Brillanti di luce

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GOCCE – di M.Laura Tripodi

Il mercoledì mattina mi alzo a fatica perché capita spesso che la nottata sia stata insonne e  ho sempre la sensazione  che il sole o il grigio che filtra attraverso le  persiane sia malato. Eh sì, infatti vado in  reparto e non so mai cosa mi aspetta. Però i bambini sono esseri meravigliosi  e non vivono il male e il dolore come noi.   E’ una bella lezione di vita.

La scorsa settimana  ho ritrovato X., otto mesi. Se la dormiva tranquillo, ma il suo corpicino era attraversato da tubi e tubicini per il monitoraggio costante delle sue funzioni . E dal piedino spuntava il collegamento con il boccione della flebo. La mamma mi ha chiesto se poteva assentarsi un’oretta per prendere una boccata d’aria.

Mi sono seduta accanto a lui, ho tirato fuori il mio libro e mi sono messa a leggere. Ma ero inquieta.

Mentalmente avevo registrato i numeri sui vari monitor per essere sicura che non intervenissero variazioni significative. Ma il mio sguardo, non so perché, tornava insistentemente a quella goccia di soluzione che scendeva con regolarità ogni due secondi, si infilava silenziosa nel tubicino e portava la vita al piccolo X.

I miei pensieri si sono scatenati.  Mentre guardavo come ipnotizzata quel regolare fluire di gocce trasparenti ,  quelle stesse gocce hanno preso  colori e significati diversi.

E sono arrivate le gocce di sangue uscite  da un ginocchio sbucciato e frettolosamente ripulito con un po’ di saliva e poi via di nuovo di corsa a giocare.

E  i fili d’argento della pioggia fatti di gocce che si rincorrono velocissime per raggiungere la terra che le assorbe rilasciando quel meraviglioso profumo che cambia, a seconda delle stagioni.

E lampadari scintillanti di gocce di cristallo a illuminare ricevimenti ricchi di musica e sfarzo, come nelle scene del romanzo Il Gattopardo.

E gocce di brillanti, a impreziosire i lobi delle ragazze in età da marito che attendono un invito  al ballo in una bella serata di fine Ottocento.

E una goccia di vino caduta accidentalmente a profanare il bianco immacolato della tovaglia di fiandra, tirata fuori per un’occasione speciale.

E una goccia di rugiada rimasta  incerta sul petalo di una margherita.  Poi il fiorellino che si piega per l’arrivo improvviso di un soffio di vento e la goccia che se ne scende senza fretta e raggiunge il suolo, sparendovi dentro.

E le grotte dove millenni di gocce hanno formato figure affascinanti, dalla terra verso il cielo e dal cielo verso la terra.

E le gocce di cielo  negli occhi del mio piccolo Lorenzo che non ha ancora capito se sono la sua nonna o la sua compagna di giochi.

X. ha mugugnato qualcosa, si è mosso impercettibilmente e poi ha continuato a dormire. L’incantesimo si è interrotto, io sono tornata alla mia realtà, ma una  goccia  salata mi si era impigliata incerta fra le ciglia.

Quando la mamma è tornata mi ha chiesto se era tutto a posto.

“Certo, non ha dato nessun problema. Ha sempre dormito. Spero di non rivedervi qui il prossimo mercoledì”.

Lei ha sorriso e mi ha buttato un bacio sulla punta delle dita.

Io ho dato un ultimo sguardo al piccolo e  alle gocce di vita  che continuavano a scendere con regolarità.

 

Bersaglio

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Il bersaglio – di Roberta Morandi
Le parole entrano ed escono
balzellando nella testa…
poi si affollano
in punta di lingua.
Come in un bersaglio cerco il centro
e la penna s’arresta.
Mi concentro
entro nel mio centro,
faccio spazio,
accolgo.
È chiaro il concetto:
se dico amicizia
ho nel bianco l’arcobaleno perfetto
fino al cuore del mondo
nel giallo
l’empatia
il mio specchio sugli altri.

Febbraio – fiori di stagione

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Calendule – di Cecilia Trinci

Non hanno profumo le calendule. Sono fiori stellati, quasi grossi margheritoni  arancioni, allegri, ottimisti, ma senza il minimo profumo. Fioriscono ora, quando l’inverno è  attivo e qua e là le previsioni del tempo  danno ancora “possibili nevicate anche in pianura”. Erano i primi che ci accoglievano in campagna, con quelle capocchie accese, rugginose e tozze, quando si arrivava in certe mattine di sabato piene di sole freddo e si scoprivano lì, sotto il mandorlo secco, esploso  di bianco.

