La teglia rossa – di Tina Conti

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La conservo ancora, non è un oggetto di valore ma non riesco a disfarmene.
Mi ricorda un tempo felice e di cui ho  vaghi frammenti: la vita “al monastero”,  così si chiamava la cascina dove la nonna vedova con la cognata e altri parenti ha vissuto prima di tornare in paese.
Era faticoso fare tutta la strada in salita  dalla fermata dell’autobus  fino alla casa della nonna, ma noi arrivavamo svelti e curiosi.
Per me era un mondo tutto nuovo pieno di scoperte e di giochi, dove c’erano animali e tanti adulti.
Legata al ricordo della teglia rossa c’è  la stagione autunnale  e la raccolta delle olive. La nonna ci preparava per andare nel campo con attenzione e affetto. La rivedo che ci scalda le scarpe con un tizzone di carbone incandescente  facendolo rotolare velocemente all’interno.  Poi aggiungeva pezzi di lana ai calzini.  Per farci stare più caldi.
Non ricordo mai di aver avuto freddo perché c’era molta gioia nei giochi e nello stare tutti insieme, grandi e bambini.
Spesso si andava al campo della madonnina dove c’era un bel tabernacolo che a noi bambini ispirava gesti di rispetto e devozione: si facevano preghiere inventate e si giocava a fare la messa.
Dietro il tabernacolo si  improvvisavano case, si cucinava su pentole di sasso e i serviti di piatti erano le foglie più grandi, non mancavano posate fatte con i bastoncini e anche bambole di stracci che la nonna insieme ai bambini di pasta ci preparava quando infornava il pane.
Naturalmente i bambini di pane duravano poco e se ne restava qualcuno era tutto rosicchiato e  irriconoscibile.
La cognata della nonna era la massaia di casa e lei nel campo non veniva, aveva il pollaio, la cucina e il bucato fra le sue incombenze.
Quando si sentiva battere mezzogiorno si doveva smettere di giocare e andare a prendere il desinare.
Come si sentivano bene le campane della chiesa dell’Antella in quella campagna piena di odori e suoni leggeri. Forse  era la fame che ci faceva stare all’erta.
Di solito la sporta del pranzo la portava la bambina più grande, perché ci voleva molta abilità per non rovesciare tutto.
Legata con una tovaglia a quadri, di solito rossa o blu, c’era la famosa teglia rossa, chiusa dal suo coperchio conteneva baccalà e fagioli  per quel che mi ricordo.
Il pane veniva affettato al momento, tenendolo stretto sotto il braccio, c’erano bicchieri e il fiasco del vino e dell”acqua, spesso anche l’acquerello che lo zio Angiolo sapeva fare in modo eccelso. Per noi bambini era una vera leccornia.
Si mangiava con gusto e appetito, la nonna portava anche qualche fico secco e  le sue collane di mele secche che asciugava in estate alla finestra.
Questa teglia rossa è riapparsa dopo un trasloco e è rimasta nella mia casa vicino al forno a legna;  possiedo non so perché anche il padellino con cui veniva cotta una frittata speciale sul fuoco del camino, che  penso non assaporerò mai più .

teglia rossa