Attesa – di Elisabetta Brunelleschi

Quella sera stavamo aspettando il babbo. Non tornava, era in ritardo.

Con le orecchie tese siamo sedute in cucina pronte a percepire da lontano il ronzio del motore che non arrivava.

Oppure sì, da lontano giunge uno scoppiettio.

No, non è il suo!

Dal rumore del motore si poteva riconoscere il proprietario.

<< Questa è la lambretta di Antonio, senti come va!>>

<< Si è fermato laggiù, è la giardinetta del Tucci>>

<< Sale ancora, sarà quello del Cerrini. Eh, torna anche lui tardi!!>>

E poi tra un motore e l’altro il silenzio, solo silenzio profondo, denso, un silenzio da sprofondare.

Chissà forse la mamma era in ansia. Ma non lo dava a vedere.

Intanto noi continuiamo ad aspettare. La tavola è apparecchiata e le nostre mani si allungano verso la cucina economica accesa dove sono appoggiati i tegami con la cena.

Ecco un suono lontano come un friggere che sempre più distinto si avvicina: è lui, è il suo motorino: il Mival.

Chissà quali ritardi: il magazzino, il camionista, la strada, …

Il motore si spegne, la porta si apre e il silenzio finisce con il nostro parlare.