Mese: febbraio 2018
La farinata

FARINATA CON LE LEGHE detta anche FARINATA CON GLI ZOCCOLI (piatto tipico del Mugello) – di Laura Casati
La povertà dell’orto in inverno obbligava i poveri contadini del Mugello ad utilizzare i prodotti che conservavano dall’estate: ad esempio le farine, i fagioli ecc.. Questa farinata è un piatto poverissimo. Ma assai gustoso.
Se vuoi una farina di granturco macinata finemente a pietra puoi trovarla alla Madonna dei tre Fiumi, un piccolo Borgo vicino a Ronta, sulla strada del Passo della Colla, presso l’antico MULINO MARCHERI ad acqua, ancora in funzione e risalente probabilmente all’anno 845. E’ probabile che di lì sia passato anche Michelangelo Buonarroti, presso il mulino il proprietario ti farà vedere le sue tracce sul muro.
Presso questo Borgo si trova anche un piccolo santuario dedicato alla Madonna dove si fermavano i viandanti che dalla Romagna venivano in Toscana o viceversa.
Questa farinata di mais è un piatto unico in esso si trovano, pozzi, che vanno fatti stufare, poi aggiunto il cavolo nero già sbollentato, fagioli borlotti già cotti e brodo vegetale, aggiustata di sapore. La farina di mais va aggiunta nella grande pentola con tutte le pietanze e fatta cuocere fino a quando non sarà ritira e va servita calda con un filo d’olio. Buon appetito.
Pane

Il pane…una volta – di Ivana Acciaioli
Una volta a tutti i pasti era presente il pane che spesso diventava l’ingrediente principale dando origine a vere e proprie ricette che sono rimaste nella tradizione.
Le colazioni e le merende non conoscevano dolcini, la fetta di pane era una solida superficie per accompagnare un condimento dolce o salato; dopo la Pasqua era la volta del pezzetto d’uovo di cioccolata, a luglio i pomodori appena raccolti dalla pianta, strusciati sulla fetta ancora caldi di sole, a settembre i fichi dell’orto, poi l’olio nuovo, le noci e i fichi secchi, la salsiccia fresca spalmata, la panna del latte ricoperta di zucchero, e il tradizionalissimo pane vino e zucchero.
Appena sfornato o invecchiato, arrostito o ammollato il pane rappresenta una grande risorsa in cucina.
In Toscana è generalmente buono, anche se sciocco e senza condimenti, in particolare a Prato abbiamo un pane per il quale dobbiamo ritenerci orgogliosi e fortunati, si trova discreto in quasi tutti i panifici, naturalmente con alcune eccellenze in negozi storici.
Una delle ricette tipiche estive per utilizzare il pane raffermo è il “panmolle”, detto anche panzanella.
Ogni famiglia lo prepara secondo la propria tradizione, i tipi di verdura e la grandezza del loro taglio ne determinano le differenze , per il condimento non c’è possibilità di varianti l’olio toscano extravergine e l’aceto sono d’obbligo.
L’aggiunta di tonno sott’olio è una variante dei tempi moderni che rende il panmolle un piatto unico.
Il campo di grano
La guerra di Piero (F. De Andre’)
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
“Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non piu’ i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente”
Cosi’ dicevi ed era d’inverno
e come gli altri, verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di “java”
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra, a coprire il suo sangue.
“E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avra’ per morire,
ma il tempo a me restera’ per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore”.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono di ogni peccato.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
“Ninetta mia crepare di Maggio
ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella, dritto all’inferno,
avrei preferito andarci in inverno”.
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
Donde esta el grano
Credo che questo
è solo il fischio del vento
questo è il mio tormento
perché non ti sento
dove è il grano
dove è il grano
dove è il grano
dove è la rosa
che hai seminato
l’anno scorso
nel mio cuore
Tuffi nel grano

