Paura – di Emilia Caravaggi

E’ dentro di me da moltissimi anni. Aggressiva, deleteria, invalidante. Ha sconvolto la mia vita per anni e quando pensavo di esserne venuta fuori ritornava educatamente, in punta di piedi quasi silenziosa come il sibilo di un serpente. Non viene mai da sola. E’ accompagnata da ansia, angoscia, fragilità, rendendoti dipendente come una droga.

Il mio matrimonio stava affondando ed io non riuscivo a capire come fare, cosa fare. Ero spesso sola la sera fino a tarda notte e la paura di stare sola mi attanagliava la gola lasciandomi senza fiato. Non sapevo mai quando lui sarebbe tornato se prima, dopo o molto più tardi di cena, così presi l’abitudine di fermarmi, dopo il lavoro, a casa di una mia carissima amica che viveva  vicino a noi, dove restavo fino all’ora di cena per tornarmene a casa con angoscia perhè non sapevo se sarei rimasta sola o se avrei trovato lui. Restavo in piedi fino a tardi finchè non sentivo girare la chiave nella porta. Magari erano le 2 o le 3 del mattino e alle 5,30 di nuovo in piedi per rassettare la casa e lasciarla in ordine prima di andare a lavorare. Così tutti i santi giorni ! Cercai aiuto perché ero stanca, non dormivo che poche ore, ne lavoravo almeno 8 e non ero padrona di tornare a casa perche avevo paura di stare sola, di trovarla vuota. Trovai uno psicologo, fortunatamente, molto bravo. Ho passato con lui di settimana in settimana ben 4 anni e nel frattempo mentre crescevo io il mio matrimonio faceva acqua. La fine delle mie sedute con lo psicologo fu anche la fine del mio matrimonio. La paura non sparì ma si attenuò molto, dopo che la mia padrona di casa, che abitava sotto il mio appartamento, mi offrì la chiave di casa sua, dicendomi che in qualsiasi momento sarei potuta entrare da lei anche se fosse già addormentata.

Mi resi conto più tardi che sarebbe bastato un piccolo gesto, una mano sulla spalla per attenuare l’angoscia, tutta la paura e la dipendenza da altri. Non ho mai usato la chiave ma sapevo di averla lì nel portacenere sul mobile accanto alla porta di casa.

 

La scatola magica

LE SCATOLE – di Elisabetta Brunelleschi

(Stasera sul tavolo ci sono due scatole. Sono identiche e un’unica carta geografica riempie ogni loro faccia. È un mondo colorato, dove non è detto che il mare sia blu o i monti marroni, è un mondo vivace, di fantasia. Le scatole hanno un’apertura e, al buio, dovremo esplorare l’interno, senza guardare, senza ascoltare, senza odorare, solo infilando una mano nella stretta apertura…Un brivido scorre, sarà la bocca della verità?Fortunatamente una voce rassicura che ‘non c’è niente di pericoloso’ !? Ed allora il gioco può iniziare )…

Con questo gioco posso percepire duro, morbido, liscio, ruvido, granuloso, soffice, resistente, appiccicoso, colloso, vischioso, peloso, fresco, scivoloso, ispido, …

Ed è bello dare il nome agli oggetti partendo da un sentire che è senza colori, senza odori, senza rumori.

Una semplice pressione, lo spostarsi di un polpastrello, l’appoggiarsi del palmo di una mano e l’ignoto prende forma.

La mano avanza lenta, tasta con delicatezza e i primi oggetti prendono forma e nome: un barattolo, una scatolina che sembra coperta da cellofan, una pezzo di pane secco, una spugnetta per rigovernare, .. un tondo liscio, una pallina fresca, una spirale pelosa, …

E la fantasia può anche galoppare, inventare e vincere la paura del buio e dell’ignoto

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Scelgo dalla scatola………

…il palloncino rosso – di Mirella Calvelli

Un palloncino, libero, un filo lungo scappato dalle mani di qualcuno…vola in alto, fiero, incurante di lasciare un viso piangente, smarrito o anche solo sorpreso che lo sta guardando mentre vola via…Il colore è rosso, nitido, lo rende ancora più fiero, veloce vero l’infinito, sicuro che grazie al suo colore qualcuno lo sta ancora seguendo….

