Concentrarsi

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Concentrarsi – di Ivana Acciaioli

Era rimasta senza benzina , lì in strada, e già sentiva le parole che avrebbe detto suo marito su dove avesse la testa cioè la sua non testa. Non aveva voglia di ascoltare i rimproveri per la sua scarsa concentrazione verso la spia del carburante e così decise di chiamare Carlo il suo grande amico, presente per lei ogni volta che si sentiva smarrita , sola. Sarebbe accorso con il suo sorriso e una stagnetta di benzina senza fare commenti sulla sua distrazione, sul suo essere donna poco attenta al rifornimento auto.
Mentre lo aspettava passò in rassegna la sua giornata per cercare inconsapevolmente una  giustificazione.
Quel mattino,dalla cucina, aveva diretto le ricerche dei calzini del marito, che seppure davanti al cassetto aperto non li trovava.
-Sono a sinistra sotto quelli grigi da palestra.
L’immagine del cassetto era lì davanti ai suoi occhi anche se  stava preparando la colazione,  intanto guidava anche il figlio più piccolo che non trovava in camera il libro di storia.
-Sta sotto quello di geografia sullo sgabello in fondo al letto.
Contemporaneamente la figlia quindicenne si lamentava cercando disperatamente i pantaloncini da palestra.
-Li hai lasciati in bagno all’attaccapanni dietro la porta.
Al lavoro in ufficio aveva avuto a che fare con il suo capo che spostava appuntamenti e riunioni con una velocità insolita, obbligandola a sistemare le varie situazioni.
In pausa pranzo era corsa a fare la spesa per organizzare la cena.
Non credeva proprio di meritarsi critiche per la sua mancata attenzione  alla piccola pompa di benzina illuminatasi sul cruscotto forse da qualche giorno.
In casa l’avrebbero presa in giro , nessuno le avrebbe fatto sconti, quindi decise di tacere l’accaduto.
Ecco il sorriso arrivare prima di lui, come aveva previsto, un bacio , un abbraccio e insieme fino al distributore più vicino. Carlo era davvero un bell’uomo, chissà perché non si era sposato; quando era tornato in paese dopo gli studi universitari lei invece era già mamma.
Era da sempre  il suo punto di riferimento più spensierato.
Decise che si sarebbe concentrata di più su di lui.

Ci vuole concentrazione!

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CONCENTRAZIONE – Di Simone Bellini

Concentrazione, ci vuole concentrazione !

Dieci e mezzo di sera, l’ora è quella giusta! Il buio ti isola da tutto e da tutti,mentre il fascio di luce della lampada da tavolo focalizza la lastra di zinco preparata per la “ceramolle”.

Ci vuole un po’ di musica, quella giusta; Radio Montecarlo a quest’ora trasmette sempre della musica educata, ricercata, mai invadente, perfetta per concentrarsi, da gustare appieno nella riservatezza delle cuffie, per rispettare il silenzio degli altri.

E’ la prima prova, di questa tecnica, che affronto da quando mi sono iscritto al corso di “incisione ad acquaforte”. La lastra di zinco viene riscaldata tiepidamente (nel mio caso sopra il termosifone) come pure la cera che andrà stesa in maniera uniforme su di essa. Poi si adagia sopra la cera ancora molle (da qui il nome di questo tipo di incisione ) un foglio di carta velina sul quale potremo fare uno schizzo a matita di un qualsiasi soggetto. Quando verrà staccata la velina i segni della matita porteranno via la cera lasciando scoperta la lastra nei punti dove si vuole che l’acido, in cui sarà immersa, corroda. I solchi dell’incisione saranno più o meno profondi a seconda del tempo d’immersione, determinando la quantità d’inchiostro che ci vorrà per dare alla stampa l’intensità voluta del segno.

Ecco ci siamo! Accanto alla lastra una foto del National Geographic di una foresta con dei ruderi di pietra; il soggetto del mio schizzo. La penombra e la musica creano l’atmosfera perfetta.

