
Carla Faggi – L’isola dei limoni
L’isola era come una prigione, bellissima ma sempre una prigione.
Armandino, un giovane di undici anni, così pensava, mentre, seduto sul muretto di fianco alle mura del parco della grande villa, guardava assorto i traghetti che portavano nel continente.
Amava quel posto, quel muretto di pietra che giornalmente lo accoglieva, le foglie del limone che si affacciava dal muro. Quel profumo intenso dei frutti maturi. La brezza marina che lo rinfrescava.
Ma principalmente amava guardare i traghetti che partivano ogni giorno verso chissà quali avventure, e quante storie e sogni si portavano con sé.
Armandino amava fantasticare e inventare storie sui passeggeri che ogni giorno salivano sul traghetto.
Come quella signora che trascinava una valigia enorme. Forse quella valigia conteneva un tesoro, monili ed abiti di qualche vecchia contessa dell’isola.
E quella bella signora tutta vestita di nero con quel buffo cappellino a sghimbescio. Forse se ne va e lascerà per sempre nell’isola il ricordo di quell’uomo che non aveva mai corrisposto il suo amore.
Eppure era bellissima, come può un uomo non amarla, pensò. Forse le era solo amico, come io sono amico di Emma. Ma di Emma si può solo essere amici, non la si può amare, è grassa e veste come un maschio, e poi è più brava di me a catturare lucertole. Non si può amare una bambina così. Invece, pensò Armandino quella signora vestita di nero con i tacchi alti alti è meravigliosa. Si sta guardando attorno come a cercare qualcuno. Forse aspetta che il suo amato ci ripensi e la raggiunga e parta con lei. Oppure la preghi di non lasciarlo da solo ora che ha capito di amarla.
Armandino chiude gli occhi e sogna di essere lui l’uomo così fortemente amato, lui sì che l’avrebbe raggiunta e portata con sé. Il suono del traghetto in partenza lo scuote. Verso il mare e verso il continente partono i sogni e le storie.
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Roberta Morandi – Dalla Sicilia alla Norvegia e … ritorno
Sicilia, primi anni del ‘900, in un agosto assolato, come deve essere, una strada di campagna, o meglio un viottolo delimitato da muretti a secco, interrotti a tratti da alberi di fico a fare poca ombra, una bambina col vestitino a quadri dai colori sgargianti è seduta su un sasso ai margini con un cestino di limoni gialli, profumatissimi, in grembo.
L’afa dell’aria attutisce ogni rumore, solo imperterrito e inquietante il frinire delle cicale…
Quel ricordo me lo sono portato dentro da sempre: la tua terra, la tua isola, i limoni, i profumi, il caldo e te piccina ad aspettare chissà cosa in quella strada polverosa e arida.
Oggi vorrei ancora essere allora e non ora, qui al freddo, anzi al gelo del fiordo.
Siamo stati catapultati fuori dai nostri luoghi, la vita ci ha riservato stranezze come questa, in questo paese così inospitale per noi. Io ricercatore nucleare e tu insegnante di lingue…mi hai voluto seguire…allora…e poi? Poi tutto si è congelato come può succedere solo in questi fiordi lunghi e stretti e ghiacciati…come il nostro amore. Te ne sei andata una mattina che non era ancora giorno, o meglio in quella parte dell’anno che è sempre un po’ giorno e un po’ no.
Sei andata con tutte le speranze, le mie speranze, ora lo so, che erano solo mie, non ho mai fatto molta attenzione ai tuoi perché, ai tuoi silenzi, ai tuoi sorrisi così poco sorrisi.
Ecco, ora sono qui nel ghiaccio anche del mio cuore a ricordare quella bambina solare e calda che ormai ho perduto molti anni fa.
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Chiara Bonechi – I limoni di Maciarello
Isola d’Elba: la casa di Renza e Carlo è a Maciarello, un piccolo agglomerato di casette che un tempo appartennero a contadini.
Quelle casette, ora in buona parte ristrutturate, sono di chi, venendo da fuori, ha scelto quel luogo per le vacanze.
Là, dietro la casa di Maciarello, c’è un prato con piante grasse, palme e lantane e in fondo, verso il mare, davanti al grande fico troneggia un albero di limoni che offre i suoi frutti gialli succosi e dolci.
Renza regala volentieri limoni adagiati nel cestino comprato sul mare dove ogni giorno, nel luglio assolato, ci incontriamo.
Nell’isola, un tempo non era così.
Chi viveva a Maciarello era lontano da tutto e da tutti, lontano dal mare, lontano dai paesi più abitati dell’isola, lontano dalla gente…i momenti del giorno erano scanditi dalla luce del sole e quelli della notte dai rumori del vento, del mare in lontananza, dei cinghiali e dei mufloni che si avvicinavano alle case.
Questo raccontava a Renza la vicina ormai anziana, le raccontava di quanto avrebbe voluto trascorrere alcuni momenti delle sue giornate in compagnia, in quel luogo dove invece si cerca adesso la bellezza della solitudine.