Ma lui si piega, gira su stesso e cerca il contrasto con il cielo fino a diventare un puntino piccolo (rosso) ed essere inghiottito dalle nuvole, forse solo accolto fra le nuvole o nascosto dalle nuvole…come un sipario che si chiude a teatro…

Ma dove vanno a finire i palloncini che si liberano???

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….la spugnetta ruvida – di Stefania Bonanni

La spugnetta ruvida per rigovernare serve per staccare gli appiccicaticci resistenti, quelli che se ne vanno solo dopo ripetute sollecitazioni, e che a volte proprio non ne vogliono sapere. In quei casi, si fa a chi insiste di più. Si stropicciano, loro se ne stanno appiccicati,resistono attaccati con quelle manine a ventosa, non cedono,e allora si lasciano lì. Ma non è finita. Si riprova,dopo averli lasciati un po’ a bagno per farli ammorbidire. E si stropiccia, ancora. Non se ne vanno?  Va beh, finiscono in lavastoviglie. E quella…..non guarda in faccia nessuno! Si apre l’elettrodomestico e voilà….gli appiccicaticci sono sempre lì: hanno vinto loro! E allora viene spontanea una riflessione: ” Ma che roba era quella che si è mangiata ieri a cena?”

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…..la pasta appiccicosa – di Sandra Conticini

La prima sensazione è stata di ribrezzo che poi si è trasformata in tenerezza, perché toccando l’oggetto ho pensato che poteva essere uno di quei mostri cinesi che piacciono ai bambini. Vedere un bambino felice, contento, che gioca con un balocco che gli piace a me fa venire una sensazione che io chiamo tenerezza. I bambini sono bravissimi in questa arte della tenerezza: ci sembrano fragili e indifesi e quindi siamo sempre pronti a proteggerli. Si percepisce che il piccolo si affida totalmente a te ed ha tutta la sua fiducia nei tuoi confronti e quindi  non puoi tradirlo.

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….la spugnetta ruvida – di Miriam Pavi

La mia mano ha riconosciuto subito l’oggetto, credo che questo sia avvenuto perchè:

  • Serve per togliere le incrostazioni (…mi piace l’anima, l’essenza delle cose)
  • mi somiglia un po’ (sono abbastanza ruvida all’esterno)
  • è un oggetto comune e funzionale…..

d’altra parte i miei sogni e la mia creatività partono quasi sempre da spunti di realtà.

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…….il pane secco – di Chiara Bonechi

La mia mano che entrava nella scatola mi ha ricordato un gioco fatto a scuola durante una festa di primavera, in giardino: “La bocca della verità”.
Avevo preparato un grande volto di donna aiutata da un’amica che sapeva dare espressione e colore a quel volto sicuramente meglio di me. La donna aveva una grande bocca, leggermente aperta, contornata da labbra rosse.
Appesa alla finestra della casina di legno nel giardino della mia scuola, io nascosta dietro vedevo la manino dei bambini che coraggiosamente infilavano in quella bocca misteriosa…
Su quella mano cadeva marmellata o nutella o latte condensato o miele e loro dovevano indovinare e poi potevano assaggiare.
Io nella scatola ho sentito il pane secco, meno attraente dal punto di vista della golosità ma capace di suscitare bei ricordi.

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…….la collana di perle (che nell’immaginario corrispondeva a una lunga fila di perline di vetro rosso per addobbare l’albero di natale). – di Maria Laura Tripodi

C‘era un acuto profumo di muschio nella stanza.

Il babbo stava preparando il presepe e quello era il momento dell’anno in cui Marta amava assaporare il gusto della condivisione, anche solo osservando.