Inizio e la mia mente piacevolmente concentrata razionalizza le fasi del disegno stando attento a non sbagliare.

Nel delineare un bosco non c’è una prospettiva precisa, quindi l’erba e le foglie più vicine devono essere più grandi e precise di quelle sul fondo. L’intensità della luce che passa attraverso le fronde dei rami sarà più diffusa e tenue in alto, più contrastata e decisa in basso.

La mano va libera e decisa, guidata lucidamente dai miei pensieri tutti concentrati su quel disegno, non esiste altro in quel momento. In poco meno di due ore ho finito lo schizzo, è quasi perfetto, devo rafforzare i punti più scuri per delinearne i contorni e i contrasti con la tecnica dell’acquaforte (è come la ceramolle senza velina, la cera viene graffiata con una punta a spillo ed i segni vengono più forti e decisi ).

Il lavoro è finito, è stato gratificante vederlo stampato in colore seppia che ho scelto per mitigare la crudità del BIANCO e nero ed avvicinarmi al VERDE  del bosco.

E’ la concentrazione il segreto della vita, se riesci ad applicarla in ogni tuo impegno potrai ottenere i risultati voluti.

Bianco passione

bernini-1123417_960_720Bernini il ratto di Proserpina – di Nadia Peruzzi

Che forza quelle mani che afferrano e penetrano nella carne.   Artigliano,  affondano,  trattengono.   Lei quasi in volo.   Un estremo slancio la fa librare in aria.  Vuole fuggire, ma non riesce.  È tesa in uno sforzo immane e sul suo volto di ragazza non c’è alcuna gioia, solo  sofferenza.  Si appoggia al volto dell’uomo, ma senza tenerezza.  Vuole spingersi via da lui.  Sul viso il riflesso del contrasto e del terrore che la attanagliano.   Gli occhi , con le loro orbite vuote, già perduti e aperti su un altro mondo.  È in corso una lotta possente fra due energie e lei è la preda di entrambe.   Una, quella che sta per vincere, la stringe in una morsa  che non le lascia scampo.  È un abbraccio a cui non ci si può abbandonare placati, la stringe per portarla via, oltre il confine fra la vita e la morte, lontana dalla madre Terra che l’ha generata, dalla luce e dai colori.   Tutto è tensione in lei.  Anche nei capelli, all’indietro, quasi come se il vento degli Inferi già avesse la meglio sulle brezze delicate che le scompigliavano i riccioli solo un attimo prima che quelle mani la ghermissero.

La madre è riuscita solo ad ottenere da Zeus di poterla riavere dopo 6 lunghi mesi.  Adesso non ha scampo.  Nessuna resistenza le è possibile, ormai.

Plutone, del resto, non arretra.  È saldamente piantato a terra.  Col suo corpo possente ha neutralizzato ormai ogni residua resistenza della fanciulla.

Tutti i suoi muscoli sono tesi nello sforzo, l’energia concentrata in quelle sue mani grandi e bellissime.  Le dita affusolate quasi perse nella carne delicata in cui affondano.  Stanno sui fianchi e sui glutei a evidenziare ancora di più rotondità e morbidezze inattese.

Ti chiedi come tutto questo possa esser stato, un tempo, un blocco inerte di marmo, e ora, tradotto in statua,  la sintesi perfetta di una passione che travolge tutto.  Senza filtri, né veli, esplicitamente e realisticamente, la racconta, la fa vivere, riesce a farcela vedere, quasi sentire.  Nessun suono ne esce, se dovesse uscire sarebbero  gemiti, sospiri, forse urla di piacere.

Non certo di dei, visto che sembra piuttosto l’esplosione incontenibile di una passione tutta umana, quella a cui non puoi opporre linee di difesa, o argini, fatta di carne, e di sangue che ribolle.

C’è la potenza di un amplesso in quel tripudio di marmi che Bernini ci ha lasciato in dono.

Non solo di rosso si veste passione.   Il suo bello è che si può vestire di tutti i colori , nessuno escluso.