Tuffi nel grano – di Mimma Caravaggi
Sono nata in un piccolo paese dell’Umbria, che ho lasciato ad un anno e mezzo di età ma dove sono tornata ogni anno per passarci le vacanze. Come mi piaceva tornarci sia per rivedere mia sorella e papà ma soprattutto perché mi divertivo. Ci portavano sempre nella campagna e ci arrampicavamo sugli alberi come scimmiette per mangiare tutti quei frutti ancora non perfettamente maturi che ci facevano venire l’acquolina in bocca. La cosa più bella per noi era però la festa del grano. Quel grano che d’inverno sbucava pian piano dal terreno fino a diventare una stupenda distesa dorata intramezzata da fiori di papavero e fiordalisi che portavamo a mazzi a casa la sera, stanche e felici della giornata. Per la mietitura si faceva gran festa e quando portavano il grano nel granaio di casa allora sì che ci divertivamo a buttarci sopra la gran massa a piedi nudi facendo capriole e buttandocelo addosso. Finché rimaneva nel granaio noi piccole non si saltava giorno senza esserci tuffate almeno una volta in questa montagnola dorata anche se poi ci riempivamo le gambe di bolle e ci grattavamo tutta la sera. Era troppo il divertimento e la gioia, una volta tornate in città, di raccontare alle nostre compagne come avevamo passato le vacanze. L’invidia era tanta perché loro, povere piccole cittadine, non potevano neppure uscire di casa per giocare. Il nostro divertimento non si fermava lì ma continuava anche con l’apprendimento di tante cose belle e buone come farci mettere le mani nella farina ed impastare, sporcandoci tutte seppur protette da grembiulini. Preparavamo dolcetti e pane che portavamo al forno Grande perché cuocesse tutto e darci modo di poter apprezzare il loro profumo appena sfornati. Ovviamente finivano direttamente nelle nostre fauci, piccole ma quasi mai a riposo ! Il profumo dei pani e dei dolci si spandeva per tutto il paese. Non c’era famiglia che non facesse il pane. Ricordo che a volte per la grande quantità ce lo portavano a casa e noi si correva in cucina di nascosto a rubarne un pezzetto. Ancora ora sento il suo fantastico profumo nel momento in cui lo spezzavamo per assaporarlo. Pensavamo sempre di riuscire a farla franca ma la nonna o la zia ci beccavano sempre a causa del profumo che arrivava alle loro sensibili narici. La sera ci riunivamo tutti, grandi e piccoli, nella sala dove dolci e pani venivano disposti sopra una tavola ,con una bellissima tovaglia candida e ricamata e questa esposizione la ricordo sempre come un quadro ad olio appeso in salotto. Ricordi di gioventù allegri e profumati mai dimenticati.
A proposito di farina: l’omino di pasta

L’omino di pasta – di Tina Conti
Le donne della mia famiglia hanno compiuto il gesto di impastare il pane ogni settimana e mentre per me è un vero piacere, per loro era un dovere.
Ho pensato che la mia nonna avrà provato sollievo quando è andata ad abitare in paese e non aveva più questa incombenza ma sicuramente sarà stato anche rimpianto.
La preparazione era attenta è fatta per tempo.
La madia, che esisteva in ogni casa di campagna, conteneva un po’ di impasto acido della panificazione precedente.
Il forno a legna era spazzolato e con tutte le fascine pronte già sistemate.
La mattina presto si accendeva, si preparavano le assi con i panni puliti per poggiare i pani lievitati e pronti per il forno. E poi via l’infornata.
Rimaneva sempre un po’ di pasta per la schiacciata salata o per i contentini dei bambini.
Sulla tavola della cucina i bambini ormai svegli avevano il loro pezzetto di pasta; facevano panini, palline e provavano a imitare la nonna a modellare bambolotti .
Il risultato non era mai pari a quello della nonna.
Storti, goffi, e di sesso indefinito.
La nonna ormai esperta, con pochi gesti tirava fuori la donnina che semina il grano, il soldatino, il principe, Pinocchio. E tutti volevano il bambino fatto da lei.
A volte riusciva anche a soddisfare richiesta bizzarre e fantasiose. Ma solo se era in vena e aveva tempo.
Dopo la cottura c’era la lotta per il riconoscimento non sempre leale, per aggiudicarsi quello che era venuto meglio.
Era un rito molto amato e un premio atteso dai bambini.
Il periodo VERDE
E nonostante il gelo……..
Comincia il nostro verde:
il grano nei campi, gli alberi che si svegliano, le speranze, la vita, i propositi, i progetti, le costruzioni, il camminare, il correggere la rotta, la notte che finisce, i paesaggi lontani, gli orizzonti, gli obiettivi, i sogni nel cassetto, la nascita, curarsi, pensarsi, riposarsi, ritrovare, non avere rimpianti, provare, imparare, cantare, cucinare, coltivare una piantina, zappare l’orto, raccogliere fiori, profumi, il fieno, le foglie fresche………..
Solitudine vestita di nero, vestita di bianco

