
Com’è bella solitudine – di Nadia Peruzzi
Voci lontane, che si fanno vicine. Troppo. A pancia all’insù ero perso in un cielo così blu, da scivolare in indaco. Solo qualche nuvola a punteggiare quella distesa che sapeva un po’ anche di mare!
La fronda dell’albero a coprire gli occhi e la faccia, mentre il sole, in quella frizzante giornata di marzo riscaldava il mio corpo rilassato e felice.
Ero lì da solo, senza un pensiero particolare da seguire.
Solo il piccolo stridere degli animaletti del bosco da ascoltare, il fruscio dell’erba mossa dal vento, il canto di qualche uccellino in volo, e profumi di una promessa di primavera, che iniziava a reclamare lo spazio che le spettava dopo il freddo dei giorni appena passati.
Ero andato in quella radura che conoscevo come luogo non battuto. Fin troppo difficile arrivarci, su per quel sentiero impervio. Avevo bisogno di pace.
Stavo per abbandonarmi del tutto alla sensazione di benessere che si stava impossessando del mio corpo, quando li sentii. Prima in lontananza, poi sempre piu’ vicino. Prima una voce gracchiante e sopra le righe, poi tutte le altre invadenti e irrispettose. Erano in gruppo e con le radio a tutto volume. Con l’orecchio a terra potevo sentire i rimbombi dei loro passi quasi cadenzati, da esercito.
Purtroppo non suonavano come quelli dei liberatori. Tutt’altro. Non potevo vederli, tuttavia sapevo che c’era in arrivo uno dei tanti gruppi di barbari che, con estrema difficoltà e moltissima pazienza, qualcuno avrebbe pure potuto ricondurre sulla via della civilta’. Non io, non in quel momento. Me ne andai a gambe levate, per non doverli incontrare!