Racconta ancora dello spavento che provò quando, dal chiuso della sua cucina, udì dei passi, insoliti, inaspettati… Il cuore cominciò a batterle forte, le tempie a pulsare, la paura la rese immobile.
Una presenza… Il pensiero di incontrare qualcuno la imbarazzava: cosa avrebbe potuto dire lei che conosceva solo il mare, il bosco, i campi?
Si affacciò ma non vide nessuno. Si fece coraggio e uscì.
Sotto il capanno la sagoma di un uomo si mosse e tutto fu facile…
Da quel momento non fu più sola.
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Mirella Calvelli: I limoni e la coperta
Una lingua di sabbia rossastra , onde lente la lambiscono, i rumori sono quasi impercettibli.
E’ da poco spuntato il sole che tinge quello specchio del golfo , striando l’acqua di tonalità che vanno dall’ocra al rosato.
Più avanti in una piazzetta piastrellata di maioliche, un vecchio venditore canuto sta distendendo un telo, ancor più colorato delle mattonelle stesse.
Colori vivaci che vanno dal fucsia al blù elettrico, passando da una sfilatura dorata…Di lì a poco dai sui cestini di vimini prenderà dei limoni succosi, pronti per creare delle ottime spremute.
In fondo possiede solo quelli. Alcune piante di limoni, che con molta cura annaffia, di altro non hanno bisogno in quella terra sempre scaldata dal sole, rinfrescata soltanto la sera da un leggero vento, che si alza giusto per togliere dalle foglie smeraldo i residui dei granelli di sabbia rossastra che arrivano dal mare.
E lui accovacciato su quella bella coperta brillante, aspetta fissando l’infinito……
Dal gruppetto di pescatori vicini al molo, si stacca un giovane uomo ed inizia a percorrere il lungo mare, sembra assorto nei suoi pensieri.
I piedi nudi vengono ripetutamente bagnati dalla spuma del mare. Affonda prima a destra e poi a sinistra a seconda della presione delle gambe. Le braccia abbandonate lungo il corpo, i ricci mori scompigliati dal vento…si piega in avanti, si inchina, osserva e si rialza, nelle mani qualcosa di particolarmente brillante..poi di nuovo si genoflette e si riallunga.
In lontananza un’altra figura gli viene lentamente incontro, più piccola, lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle…ma stesse movenze…in avanti…in basso e in mano sembra lo stesso bottino.
Da quassù, dalla piazzetta di maioliche sembra la danza di due flamenco.
Abbandono la balaustra e mi siedo ad un tavolino di un bar in angolo. Mi verso il caffè dall’aroma prorompente e inebriante che allevia subito la mia gola arsa. Un piacere enorme!!!
La radio continua il chiacchericcio imperterrito e il giovane barman cerca disperatamente un po’ di musica decente.
Impaziente, si sfrega le mani al grembiule consunto…….intanto volgo lo sguardo altrove, lascio i raccoglitori di conchiglie lungo il bagno a sciuga, il venditore di limoni sulla sua coperta scintillante e il giovane amante della musica.
Anellano lo scenario aspre montagne innevate che si stagliano contro l’azzurro del cielo.
E così, fra mare e cielo il cerchio si chiude e un benessere mi pervade………..
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Tina Conti: I limoni e il rimpianto
Una casetta bianca fatta di sassi che si affaccia sul mare, un orto con alberi di melograno, mandorli, aranci e limoni.
La bambina con il piccolo cestino raccoglie contenta i limoni dall’albero che ha piantato con la nonna.
La mamma, seduta sulla panca di pietra davanti casa si avvolge pensosa nella sciarpa che ha ricevuto in dono dall’amica di Lima. E’ bella e morbida.
Ripensa a quei giorni trascorsi in leggerezza, l’incarico per la ricerca che le ha fatto scoprire abitudini e tradizioni così diverse da quelle europee.
Risente nell’aria i profumi,i colori, le musiche che tanto l’hanno emozionata.
Ricorda l’amore spensierato per quel collega arrivato negli ultimi giorni del suo soggiorno di lavoro.
Si sente invadere da una nostalgia morbida, una tristezza lieve pensando che ormai è tutto finito.
Ritorna alla realtà quando sente nell’aria odore di zucchero bruciato.
Doveva preparare i canditi al limone per la festa del patrono, la bambina rincasata la guarda dubbiosa è abituata a questo sguardo sognante e perso.
Mamma? Stai sognando? Cosa porterò al paese se continui a bruciare tutto?
La mamma si alza con energia,,ha deciso che non è tempo di rimpianti, vuole riprendere la sua vita, dare nuove possibilità alla sua esistenza.
Mette nell’acqua il pentolino bruciato e ricomincia con una nuova preparazione.
Nella tasca del suo lungo abito pesa quella lettera stropicciata che ha riletto infinite volte e che conosce a memoria.