SOLITUDINE – di Sandra Conticini
Quanta paura mi fai quando avanzi verso di me vestita di nero perché in quel momento ho qualche problema da risolvere e non ti ho cercato…anzi vorrei evitarti…ma tu invece mi corri incontro e non c’è modo di poter scappare….
Invece quando sei vestita di bianco e sono io che ti corro incontro ti vedo bella, tranquilla perchè in quel momento ho deciso che voglio stare con te per vivere dei momenti della mia vita tutti per me.
Ispirandosi alle parole di altri: “Spietate come gli occhi della memoria” (da “Anime salve”)

Spietata memoria – di Chiara Bonechi
La memoria, eccezionale capacità del cervello: gli occhi e la mente guardano indietro, si fanno spazio fra fatti, immagini, sensazioni vissute…ricordi. Li osservi, ti sembrano vivi ma a volte sembrano non esserti mai appartenuti. E nel ricordare gioie o dolori gli occhi della memoria sono spietati…
Il momento in cui ho accarezzato i miei figli la prima volta! avverto quell’emozione struggente ma non è più reale.
SPIETATA memoria, sarebbe meglio non ricordare?
Vorrei sentire, anche solo per pochi istanti quei piedini morbidi e carezzare la pelle tenera del loro viso, vorrei godere dei loro primi sorrisi ma non si può più. I ricordi spesso generano nostalgia, la nostalgia spesso genera malinconia, ma è così che si costruisce la nostra vita.
Vento nuovo

Ieri, un vento nuovo – di Nadia Peruzzi
Mi piace la speranza. Sono affezionata a questa parola, come lo sono al mio nome, che in russo proprio questo vuol dire. Oggi lo sono ancora di piu’. Ieri a Roma, in un grigio che ogni tanto volgeva in pioggia battente, ho visto la speranza in marcia sulle gambe di tante persone. Di tutte le eta’, di tutte le professioni, di tanti, tantissimi colori vestite per avere la meglio sul buio che attraversa il nostro mondo e rischia nuovamente di invaderlo. Ognuno a suo modo gridava il suo MAI PIU’. Siamo ancora dove pensavamo di non dover tornare mai. Mai piu’. Ode alla speranza, ora come non mai! Nel buio di questi tempi ci fa intravedere la via verso un mondo diverso e migliore in cui poter vivere in pace, tutti quanti assieme!
Non erano parole al vento

Fiato al vento – di Roberta Morandi
Di spalle, sono andata,
un respiro e ho lasciato andare,
fronte su fronte,
i tuoi occhi nei miei:
hai accettato,
non hai compreso.
Non è vero, non ci credi,
è un sogno,
aprirai gli occhi
e sarò ancora lì…
Non è così
Dicevo parole vere,
non “fiato al vento”
Allora era vero!
Troppo tardi per tornare indietro.
Troppe notti io a parlare e tu
…a dormire.
Parole futili
“fiato al vento”
Vento gelido

Vento gelido – di Rossella Gallori
Un cavallo bianco, imbizzarrito e cieco
Batte, sbatte, sconvolge, travolge
Cadono le foglie, come perle schiccate, di un vezzo rotto .
Ti aspetto, infreddolita al solito posto..
Le labbra livide, gli occhi gonfi…
il cappello di lana rosso che toglierò al tuo arrivo..
Vento freddo, gelido e cattivo,
resisto spaventata….non ci sei…
Una pagina di tenerezza