In città era inverno e lì era già “primavera a mare”. Perché il mare è proprio là, a pochi metri di distanza.

Da tanto tempo non le vedo rifiorire, anche se  certamente lo faranno senza di me. Esploderanno silenziose d’arancio e petali allungati, guardando il sole di mare con lo stupore solito, staranno qualche giorno a parlare con i merli innamorati,  il vento di libeccio strapazzone e le nuvole salate che strisciano basse, bianche e ghiacce come bioccoli di gelato.  Chissà se si chiederanno di noi, se noteranno la nostra assenza e la mancanza definitiva di qualcuno della famiglia o se staranno lì, nell’erba, senza domande, in silenzio, aspettando senza paura la loro fine fiorita.

Gioielli di fiaba

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GLI ORI DELLE SORELLE – di Elisabetta Brunelleschi

Dopo una giornata trascorsa insieme alle nipotine, al momento dei saluti, le ultime parole della zia Ernesta erano sempre :

– … E ricordatavi, quando avete un po’ di soldi compratevi l’oro! Anche se ci fosse da scappare, quello ve lo mettete in dosso e andate via! –

Le due sorelle a forza di sentirselo ripetere crebbero con il mito dell’oro.

Dopo i primi stipendi, messo da parte qualche risparmio, iniziarono a frequentare le oreficerie.

Natale dopo Natale, ricorrenza dopo ricorrenza acquistarono la catenina, il braccialetto, gli orecchini, l’anello, l’orologio: tutto rigorosamente d’oro.

Poi ricominciarono, un altro paio di orecchini, due tre medagliette per la catenina, una collana, altri anelli, uno con l’acqua marina, uno con il topazio.

La perle no, non le compravano, perché la zia Ernesta diceva che portano solo lacrime, era meglio un ciondolino di corallo.

Ma alle sorelle il corallo non piaceva e i loro acquisti si fermavano sempre al giallo e morbido metallo.

Gli ori li indossavano per le feste di famiglia: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, nozze d’argento e nozze d’oro. In queste occasioni era uno spettacolo vederle uscire elegantissime e agghindate, in un tripudio di giallo, con con anelli, bracciale, orecchini, collana e orologio.

Ma non pensavano solo a se stesse, per battesimi, comunioni e cresime non mancavano mai di regalare ninnoli d’oro: catenina, anellino, medagliette.

Poi, quando tutti furono cresimati, sposati, ecc. … le feste si fecero più rade e gli ori restarono sempre più spesso nei cassetti.

Lentamente giunse il tempo degli addii, un funerale dopo l’altro e molti parenti se ne andavano.

Anche per le due sorelle arrivò la vecchiaia e allora gli ori dimorarono solo nei cassetti.

Passarono degli anni e la fine si stava avvicinando.

Un bel mattino, quasi nascondendosi a se stesse, presero l’oro e lo chiusero in due scatoline di cartone che depositarono in luogo segretissimo.

Dopo la loro dipartita la casa è stata meta di eredi, architetti e geometri. Vi hanno lavorato, a turno, muratori, elettricisti e idraulici.

Ma nessuno ha ancora scoperto gli ori delle sorelle.

Qualcuno dubita che siano mai esistiti.

 

 

I diamanti di vetro

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Il regno che diventò repubblica  – di Stefania Bonanni

C’era una volta un regno, che diventò una repubblica. I regnanti furono fatti prigionieri, ed i gioielli della regina non servirono a liberare nessuno. Si scoprì che erano tutti solo pezzi di vetro, buoni per carnevale, o per giocare col riflesso del sole e colorarlo.

La regina per un po’ negò. Disse che non era possibile, che erano veri diamanti, che i rivoluzionari non si intendevano di gioielli, che a lei erano stati tramandati, che erano la ricchezza sulla quale si fondava il loro staterello. Furono fatte prove, allora. Furono fatti venire gli esperti che misurarono, cercarono di scalfire, morsero i diamanti. Quando cercarono di scalfirli, si spaccano, quando li morsero se ne staccarono pezzi che rischiarono di soffocare gli esperti. Vetri, erano solo vetri. Ma come? E quello grosso, grezzo, il più prezioso di tutti, quelli che si voleva montare al centro della corona, ad imitazione del kho-hi-noor? Vetro? E quando sarebbe successa questa mutazione? (Perché sicuramente era un fenomeno fisico) Forse quest’ultima, caldissima estate, ha fatto diventare vetro il diamante. O forse era vetro da sempre, poi con il ghiaccio dell’estate si è trasformato in diamante, poi di nuovo d’estate è tornato vetro, e così via. Bastava aspettare cambiasse il tempo.

