L’essenza

borsalino foto

Semplice fierezza – di M.Laura Tripodi

Ora mi tocca modellare una formina e sperare che il materiale sia abbastanza consistente da non rovinarsi in cottura. Il mio pensiero gira e rigira intorno a un cappello stile borsalino. Ho anche finalmente capito perché i cappelli maschili mi attraggono così tanto.
Tu eri un uomo semplice, ma fiero. Sempre vestito molto modestamente, con delle giacche lise che avevano sicuramente qualche decennio e pantaloni che non conoscevano la piega da chissà quanto tempo. Poi c’era il gilet di lana rosso vinaccia, con qualche buco, e la camicia di flanella con il colletto che era già stato girato una volta e adesso non ne poteva proprio più. In testa, d’inverno, portavi un baschetto blu. Ma quelli erano gli abiti da lavoro e anche se avrebbero potuto definirsi stracci tu li portavi con grande disinvoltura. E poi il doverti arrangiare a fare mille lavoretti per sbarcare il lunario facevano sì che quegli abiti avessero un loro perché.
Sapevi fare di tutto, ma la tua storia era molto, molto di più. Raccontava di un bambino classe 1905 vissuto nella campagna calabrese e rimasto da piccolissimo orfano di madre. Il primo paio di scarpe l’hai conosciuto quando ti sei arruolato nella Guardia di Finanza, a quindici anni, e questo particolare mi ha sempre molto angosciata. Ma nei tuoi racconti che mi arrivavano in modo frammentario ho sempre colto orgoglio e fierezza, mai vittimismo. Naturalmente eri analfabeta e non so come tu abbia potuto entrare a far parte di un’istituzione dello stato, ma sicuramente un secolo fa c’erano regole diverse e comunque piano piano hai imparato a leggere e a scrivere, hai preso la patente e sei diventato l’autista di fiducia dei tuoi superiori. Mi ricordo l’orgoglio smisurato che trapelava dai tuoi racconti sul servizio di frontiera e di come i tuoi superiori ti stimassero e ti volessero bene. Carpivo con avidità le tue parole, quando parlavi con la mamma che li avevi sentiti almeno cento volte, o quando qualcuno veniva a trovarci. Allora mettevi su la caffettiera napoletana, andavi a cercare sigarette e portacenere, offrivi la sedia all’ospite e… era festa. Potevo stare ad ascoltare tutte quelle storie che per me avevano la valenza di favole. Sì, perché quelle vere in realtà non me le ha raccontate mai nessuno. Troppi problemi da affrontare. Ma io non potevo capirlo allora, quindi mi nutrivo con gioia di qualsiasi racconto capitasse a portata di mano, anzi d’orecchio.
Eri un uomo buono e da giovane dovevi anche essere stato bello. Mi ricordo che avevi splendidi occhi verdi. E poi eri un illuminato. Sempre smanioso di imparare, sempre curioso.
Hai attraversato il XX secolo vivendo due guerre mondiali e trasformazioni che mai nella storia dell’uomo erano state così veloci e stravolgenti. Ma sembrava che tu fossi sempre lì pronto a coglierle e interpretarle.
Però eri anche un militare inflessibile. Onesto fino all’inverosimile hai inculcato ai tuoi figli la correttezza come valore imprescindibile, a qualsiasi costo. Impossibile discutere con te.
La strada che avevi tracciato era dritta e chiara ma proprio per questo non si poteva sbagliare: come dei piccoli militari dovevamo attenerci alla disciplina che ci avrebbe modellato, temprato e fatto crescere dritti come gli alberi maestri delle navi.
Credo di aver seguito il tuo insegnamento: sono certamente onesta e obbedisco a valori morali imprescindibili, ma tutta quella rigidezza mi ha anche fatto diventare ribelle e astiosa.
Però, a parte un sonoro ceffone che mi sono beccata a sedici anni, so che avevi una gran stima di me. Adesso che sono anziana lo riconosco e la commozione mi vince. Avresti voluto che studiassi, ma io ero troppo orgogliosa per dipendere economicamente da te.
Me ne sono andata di casa a sedici anni per fare la baby sitter e potermi mantenere da sola. Peccato che questo mi abbia permesso solo di acquisire una qualifica professionale che non era certo il mio sogno e sicuramente nemmeno il tuo.
Ecco, la formina è quasi cotta e non si è sciupata.
Adesso è giorno di festa: gli abiti da lavoro sono nel cesto della biancheria sporca e tu sei elegante nel tuo cappotto grigio, con i pantaloni stirati a puntino, le scarpe lucidate con cura e il cappello stile borsalino che ha preso il posto del baschetto blu.
Questa è una domenica pomeriggio piena di luce. Infilo la mia manina dentro la tua che mi sembra enorme.
Dietro di noi ci sono la mamma, i due fratelli, la sorellina.
Noi due è come se fossimo i capi colonna.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

4 pensieri riguardo “L’essenza”

  1. Bello,Intenso, commovente come tutte le cose che purtroppo capiamo solo quando ormai siamo avanti con gli anni. Non ricordo di aver mai stretto la mano di mio padre nella mia!

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  2. I padri, quelli speciali, e per fortuna sono tanti, ti tengono sempre per mano, anche quando non ci sono piu, ci accompagnano nel nostro vagare, nel nostro sbagliare, correggere, rimediare….per ricominciare, sempre e comunque nel nome di chi ci ha preceduto. A presto M.Laura

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  3. Un pensiero ad alta voce, un ricordo nostalgico e tenero che fa emergere altri ricordi. Come con il domino, una casella affianca un’altra e così avanti. Grazie Laura

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