Anche il bianco, col suo lucore, le sue trasparenze, le dona e la sa rappresentare come non immaginavi possibile.

Un due tre…..Antella

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(quadro di Stefania Biagioni Sant’Andrea a Rovezzano – FI)

Un due tre ….Antella – di Rossella Gallori

Lo vedo per caso lo guardo ha i colori dei nostri corsi:  frutti bianchi tra il rosso ed il verde…e la mia gatta che osserva…..sembrano lettere ..persone..sogni….ghirigori di vita piccoli incubi non risolti  i rami del nostro albero….sono pensieri …quelli che vengono guardando per pochi istanti qualcosa…. ci si gira di scattto e………un due tre Antella

Volta la carta

 

 

C’è una donna che semina il grano
Volta la carta si vede il villano
Il villano che zappa la terra
Volta la carta viene la guerra
Per la guerra non c’è più soldati
A piedi scalzi son tutti scappati
Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu
Carabiniere l’ha innamorata volta la carta e lui non c’è più
Carabiniere l’ha innamorata volta la carta e lui non c’è più
C’è un bambino che sale un cancello
Ruba ciliege e piume d’uccello
Tirate sassate non ha dolori
Volta la carta c’è il fante di cuori
Il fante di cuori che è un fuoco di paglia
Volta la carta il gallo ti sveglia
Angiolina alle sei di mattina s’intreccia i capelli con foglie d’ortica
Ha una collana di ossi di pesca la gira tre volte in mezzo alle dita
Ha una collana di ossi di pesca la conta tre volte intorno alle dita
Mia madre ha un mulino e un figlio infedele
Gli inzucchera il naso di torta di mele
Mia madre e il mulino son nati ridendo
Volta la carta c’è un pilota biondo
Pilota biondo camicie di seta
Cappello di volpe sorriso da atleta
Angiolina seduta in cucina che piange, che mangia insalata di more
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra che gira veloce che parla d’amore
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra che gira che gira che parla d’amore
Madamadorè ha perso sei figlie
Tra i bar del porto e le sue meraviglie
Madamadorè sa puzza di gatto
Volta la carta e paga il riscatto
Paga il riscatto con le borse degli occhi
Piene di foto di sogni interrotti
Angiolina ritaglia giornali si veste da sposa canta vittoria
Chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria
Chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria

Concentrarsi su un…….

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 …IL TRIANGOLO EQUILATERO BLU – di Mirella Calvelli

 La concentrazione su un triangolo equilatero, immaginato blu su una pagina bianca, che poi si sdoppia. Chiudendo gli occhi e coprendoli anche con le mani, mi concentro sul triangolo blu, ne vedo uno, con i confini ben marcati e nonostante l’insistenza a pensarlo blu, si trasforma prima in un rosa pallido, poi si identifica in un bel rosa fucsia.

Il mio corpo si agguanta di questo colore deciso e scintillante con una guaina perfettamente aderente e dalle quale si scorgono le forme.

Abbandono a comando il gioco nella curiosità di questo esercizio.

La concentrazione è una forza potente

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Il bersaglio di Maura – di Cecilia Trinci

Sono stata a Montevarchi a trovare Maura e abbiamo tirato insieme con l’arco.

“Immagina un prato verde, noi due in piedi, scalze sull’erba fresca, un vento leggero sul viso e tra i capelli. Siamo una di fronte all’altra e ci guardiamo negli occhi. Abbiamo un arco in mano, una mano appoggiata sul corpo di legno, duro eppure liscio, di seta, nell’altra teniamo la corda, elastica, sottile e potente. Ci voltiamo verso il bersaglio e lo fissiamo. I colori ci attraversano. Il bianco della distrazione, delle idee vuote, del perdersi nelle fantasie. Il nero dei pensieri tristi che sì, lasciamo pure che arrivino, siamo esseri umani e che trasformeremo, schiarendoli. Il blu del cielo che ci protegge comunque, che sta sopra di noi, ci riscalda. Il rosso della passione, della determinazione, del credere in noi. E il giallo della vittoria. Del successo. Di tutti i piccoli successi di ogni giorno. La freccia è sull’arco e tendiamo la corda fino al viso. Puntiamo il giallo con lo sguardo, ci perdiamo in quel colore, siamo tutt’uno con il centro. Puntiamo un piccolo successo ogni giorno. Piccolo per ogni piccolo giorno. Lasciamo la corda e la freccia scocca. La vediamo volare dritta, sicura, inesorabile”………

