Giorno: 28 febbraio 2018
La farinata

FARINATA CON LE LEGHE detta anche FARINATA CON GLI ZOCCOLI (piatto tipico del Mugello) – di Laura Casati
La povertà dell’orto in inverno obbligava i poveri contadini del Mugello ad utilizzare i prodotti che conservavano dall’estate: ad esempio le farine, i fagioli ecc.. Questa farinata è un piatto poverissimo. Ma assai gustoso.
Se vuoi una farina di granturco macinata finemente a pietra puoi trovarla alla Madonna dei tre Fiumi, un piccolo Borgo vicino a Ronta, sulla strada del Passo della Colla, presso l’antico MULINO MARCHERI ad acqua, ancora in funzione e risalente probabilmente all’anno 845. E’ probabile che di lì sia passato anche Michelangelo Buonarroti, presso il mulino il proprietario ti farà vedere le sue tracce sul muro.
Presso questo Borgo si trova anche un piccolo santuario dedicato alla Madonna dove si fermavano i viandanti che dalla Romagna venivano in Toscana o viceversa.
Questa farinata di mais è un piatto unico in esso si trovano, pozzi, che vanno fatti stufare, poi aggiunto il cavolo nero già sbollentato, fagioli borlotti già cotti e brodo vegetale, aggiustata di sapore. La farina di mais va aggiunta nella grande pentola con tutte le pietanze e fatta cuocere fino a quando non sarà ritira e va servita calda con un filo d’olio. Buon appetito.
Pane

Il pane…una volta – di Ivana Acciaioli
Una volta a tutti i pasti era presente il pane che spesso diventava l’ingrediente principale dando origine a vere e proprie ricette che sono rimaste nella tradizione.
Le colazioni e le merende non conoscevano dolcini, la fetta di pane era una solida superficie per accompagnare un condimento dolce o salato; dopo la Pasqua era la volta del pezzetto d’uovo di cioccolata, a luglio i pomodori appena raccolti dalla pianta, strusciati sulla fetta ancora caldi di sole, a settembre i fichi dell’orto, poi l’olio nuovo, le noci e i fichi secchi, la salsiccia fresca spalmata, la panna del latte ricoperta di zucchero, e il tradizionalissimo pane vino e zucchero.
Appena sfornato o invecchiato, arrostito o ammollato il pane rappresenta una grande risorsa in cucina.
In Toscana è generalmente buono, anche se sciocco e senza condimenti, in particolare a Prato abbiamo un pane per il quale dobbiamo ritenerci orgogliosi e fortunati, si trova discreto in quasi tutti i panifici, naturalmente con alcune eccellenze in negozi storici.
Una delle ricette tipiche estive per utilizzare il pane raffermo è il “panmolle”, detto anche panzanella.
Ogni famiglia lo prepara secondo la propria tradizione, i tipi di verdura e la grandezza del loro taglio ne determinano le differenze , per il condimento non c’è possibilità di varianti l’olio toscano extravergine e l’aceto sono d’obbligo.
L’aggiunta di tonno sott’olio è una variante dei tempi moderni che rende il panmolle un piatto unico.
Il campo di grano
La guerra di Piero (F. De Andre’)
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
“Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non piu’ i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente”
Cosi’ dicevi ed era d’inverno
e come gli altri, verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di “java”
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra, a coprire il suo sangue.
“E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avra’ per morire,
ma il tempo a me restera’ per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore”.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono di ogni peccato.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
“Ninetta mia crepare di Maggio
ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella, dritto all’inferno,
avrei preferito andarci in inverno”.
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
Donde esta el grano
Credo che questo
è solo il fischio del vento
questo è il mio tormento
perché non ti sento
dove è il grano
dove è il grano
dove è il grano
dove è la rosa
che hai seminato
l’anno scorso
nel mio cuore
Tuffi nel grano