Il babbo – di Ivana Acciaioli
La cosa che credo di non aver mai perdonato a mio padre è stata quella di invecchiare, con tutto ciò che comporta questa parola, mentre gli ho perdonato di aver perso interesse per la propria vita e di aver deciso di poter morire, che poi sono in realtà due facce della solita medaglia.
Quando penso a lui lo vedo giovane, gli corro incontro, lo stringo forte alle gambe; era un uomo di piccola statura ma a me bimba sembrava un gigante , rappresentava la forza, con lui niente mi spaventava , questo deve essere il padre per ogni bambino.
Bastava il suo sguardo serio ad intimorirmi, ma un suo stesso sguardo all’occorrenza mi infondeva sicurezza e nel lettone il calore del suo corpo era la panacea di tutte le paure.
Quando cominciava ad imbrunire mi avviavo giù per la viottola fra i campi verso la strada principale e quando la sua bicicletta imboccava la strada bianca cominciavo a correre, lui agitava la mano, il nostro era un tacito appuntamento, tornava dal lavoro ed io lo attendevo per salire sulla canna della grande bicicletta nera, orgogliosa di arrivare con lui nell’aia dove tutti potevano vederci.
Mi prendeva fra le braccia e mi issava davanti a lui, io alzavo il braccio e con la mano agguantavo il suo cappello, me lo ficcavo in testa, il borsalino di pelle nera odorava di brillantina, il babbo la metteva sui capelli per tenerli lisciati all’indietro come usava allora; la tesa mi calava sugli occhi, non vedevo quasi niente ma il mondo intero era lì con me.
Questa è l’immagine più ricorrente della mia infanzia con lui, forse per la tenerezza e l’intimità di quel momento, forse perché mio padre in quelle occasioni mi pareva particolarmente bello, pedalava con sicurezza, la bici non oscillava, mi sembrava di volare ed ero certa che con lui non sarei mai caduta, appoggiavo le mie piccole mani sulle sue forti braccia; io ero la sua bambina e lui era il mio babbo.
Ispirandosi alle parole di altri: “Rivedo da capo il cielo colorato di sole”

“Rivedo da capo il cielo colorato di sole” (da Amata solitudine di F. Battiato) – di Ivana Acciaioli
Diciott’anni, un bichini alla moda e la voglia di costruirmi un nuovo personaggio addosso.
Stesso mare ma nuova vita, quella dei diciotto anni.
Un asciugamano ed un barattolo di Leocrema ultima moda per l’abbronzatura.
Mi alzo presto per catturare i primi raggi di sole quelli per un’abbronzatura duratura, il sole splende ed io non apro gli occhi, non condivido queste vacanze con nessuno, misteriosa e raccolta in un nuovo mio mondo fatto di luce e pelle calda, super ambrata e unta.
I miei vecchi amici non hanno il coraggio di violare la mia nuova identità.
Dopo dieci giorni sono nera come il carbone, annoiata a morte, ma non intendo rompere il patto che ho fatto con il cielo azzurro ed il sole.
Poi eccolo, il nuovo ragazzo della compagnia, bello, alto, curioso della mia riservatezza.
L’amore rompe le mie barriere, via il vasetto della crema e solo baci e carezze.
Squilla il telefono, è lui, che mi ha lasciato alla fine di quell’estate di quattro anni fa per una bionda formosa, proprio stamani mi cerca, dice che rimpiange la genuinità ed il calore del nostro amore.
Io rispondo:-Mi dispiace oggi mi sposo.
Donne

Sorelle noi – di Roberta Morandi
Io giovane, io moglie,
io madre,
ogni tanto amante,
mai persona.
Io come tante,
in gonna,
in cerchio,
per mano,
insieme a gioire,
divise a scegliere,
uguali a sentire
diverse a comprendere.
Declinate in a
come appartenenza ad un genere,
fisse o mobili
ma sempre definite.
Aperte, non chiuse,
anche dopo…
anime in volo,
finalmente libere
finalmente sorelle
A volte nascono fili sottili che uniscono
“Parlare inutilmente”