 

 

I colori della concentrazione

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Il bersaglio – di Carla Faggi

BIANCO: vado dove voglio

NERO: riuscirò a trovarti, te lo prometto

BLU: galleggio nel tepore

ROSSO: ci sto proprio bene, sono io

GIALLO: sono felice e voglio restarci

 

Sono giovane e libera, il mondo è mio, posso fare quello che voglio, andare dove voglio, non ci sono confini, sono io invincibile e tutto il bianco inesplorato della vita è a mia disposizione.

 

Ma sono sola, tutti gli abbracci del mondo non servono e tutti i baci ai rospi che non si trasformano in principe ti lasciano ancora più nel buio del nero. Il nero ha però tante sfumature, basta saperle cercare.

 

Le ho cercate, ho trovato una sfumatura di blu. Era blu scuro, ma nel nero profondo si vedeva bene. Avvicinandosi diventava sempre più brillante e chiaro. Dava tepore, era bello lasciarsi andare e galleggiare.

 

Il blu che si trasforma in rosso è come un sorriso che si trasforma in promessa, una sensazione che diventa progetto. Ci sto bene. Sono pronta per quel progetto.

 

Il giallo è casa, io e te. Il giallo è la felicità del restare.

I tesori della regina

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I veri tesori – di Emilia Caravaggi

Il primo pensiero nel vedere questi vetri colorati è il ricordo della visita al TOPKAPI di Istambul dove ho visto delle pietre preziose, soprattutto, smeraldi così enormi che non credevo potessero esistere. Mi sono anche chiesta come potevano indossare questi gioielli tanto grandi, enormi, nella routine quotidiana anche se riferita alla più alta carica. Ho visto questa mostra dell’esagerazione che mi ha dato modo di pensare alla nostra vita quotidiana semplice, anche se complicata ma da problemi giornalieri di lavoro, di famiglia, non per come indossare un gioiello di qualche chilo e come mostrarlo. Penso che il mondo sia circondato da cose più belle, terrene e di importanza maggiore: una carezza di un bambino, una leccatina di un cane, un panorama mozzafiato o il colloquio fra due sorelline : “Gianna dove dormono le Regine ?” “ Ma sui marmi sicuramente” “ E cosa mangiano le Regine ?” “ Ma le pietre preziose sciocchina “!!!

Immaginare…..

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….un mandarino – di Nadia Peruzzi

Sei rimasto da solo nella fruttiera e non so che fare. Vorrei mangiarti subito, ma poi non rimarrebbe nulla a dar colore al bianco della porcellana e a far contrasto alle fogliette verdi che stan li a far decoro.

Lo prendo in mano, lo giro e lo rigiro. Lo guardo vogliosa e dubbiosa allo stesso tempo.

E’ un po’ che è in casa.  E’ avvizzito. Non è un male però visto che il profumo che emana è ancora più penetrante ,arriva ovunque in cucina.

Quasi quasi mi dispiace. No, via non posso mangiarlo, questo bel mandarino, mi dico.

Lo rimetto al suo posto e non lo guardo per un po’. Faccio finta che non esista, che la fruttiera sia vuota e soprattutto faccio finta che quel suo profumo un po’ troppo maliziosamente, non arrivi dove non deve a stuzzicar appetito.

E’ durata poco, la gara di resistenza mista a noncuranza.

L’ho ripreso in mano. Questa volta non ha scampo!

Sbucciandolo piano piano, l’ho mangiato con gli occhi del desiderio, prima che con la bocca.