La nostalgia la riprende mentre mescola lo zucchero e le scorze profumate dei limoni.
Ormai terminato il lavoro versa il contenuto del pentolino su carta oleata e poi lo mette ad asciugare sulla mensola sotto la finestra .
I suoi occhi si perdono Di nuovo in quel mare ora calmo ora mosso dal vento per l’arrivo di un inatteso temporale.
Aveva detto che non si sarebbe dimenticato di noi,! gli uomini sono inaffidabili e infingardi, hanno paura degli impegni .
L’acqua martella sui vetri, si infila sotto la portafinestra.
Nella stanza accanto suona il telefono ma non si sente la voce di chi chiama solo un ronzio indistinto con parole in inglese.
Alla porta la vicina bussa con urgenza, chiede ospitalità e riparo fino a quando il marito non tornerà a casa, ha subito un furto e non ha più le chiavi di casa rimaste nella borsetta che lo scippatore le ha sottratto alla stazione dei treni.
Le due donne che condividono spesso momenti di confidenza e svago si siedono in cucina, per riflettere sul da farsi.
Dovrà essere sostituita la serratura e fatta una denuncia.
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Ivana Acciaioli: I limoni e le scarpe col tacco
Il piccolo paniere dondolava nelle sue mani mentre saliva su per la collina. Non era partita con uno scopo preciso, non era la stagione delle fragole e neppure quella dei funghi quindi non sapeva con cosa avrebbe riempito il cestino; lo aveva portato forse per abitudine, forse per compagnia, ma il vero scopo era arrivare sulla sommità, per godere della vista e del piccolo paese che bianco e silenzioso si stendeva ai piedi della sua solitudine.
Alcune piante di limoni abbandonate con i loro ciondoli biondi e lucidi la invitarono a fermarsi.
Il cestino adesso accoglieva colore e profumo ed era meno malinconico.
Sulla cima trovò, inaspettata, una coperta stesa sul prato, si sedé ed attese.
Chi poteva aveva desiderato sdraiarsi su quella coperta dai colori vivaci proprio lassù? E perché l’aveva abbandonata definitivamente o solo momentaneamente?
Pensò che non poteva portarla via, di sicuro qualcuno la pensava distesa con garbo sull’erba lì al culmine dove certo non si capita per caso.
La curiosità mista a qualche timore la prese. Il profumo intenso dei limoni, la leggerezza del vento ed il mistero la avvolsero. Si addormentò.
Sognava?
A piedi scalzi, con assurde scarpe con il tacco in mano e l’altra a reggere il cappello nero a sghimbescio, stretta nel suo abito nero, la ragazza spuntava dalla salita sbuffando per la fatica. Si lasciò cadere affranta sulla coperta.
Percepì il calore del suo corpo scoprendola reale.
Poi la sua voce: -Perché non è qui! Lo sapevo!
Intanto accarezzava la coperta intrisa del ricordo di baci e amplessi giovanili.
Forse fu l’aroma dei limoni a guidare la sua mano verso il cestino, qualcosa di bianco sbucava da sotto,un biglietto sgualcito, sofferto.
– Mi dispiace ma non scappo con te. Ho paura, è troppo presto, non sono pronto.
In silenzio piegammo la coperta che adesso accoglieva anche le sue lacrime silenziose, spaventate.
Moriva un amore che non era abbastanza grande ma nasceva un’amicizia che sarebbe diventata immensa. L’aiutò a crescere il suo bambino.
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Gabriella Crisafulli: I limoni e il mercato
Il mercato era affollato. Sulle bancarelle la merce veniva esposta in quantità: montagne di terraglie, cumuli di verdure, cassette di legumi e cereali, mazzi di fiori, cesti di frutta, … Le voci dei venditori si rincorrevano fra loro per attirare le persone.
Lei si fermò davanti al banco della frutta. Avvolta nello scialle colorato, allungava la mano quasi ad accarezzare i prodotti della terra, rimestò le noci, si mise in bocca un acino d’uva, prese un limone.
Dalla parte opposta lui la osservava tra infastidito e incuriosito. Professore universitario intorno alla cinquantina, dai capelli brizzolati che impreziosivano il bel volto abbronzato, non era abituato a passare inosservato. Le studentesse del suo corso sgomitavano per attirare la sua attenzione. Carla non lo aveva degnato di uno sguardo finché, mentre mordeva una susina, lo vide e lo riconobbe: un vicino. Era apparso proprio quella mattina nel rifugio vicino a casa sua che lei finora aveva visto sempre chiuso. Era con diverse persone ma si contraddistingueva oltre che per la bellezza anche per il suo atteggiamento algido e distaccato. Gli altri si muovevano scherzando, ridendo, parlando a voce alta, chiamandosi fra loro, in una sorta di festa fatta dal ritrovarsi insieme.
Carla avrebbe voluto conoscerli ma non sapeva come fare.