Tuffi nel grano – di Mimma Caravaggi
Sono nata in un piccolo paese dell’Umbria, che ho lasciato ad un anno e mezzo di età ma dove sono tornata ogni anno per passarci le vacanze. Come mi piaceva tornarci sia per rivedere mia sorella e papà ma soprattutto perché mi divertivo. Ci portavano sempre nella campagna e ci arrampicavamo sugli alberi come scimmiette per mangiare tutti quei frutti ancora non perfettamente maturi che ci facevano venire l’acquolina in bocca. La cosa più bella per noi era però la festa del grano. Quel grano che d’inverno sbucava pian piano dal terreno fino a diventare una stupenda distesa dorata intramezzata da fiori di papavero e fiordalisi che portavamo a mazzi a casa la sera, stanche e felici della giornata. Per la mietitura si faceva gran festa e quando portavano il grano nel granaio di casa allora sì che ci divertivamo a buttarci sopra la gran massa a piedi nudi facendo capriole e buttandocelo addosso. Finché rimaneva nel granaio noi piccole non si saltava giorno senza esserci tuffate almeno una volta in questa montagnola dorata anche se poi ci riempivamo le gambe di bolle e ci grattavamo tutta la sera. Era troppo il divertimento e la gioia, una volta tornate in città, di raccontare alle nostre compagne come avevamo passato le vacanze. L’invidia era tanta perché loro, povere piccole cittadine, non potevano neppure uscire di casa per giocare. Il nostro divertimento non si fermava lì ma continuava anche con l’apprendimento di tante cose belle e buone come farci mettere le mani nella farina ed impastare, sporcandoci tutte seppur protette da grembiulini. Preparavamo dolcetti e pane che portavamo al forno Grande perché cuocesse tutto e darci modo di poter apprezzare il loro profumo appena sfornati. Ovviamente finivano direttamente nelle nostre fauci, piccole ma quasi mai a riposo ! Il profumo dei pani e dei dolci si spandeva per tutto il paese. Non c’era famiglia che non facesse il pane. Ricordo che a volte per la grande quantità ce lo portavano a casa e noi si correva in cucina di nascosto a rubarne un pezzetto. Ancora ora sento il suo fantastico profumo nel momento in cui lo spezzavamo per assaporarlo. Pensavamo sempre di riuscire a farla franca ma la nonna o la zia ci beccavano sempre a causa del profumo che arrivava alle loro sensibili narici. La sera ci riunivamo tutti, grandi e piccoli, nella sala dove dolci e pani venivano disposti sopra una tavola ,con una bellissima tovaglia candida e ricamata e questa esposizione la ricordo sempre come un quadro ad olio appeso in salotto. Ricordi di gioventù allegri e profumati mai dimenticati.
A proposito di farina: l’omino di pasta

L’omino di pasta – di Tina Conti
Le donne della mia famiglia hanno compiuto il gesto di impastare il pane ogni settimana e mentre per me è un vero piacere, per loro era un dovere.
Ho pensato che la mia nonna avrà provato sollievo quando è andata ad abitare in paese e non aveva più questa incombenza ma sicuramente sarà stato anche rimpianto.
La preparazione era attenta è fatta per tempo.
La madia, che esisteva in ogni casa di campagna, conteneva un po’ di impasto acido della panificazione precedente.
Il forno a legna era spazzolato e con tutte le fascine pronte già sistemate.
La mattina presto si accendeva, si preparavano le assi con i panni puliti per poggiare i pani lievitati e pronti per il forno. E poi via l’infornata.
Rimaneva sempre un po’ di pasta per la schiacciata salata o per i contentini dei bambini.
Sulla tavola della cucina i bambini ormai svegli avevano il loro pezzetto di pasta; facevano panini, palline e provavano a imitare la nonna a modellare bambolotti .
Il risultato non era mai pari a quello della nonna.
Storti, goffi, e di sesso indefinito.
La nonna ormai esperta, con pochi gesti tirava fuori la donnina che semina il grano, il soldatino, il principe, Pinocchio. E tutti volevano il bambino fatto da lei.
A volte riusciva anche a soddisfare richiesta bizzarre e fantasiose. Ma solo se era in vena e aveva tempo.
Dopo la cottura c’era la lotta per il riconoscimento non sempre leale, per aggiudicarsi quello che era venuto meglio.
Era un rito molto amato e un premio atteso dai bambini.
Il periodo VERDE
E nonostante il gelo……..
Comincia il nostro verde:
il grano nei campi, gli alberi che si svegliano, le speranze, la vita, i propositi, i progetti, le costruzioni, il camminare, il correggere la rotta, la notte che finisce, i paesaggi lontani, gli orizzonti, gli obiettivi, i sogni nel cassetto, la nascita, curarsi, pensarsi, riposarsi, ritrovare, non avere rimpianti, provare, imparare, cantare, cucinare, coltivare una piantina, zappare l’orto, raccogliere fiori, profumi, il fieno, le foglie fresche………..