Morbido e succoso ,nonostante la buccia raggrinzita, per nulla aspro.

Se non ci fossero stati tutti quei semi, sarebbe stato il mandarino/merenda più buono al mondo!!

 

Brillanti di luce

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GOCCE – di M.Laura Tripodi

Il mercoledì mattina mi alzo a fatica perché capita spesso che la nottata sia stata insonne e  ho sempre la sensazione  che il sole o il grigio che filtra attraverso le  persiane sia malato. Eh sì, infatti vado in  reparto e non so mai cosa mi aspetta. Però i bambini sono esseri meravigliosi  e non vivono il male e il dolore come noi.   E’ una bella lezione di vita.

La scorsa settimana  ho ritrovato X., otto mesi. Se la dormiva tranquillo, ma il suo corpicino era attraversato da tubi e tubicini per il monitoraggio costante delle sue funzioni . E dal piedino spuntava il collegamento con il boccione della flebo. La mamma mi ha chiesto se poteva assentarsi un’oretta per prendere una boccata d’aria.

Mi sono seduta accanto a lui, ho tirato fuori il mio libro e mi sono messa a leggere. Ma ero inquieta.

Mentalmente avevo registrato i numeri sui vari monitor per essere sicura che non intervenissero variazioni significative. Ma il mio sguardo, non so perché, tornava insistentemente a quella goccia di soluzione che scendeva con regolarità ogni due secondi, si infilava silenziosa nel tubicino e portava la vita al piccolo X.

I miei pensieri si sono scatenati.  Mentre guardavo come ipnotizzata quel regolare fluire di gocce trasparenti ,  quelle stesse gocce hanno preso  colori e significati diversi.

E sono arrivate le gocce di sangue uscite  da un ginocchio sbucciato e frettolosamente ripulito con un po’ di saliva e poi via di nuovo di corsa a giocare.

E  i fili d’argento della pioggia fatti di gocce che si rincorrono velocissime per raggiungere la terra che le assorbe rilasciando quel meraviglioso profumo che cambia, a seconda delle stagioni.

E lampadari scintillanti di gocce di cristallo a illuminare ricevimenti ricchi di musica e sfarzo, come nelle scene del romanzo Il Gattopardo.

E gocce di brillanti, a impreziosire i lobi delle ragazze in età da marito che attendono un invito  al ballo in una bella serata di fine Ottocento.

E una goccia di vino caduta accidentalmente a profanare il bianco immacolato della tovaglia di fiandra, tirata fuori per un’occasione speciale.

E una goccia di rugiada rimasta  incerta sul petalo di una margherita.  Poi il fiorellino che si piega per l’arrivo improvviso di un soffio di vento e la goccia che se ne scende senza fretta e raggiunge il suolo, sparendovi dentro.

E le grotte dove millenni di gocce hanno formato figure affascinanti, dalla terra verso il cielo e dal cielo verso la terra.

E le gocce di cielo  negli occhi del mio piccolo Lorenzo che non ha ancora capito se sono la sua nonna o la sua compagna di giochi.

X. ha mugugnato qualcosa, si è mosso impercettibilmente e poi ha continuato a dormire. L’incantesimo si è interrotto, io sono tornata alla mia realtà, ma una  goccia  salata mi si era impigliata incerta fra le ciglia.

Quando la mamma è tornata mi ha chiesto se era tutto a posto.

“Certo, non ha dato nessun problema. Ha sempre dormito. Spero di non rivedervi qui il prossimo mercoledì”.

Lei ha sorriso e mi ha buttato un bacio sulla punta delle dita.

Io ho dato un ultimo sguardo al piccolo e  alle gocce di vita  che continuavano a scendere con regolarità.

 

Bersaglio

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Il bersaglio – di Roberta Morandi
Le parole entrano ed escono
balzellando nella testa…
poi si affollano
in punta di lingua.
Come in un bersaglio cerco il centro
e la penna s’arresta.
Mi concentro
entro nel mio centro,
faccio spazio,
accolgo.
È chiaro il concetto:
se dico amicizia
ho nel bianco l’arcobaleno perfetto
fino al cuore del mondo
nel giallo
l’empatia
il mio specchio sugli altri.