Fu così che nacquero le statuine di pappagallini rosa, che quando piove diventano azzurri.

I gioielli della Regina

 

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Il  cielo in un vetro blu – di Nadia Peruzzi

George bighellonava nella sua bottega. Guardava e riguardava un blocco di vetro informe, rozzo, puntuto, irregolare.

Ne era attratto per il suo blu e per la trasparenza che riusciva a farsi strada malgrado tutta quella massa. Era inerte, ma non privo di vita. George la percepiva, quasi la sentiva pulsare come a chiedergli di fare da levatrice.

Sembrava chiedergli una forma, non una qualsiasi, una che servisse a qualcuno.

Era stufo di star lì pietrificato e senza un senso compiuto.

Toccandolo, gli sembrava di avvertire come un’onda di pura energia. E guardandolo bene poteva trovarne più di una traccia il quel groviglio di bolle, bollicine, gocce, che stavano sospese in un galleggiamento perfetto e orientate dal centro verso l’esterno.

Gli sembrava che si fossero organizzate tutte insieme, per trovare una via di uscita, rispetto all’angustia nella quale si trovavano costrette!

Il blu, quel blu profondo, intenso sapeva di magia. Come se un tocco di bacchetta magica avesse solidificato un pezzo di mare e qualcuno fosse riuscito a strapparlo nel punto più profondo, quello in cui il blu è più blu.

George decise. Non poteva certo restituirgli la fluidità dell’acqua. Doveva riuscire a ridargli duttilità e morbidezza, che gli avrebbe permesso di lavorarlo senza romperlo.

Ci voleva fare qualcosa di bello. Non sentiva, però, nessuna ispirazione. Eppure sperava che, tradotto in gel dal calore, fosse proprio quel blocco, in forma più malleabile e meno puntuta, a trasmettergli tutto quello che serviva per il suo capolavoro.

Di prismi non sapeva più che farsene. Ne ha fatti di tutti i tipi e di tutte le grandezze. Li trovava ormai privi di senso e di vera utilità, troppo simili ai patacconi preziosi che passavano tutto il loro tempo incastonati in anelli, corone, poltrone e di cui nel gran palazzo non si sentiva certo la mancanza.

Voleva semplicità. E una forma che fosse  in grado di rappresentarla. Era stufo di cose che avevano un valore materiale, pur inestimabile, ma che non parlavano al cuore e alle emozioni.

Una lieve scossa sembrò arrivargli direttamente dalla materia, guidandolo verso l’idea giusta. Bastava un semplice rettangolo per realizzarla.

La stanza in cui la regina amava passare le ore del  pomeriggio aveva, a guardarla bene, un che di triste e banale. Eppure le finestre facevano entrare non poca luce. I raggi si rincorrevano e giocavano a rimbalzino su quei mobili austeri, mancava  un po’ di vita. Mancavano giochi di colore. Il gel blu si compose, quasi magicamente, in un rettangolo che si adattava benissimo ad una delle grandi finestre. E altrettanto magicamente nella scomposizione di quella massa informe cominciarono a far capolino altri  toni di blu che, da cristallizzati, non riuscivano a farsi apprezzare per la loro bellezza, vivacità e varietà.

In un baleno riuscì a montarlo e agganciarlo al telaio. Lo rimiro’ soddisfatto. Era cambiato tutto. La stanza sembrava aver cambiato pelle. Un pezzo di cielo, con tutte le sue sfumature, stava giocando birichino con quadri, arazzi e con i mobili stile Impero.  Finalmente, si disse, la vita entrava in quella stanza !

Concentrarsi su una forma

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Il piccolo rettangolo – di Chiara Bonechi

…e così mi sono concentrata sulla forma e sul colore…

Il rettangolo piccolo disegnato sul foglio si amplia nella mia mente e si colora di verde fino a diventare un grande prato verde. Io sono al centro di quel prato, il verde si muove intorno, c’è molta luce e il colore uniforme del rettangolo si sfuma in una miriade di verdi in quel prato.

Nel primo pomeriggio di oggi sono andata a camminare con due amiche.

Passiamo dalla ciclabile lungo il fiume Ema poi su, verso Belmonte.