C’erano tante scatole per terra: quella che conteneva le statuine di gesso, quella con il muschio dell’anno precedente, quelle con le palline colorate che avrebbero addobbato l‘albero di Natale.  E poi rotoli di  carta dorata  per coprire le gambe del tavolo e quelli di carta  mimetica per simulare le montagne dello sfondo.

In un angolo c’era il muschio appena raccolto, in attesa di essere sistemato.

Il babbo, che era elettricista, aveva anche preparato un piccolo pannello di legno ricoperto di una carta blu a stelline dorate e con delle piccole lampadine tonde aveva composto la scritta W Gesù.

Tutto sembrava avvolto in un’atmosfera magica ancora prima che lo scenario fosse approntato.

Gli occhi di Marta erano curiosi e attenti. Lo sapeva che ci sarebbe voluta una giornata intera e che lei avrebbe solo potuto sbirciare dallo spiraglio della porta a vetri, ma alla fine tutto avrebbe brillato dell’atmosfera natalizia.

Alla sera quando il resto della famiglia fosse andato a dormire lei invece si sarebbe alzata e nel buio avrebbe goduto delle lucine che brillavano dentro le casette di cartone e del bagliore che l’albero di natale spandeva tutto intorno,  a intermittenza.

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…….sasso liscio – di Tina Conti

Non è facile trovare un sasso liscio e quando l’hai trovato te lo tieni caro. E’ come un tesoro. Nella tasca della giacca ti fa compagnia, è un passatempo quando sei in coda e,aspetti il tuo turno dal fornaio o quando hai un appuntamento e non arriva nessuno e tu cerchi di rimanere calma e serena. Nel frattempo giochi con il tuo sasso nella tasca: lo rigiri, lo accarezzi, lo stringi.
Quelli lisci e sottili, con grande dispiacere diventano piattellle da lanciare sull’acqua. quelli piccoli finiscono in un barattolo insieme a quelli tondi, a cuore o a forma di naso.
Un sasso liscio non si abbandona mai, si ritorna anche indietro per raccattarlo.
Peccato che  nelle tasche facciano un gran peso, e a volte si perdono perché la fodera si  è bucata.
Ne ho ritrovato uno in una borsa che uso solo in inverno, non ricordo dove l’avevo raccolto ma mi ha fatto piacere ritrovarlo.

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…….il barattolino a sonagli – di Roberta Morandi

Per la verità nessun oggetto mi ha emozionata a tal punto da renderlo vivo, è  stato divertente ciacciare in una scatola, ricordo due film. Se proprio devo scegliere qualcosa, forse il barattolo a sonagli è  stato l’unico che mi ha fatto pensare alle biglie colorate che i bambini si scambiavano e facevano razzolare,  i bocchi. C’è n’erano di varie dimensioni e colori e stavano racchiusi nei barattoli di latta o vetro.
Tutti alle stradine avevamo i bocchi, c’è li portavano sempre dietro, racchiusi nei sacchetti ti tela o in vecchi calzini più volte rammendati,  ma a casa stavano nei barattoli, quelli che ci portavamo dietro erano quelli da scambiare, i doppioni o i meno belli e preziosi: una biglia di vetro trasparente con all’interno una pennellata di uno o due colori, a volte anche tre.
Il tintinnio dei bocchi nelle tasche dei pantaloncini corti (da piccola  non riuscivo a giocare con i vestiti da femmina) mi faceva sentire uguale a loro, i maschi, anche  se avevo le treccine bionde col fiocco, che era sempre sciolto. Per le stradine le femmine non giocavano per strada, i maschi si. Le femmine giocavano nei giardini privati con le bambole e i coccini a fare le signore, i maschi giocavano a “bocchi” o a far la guerra fra “bachi”, le stradine, e “semi” la piazza. A questo gioco le femmine e non erano ben accette se non quando si doveva raggiungere il numero dei “semi” o dopo la battaglia, a suon di cerbottane con lo stucco o i pirulini, a medicare le ferite dei “valorosi”. Una volta fui ferita pure io con un pirulino  ad una caviglia, quella fu la mia entrata nel modo dei maschi a giocare anche a “bocchi”.