Febbraio – fiori di stagione

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Calendule – di Cecilia Trinci

Non hanno profumo le calendule. Sono fiori stellati, quasi grossi margheritoni  arancioni, allegri, ottimisti, ma senza il minimo profumo. Fioriscono ora, quando l’inverno è  attivo e qua e là le previsioni del tempo  danno ancora “possibili nevicate anche in pianura”. Erano i primi che ci accoglievano in campagna, con quelle capocchie accese, rugginose e tozze, quando si arrivava in certe mattine di sabato piene di sole freddo e si scoprivano lì, sotto il mandorlo secco, esploso  di bianco.

In città era inverno e lì era già “primavera a mare”. Perché il mare è proprio là, a pochi metri di distanza.

Da tanto tempo non le vedo rifiorire, anche se  certamente lo faranno senza di me. Esploderanno silenziose d’arancio e petali allungati, guardando il sole di mare con lo stupore solito, staranno qualche giorno a parlare con i merli innamorati,  il vento di libeccio strapazzone e le nuvole salate che strisciano basse, bianche e ghiacce come bioccoli di gelato.  Chissà se si chiederanno di noi, se noteranno la nostra assenza e la mancanza definitiva di qualcuno della famiglia o se staranno lì, nell’erba, senza domande, in silenzio, aspettando senza paura la loro fine fiorita.

Gioielli di fiaba

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GLI ORI DELLE SORELLE – di Elisabetta Brunelleschi

Dopo una giornata trascorsa insieme alle nipotine, al momento dei saluti, le ultime parole della zia Ernesta erano sempre :

– … E ricordatavi, quando avete un po’ di soldi compratevi l’oro! Anche se ci fosse da scappare, quello ve lo mettete in dosso e andate via! –

Le due sorelle a forza di sentirselo ripetere crebbero con il mito dell’oro.

Dopo i primi stipendi, messo da parte qualche risparmio, iniziarono a frequentare le oreficerie.

Natale dopo Natale, ricorrenza dopo ricorrenza acquistarono la catenina, il braccialetto, gli orecchini, l’anello, l’orologio: tutto rigorosamente d’oro.

Poi ricominciarono, un altro paio di orecchini, due tre medagliette per la catenina, una collana, altri anelli, uno con l’acqua marina, uno con il topazio.

La perle no, non le compravano, perché la zia Ernesta diceva che portano solo lacrime, era meglio un ciondolino di corallo.

Ma alle sorelle il corallo non piaceva e i loro acquisti si fermavano sempre al giallo e morbido metallo.

Gli ori li indossavano per le feste di famiglia: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, nozze d’argento e nozze d’oro. In queste occasioni era uno spettacolo vederle uscire elegantissime e agghindate, in un tripudio di giallo, con con anelli, bracciale, orecchini, collana e orologio.

Ma non pensavano solo a se stesse, per battesimi, comunioni e cresime non mancavano mai di regalare ninnoli d’oro: catenina, anellino, medagliette.

Poi, quando tutti furono cresimati, sposati, ecc. … le feste si fecero più rade e gli ori restarono sempre più spesso nei cassetti.

Lentamente giunse il tempo degli addii, un funerale dopo l’altro e molti parenti se ne andavano.

Anche per le due sorelle arrivò la vecchiaia e allora gli ori dimorarono solo nei cassetti.

Passarono degli anni e la fine si stava avvicinando.

Un bel mattino, quasi nascondendosi a se stesse, presero l’oro e lo chiusero in due scatoline di cartone che depositarono in luogo segretissimo.

Dopo la loro dipartita la casa è stata meta di eredi, architetti e geometri. Vi hanno lavorato, a turno, muratori, elettricisti e idraulici.

Ma nessuno ha ancora scoperto gli ori delle sorelle.

