni giuste nei momenti più difficili, come quella di incontrare Fabrizio.
Sta preparando il tavolo con del buon cibo fra cui un cesto con frutta di stagione.
La giornata è grigia e un po’ fredda pur essendo primavera.
Ad un tratto il cielo si fa scuro inizia a soffiare il vento che sposta con velocità le nuvole scure piene di pioggia. Il temporale esplode con fragore.
Arriva una macchina, si ferma all’inizio del vialetto, in lontananza si intravede, il lago
Sar lui?
Non riesce a scorgere la faccia, un po’ per la distanza e per l’acqua che cade copiosa su tutto, ma anche perché una sciarpa gli copre il viso.
La governante alla finestra dello studio è pronta a origliare, Sandra la intravede, le dice di andare in cucina a preparare del tè per l’ospite.
Finalmente arriva, coperto da quel cappotto pesante dal taglio antiquato, la grande sciarpa di cachemire un po’ consunta. L’emozione nel rivederlo le fa battere il cuore, rivive il dolore di quel abbandono, quanto tempo è passato, dal giorno in cui furtivamente se ne andò da quella porta senza salutare e senza dare nessuna spiegazione.
Nell’avvicinarsi alla grande casa Fabrizio vede accendersi delle luci in alcune stanze al piano superiore.
Non saranno soli, questo lo infastidisce e lo preoccupa.
Mentre cammina sotto la pioggia battente sente nel pollaio le galline che fanno rumore impaurite dal temporale.
Ha sentito il bisogno di parlare con Sandra vuole liberarsi di quel peso che sente dentro di sé come un grosso legno nodoso che gli comprime lo stomaco, pensando come si era comportato con lei, vuole spiegargli il perché di quella fuga.
Aveva sempre rimosso dentro di sé quell’inquietudine che provava verso le persone del proprio sesso, aveva scelto di avere una vita negli schemi, per sé e per i suoi genitori
Quando alla fine però si innamorò di un suo collega di lavoro riuscì ad accettare la propria omosessualità, e trovò il coraggio di viversi.
Ora era tornato per spiegare il suo gesto e chiederle scusa per averla ingannata, voleva dirle che per lui anche lei nella sua vita era stata una persona importante.