Parlare inutilmente – di Gabriella Crisafulli
“Il silenzio è d’oro”, ripetevano i miei genitori. E io invece son sempre stata con la bocca aperta da un orecchio all’altro. Ho raccontato tutto a tutti, assetata com’ero di parlare con qualcuno con cui condividere le mie esperienze. Mi piaceva anche entrare in contatto con le persone: avevo perduto il mondo palermitano affollato di nonni, zii, amici, parenti, … e lì, a Como, non frequentavo nessuno. Così il giorno della mia Prima Comunione, durante il rinfresco in casa dopo la cerimonia, mi muovevo felice fra gli invitati, tutti adulti. Quello era il periodo alto – borghese della mia famiglia e il giro di conoscenze ruotava intorno a persone eleganti, raffinate, un po’ snob, a cui i miei tenevano molto.
I regali furono bellissimi.
Mi avvicinai ad una signora di cui avevo sentito dire dalla mamma che aveva avuto un evento felice e per farle le congratulazioni usai la parola “condoglianze” creando un enorme imbarazzo e risatine di convenienza.
Non so se quella fu la prima, ma ho una carriera di “gaffes” che ho collezionato nel tempo.
Una volta, ero molto giovane, in una cena fra persone che avevano il doppio della mia età, venni presa di mira dal sommellier di una famosa enoteca fiorentina, al quale era stato chiesto di stappare un vino speciale.
Lui adempì puntualmente al rituale della presentazione del nettare prezioso, sciorinando tutto il suo vocabolario.
Io non avevo mai visto niente di simile e guardavo con attenzione e stupore tutte le operazioni. L’ultima fu quella di versare un po’ di vino in un ciotolino che portava appeso al collo. Lo avvicinò alle labbra sorbendo del liquido, aspirandolo fra i denti e snocciolando le giaculatorie del caso. Dopodiché mi piazzò lo scovolino sotto il naso e mormorò:
“Prego signora!”
Io lo guardai imbarazzata.
Mormorai sottovoce:
“E io devo bere lì?”
Al che il poverino, più affranto di me, replicò:
“Il bouquet, signora, prego, il bouquet!”
Ispirato a parole di altri: “Visioni di anime contadine”

Visioni di anime contadine – di Lorenza N.
Il problema è che se seguo la sequenza di parole non mi viene in mente nulla. Allora provo dal fondo: contadine, anime, visioni. Niente lo stesso. Oggi non è proprio giornata. Provo dal mezzo: anime. E lì volo molto in alto. Seguo l’anima nell’attimo che esce dalla bocca di una persona che si spegne; tanto che a volte viene posata una moneta sulla labbra per trattenerla, oppure per pagare Caronte il traghettatore di anime, perché la faccia oltrepassare per andare in luoghi felici. Ma si sa che essa il modo per lasciare il corpo lo trova comunque. Infatti si dice “inanimato” un corpo che non ha più vita. Se penso a ciò che resta di una persona che non c’è più, mi consola l’idea che resta la sua anima fra noi a ricordarcela a farcela rivivere nei gesti, nelle parole, negli odori, sensazioni, affetti , emozioni e perciò non la perderemo mai.
E così compare anche la sua immagine nella visione di una colombella che vola, come viene spesso raffigurata nelle iconografie dei quadri nella rappresentazione dello “spirito”. Lo stesso che estraeva mio cognato contadino facendo la sua grappa speciale, tanto illegale quanto buona e forte, che a forza di assaggi gli faceva avere le visione di parecchie anime contadine spesso e tanto volentieri.
Ispirato a “Anime salve” di De André

Parole rubate – di Gabriella Crisafulli
Sono state giornate furibonde *
senza atti d’amore
senza calma di vento
e son seduta qui
a ripensare
a trovare una strada per non soffrire
troppo
per guardare avanti
non scivolare nel rancore
e sentire in gola di nuovo
il sole che nascerà
Spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e non basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
mi scorrono nel viso
sogni, sorrisi
pedalate
panini, pomodori
con tempi, giorni
vacanze in libertà
e so che resistere
è il solo modo di andare
Mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
con le valige in mano
verso l’isola del tesoro
dove tra lacrime e sorrisi
ti ho ritrovato
amante di cavalcate selvagge
di notti complici
di pelle vellutata
di corpi sfiniti e appagati
* De Andrè Anime salve