Qualcuno dubita che siano mai esistiti.

 

 

I diamanti di vetro

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Il regno che diventò repubblica  – di Stefania Bonanni

C’era una volta un regno, che diventò una repubblica. I regnanti furono fatti prigionieri, ed i gioielli della regina non servirono a liberare nessuno. Si scoprì che erano tutti solo pezzi di vetro, buoni per carnevale, o per giocare col riflesso del sole e colorarlo.

La regina per un po’ negò. Disse che non era possibile, che erano veri diamanti, che i rivoluzionari non si intendevano di gioielli, che a lei erano stati tramandati, che erano la ricchezza sulla quale si fondava il loro staterello. Furono fatte prove, allora. Furono fatti venire gli esperti che misurarono, cercarono di scalfire, morsero i diamanti. Quando cercarono di scalfirli, si spaccano, quando li morsero se ne staccarono pezzi che rischiarono di soffocare gli esperti. Vetri, erano solo vetri. Ma come? E quello grosso, grezzo, il più prezioso di tutti, quelli che si voleva montare al centro della corona, ad imitazione del kho-hi-noor? Vetro? E quando sarebbe successa questa mutazione? (Perché sicuramente era un fenomeno fisico) Forse quest’ultima, caldissima estate, ha fatto diventare vetro il diamante. O forse era vetro da sempre, poi con il ghiaccio dell’estate si è trasformato in diamante, poi di nuovo d’estate è tornato vetro, e così via. Bastava aspettare cambiasse il tempo.

Fu così che nacquero le statuine di pappagallini rosa, che quando piove diventano azzurri.

I gioielli della Regina

 

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Il  cielo in un vetro blu – di Nadia Peruzzi

George bighellonava nella sua bottega. Guardava e riguardava un blocco di vetro informe, rozzo, puntuto, irregolare.

Ne era attratto per il suo blu e per la trasparenza che riusciva a farsi strada malgrado tutta quella massa. Era inerte, ma non privo di vita. George la percepiva, quasi la sentiva pulsare come a chiedergli di fare da levatrice.

Sembrava chiedergli una forma, non una qualsiasi, una che servisse a qualcuno.

Era stufo di star lì pietrificato e senza un senso compiuto.

Toccandolo, gli sembrava di avvertire come un’onda di pura energia. E guardandolo bene poteva trovarne più di una traccia il quel groviglio di bolle, bollicine, gocce, che stavano sospese in un galleggiamento perfetto e orientate dal centro verso l’esterno.

Gli sembrava che si fossero organizzate tutte insieme, per trovare una via di uscita, rispetto all’angustia nella quale si trovavano costrette!

Il blu, quel blu profondo, intenso sapeva di magia. Come se un tocco di bacchetta magica avesse solidificato un pezzo di mare e qualcuno fosse riuscito a strapparlo nel punto più profondo, quello in cui il blu è più blu.

George decise. Non poteva certo restituirgli la fluidità dell’acqua. Doveva riuscire a ridargli duttilità e morbidezza, che gli avrebbe permesso di lavorarlo senza romperlo.

Ci voleva fare qualcosa di bello. Non sentiva, però, nessuna ispirazione. Eppure sperava che, tradotto in gel dal calore, fosse proprio quel blocco, in forma più malleabile e meno puntuta, a trasmettergli tutto quello che serviva per il suo capolavoro.

Di prismi non sapeva più che farsene. Ne ha fatti di tutti i tipi e di tutte le grandezze. Li trovava ormai privi di senso e di vera utilità, troppo simili ai patacconi preziosi che passavano tutto il loro tempo incastonati in anelli, corone, poltrone e di cui nel gran palazzo non si sentiva certo la mancanza.

Voleva semplicità. E una forma che fosse  in grado di rappresentarla. Era stufo di cose che avevano un valore materiale, pur inestimabile, ma che non parlavano al cuore e alle emozioni.

Una lieve scossa sembrò arrivargli direttamente dalla materia, guidandolo verso l’idea giusta. Bastava un semplice rettangolo per realizzarla.

La stanza in cui la regina amava passare le ore del  pomeriggio aveva, a guardarla bene, un che di triste e banale. Eppure le finestre facevano entrare non poca luce. I raggi si rincorrevano e giocavano a rimbalzino su quei mobili austeri, mancava  un po’ di vita. Mancavano giochi di colore. Il gel blu si compose, quasi magicamente, in un rettangolo che si adattava benissimo ad una delle grandi finestre. E altrettanto magicamente nella scomposizione di quella massa informe cominciarono a far capolino altri  toni di blu che, da cristallizzati, non riuscivano a farsi apprezzare per la loro bellezza, vivacità e varietà.

In un baleno riuscì a montarlo e agganciarlo al telaio. Lo rimiro’ soddisfatto. Era cambiato tutto. La stanza sembrava aver cambiato pelle. Un pezzo di cielo, con tutte le sue sfumature, stava giocando birichino con quadri, arazzi e con i mobili stile Impero.  Finalmente, si disse, la vita entrava in quella stanza !

Concentrarsi su una forma

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Il piccolo rettangolo – di Chiara Bonechi

…e così mi sono concentrata sulla forma e sul colore…

Il rettangolo piccolo disegnato sul foglio si amplia nella mia mente e si colora di verde fino a diventare un grande prato verde. Io sono al centro di quel prato, il verde si muove intorno, c’è molta luce e il colore uniforme del rettangolo si sfuma in una miriade di verdi in quel prato.

Nel primo pomeriggio di oggi sono andata a camminare con due amiche.

Passiamo dalla ciclabile lungo il fiume Ema poi su, verso Belmonte.

Si cammina a passo svelto, abbiamo voglia di perdere un po’ di peso, snellire le gambe, respirare correttamente e intanto non manchiamo di chiacchierare e di guardare…

A destra mi appare un prato verde ben curato davanti ad una colonica, le pansè nei vasi di cotto interrompono il verde dell’erba, a sinistra ancora un prato che degrada verso campi di olivi, non è curato questo prato, l’erba è più secca, più alta e più bassa, a tratti unita a sterpi e pruni, guardo avanti e in lontananza ancora case, ogni casa ha il suo prato e sul prato sedie, tavoli, panchine e giochi colorati per bambini. E così mi sono ricordata del mio rettangolo verde e di come si è trasformato in un prato dal manto erboso folto e di un verde intenso, e di quanti prati è fatta la terra e di quanto l’uomo ha bisogno del prato…un prato per riposare, un prato per giocare, un prato per il pic nic o semplicemente per sederti comodo a gustare un panino, un prato per chiacchierare, un prato per suonare,cantare e ballare, un prato per far correre i cani e far fuggire i leprotti, un prato che custodisce il magnifico segreto della vita.

 

Concentrazione

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Dal bianco al giallo – di Gabriella Crisafulli

Il viaggio è lungo: temo di non essere attrezzata per farlo.

Sento aleggiarmi intorno il freddo di chi non mi ama ed ho paura di brancolare nel buio.

Mi sostiene la speranza di un rinnovamento, di un soffio caldo e leggero che mi dia tutta l’energia necessaria.

Desidero un pensiero intenso che mi accompagni nella fatica della scoperta: la rivelazione di parti di me, di loro, in un intricato doppio gioco di fili spezzati. Un gioco allo specchio dove ogni personaggio è contemporaneamente la freccia e il bersaglio.

Ho perso il bandolo.

Devo trovarlo.

“Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

Tuppe, tuppe, tu …

Un’è Mastro Antonino?”

 

La luce di un freddo giovedì di febbraio è raggiante.

Sono emersa dal fondo melmoso.

Il fango, adesso, arriva solo al mento.

L’acqua scorre; qualcuno si allontana: lo lascio andare a fatica, ma voglio sopravvivere.

La sua parte, nella mia storia, è terminata.

Lo strappo è lacerante: vanno via pezzi di me.

Addio.