Si cammina a passo svelto, abbiamo voglia di perdere un po’ di peso, snellire le gambe, respirare correttamente e intanto non manchiamo di chiacchierare e di guardare…

A destra mi appare un prato verde ben curato davanti ad una colonica, le pansè nei vasi di cotto interrompono il verde dell’erba, a sinistra ancora un prato che degrada verso campi di olivi, non è curato questo prato, l’erba è più secca, più alta e più bassa, a tratti unita a sterpi e pruni, guardo avanti e in lontananza ancora case, ogni casa ha il suo prato e sul prato sedie, tavoli, panchine e giochi colorati per bambini. E così mi sono ricordata del mio rettangolo verde e di come si è trasformato in un prato dal manto erboso folto e di un verde intenso, e di quanti prati è fatta la terra e di quanto l’uomo ha bisogno del prato…un prato per riposare, un prato per giocare, un prato per il pic nic o semplicemente per sederti comodo a gustare un panino, un prato per chiacchierare, un prato per suonare,cantare e ballare, un prato per far correre i cani e far fuggire i leprotti, un prato che custodisce il magnifico segreto della vita.

 

Concentrazione

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Dal bianco al giallo – di Gabriella Crisafulli

Il viaggio è lungo: temo di non essere attrezzata per farlo.

Sento aleggiarmi intorno il freddo di chi non mi ama ed ho paura di brancolare nel buio.

Mi sostiene la speranza di un rinnovamento, di un soffio caldo e leggero che mi dia tutta l’energia necessaria.

Desidero un pensiero intenso che mi accompagni nella fatica della scoperta: la rivelazione di parti di me, di loro, in un intricato doppio gioco di fili spezzati. Un gioco allo specchio dove ogni personaggio è contemporaneamente la freccia e il bersaglio.

Ho perso il bandolo.

Devo trovarlo.

“Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

Tuppe, tuppe, tu …

Un’è Mastro Antonino?”

 

La luce di un freddo giovedì di febbraio è raggiante.

Sono emersa dal fondo melmoso.

Il fango, adesso, arriva solo al mento.

L’acqua scorre; qualcuno si allontana: lo lascio andare a fatica, ma voglio sopravvivere.

La sua parte, nella mia storia, è terminata.

Lo strappo è lacerante: vanno via pezzi di me.

Addio.

Pezzi di vetro

Figure di vetro – di Patrizia Fusi

Un grande pezzo di vetro rosa:  osservandolo vedo al centro un grande esagono, dentro a questa forma gigantesca otto triangoli allungati e sui lati  altre figure si formano e riflettono la luce in maniera diversa, guardandoci dentro vedo quello che mi circonda separato, sfalsato. Si rompe l’immagine intera in tante figure e guardando si spezzano e si uniscono in un collage di figure.

 

Il silenzio parla

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Anche il silenzio parla – di Mirella Calvelli

Quando ho dovuto separarmi da chi amavo, o da chi non amavo più, il dialogo è stato determinante. Sono andata a ricercare sensazioni ed emozioni profonde, nell’analizzare il trascorso per capire se qualcosa era pendente. Il fatto poi di non averlo trovato mi ha permesso di acquetarmi quando il dolore è stato forte per la perdita e di conseguenza ho avuto  la possibilità pacifica di lasciarli andare.

Forse solo con una piccola entità, mai nata, non è stato possibile, non certo per mancanza di volontà, ma per quello che in maniera sbrigativa definiamo destino.

Avrei voluto fargli conoscere il sorriso di sua madre, chi era, da dove veniva e dove stava andando. Che in quel lungo, spero, percorso mi accompagnavano i suoi fratelli e con i quali avrebbe potuto condividere molto e sicuramente avrebbe anche modificato delle situazioni, creando un futuro diverso.

Non è mia intenzione appesantirlo di ciò, ma per fatalità della vita tutto questo diventa reale. Ognuno al suo posto come su una scacchiera, ogni componente fa le sue mosse e immancabilmente influenza quelle altrui. Ma probabilmente questo non era il suo gioco, so per certo che una piccola parte di lui  è sotto un roso del mio giardino, che continua a fiorire e rifiorire, anche quando non è più la stagione.  Il primo e l’ultimo a sbocciare, a regalare profumi ed intensità di colore, forse in un altro modo di comunicare….Alla fine anche il silenzio parla.

Trasparenze

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Trasparenze tra poesia e prosa – di Rossella Gallori

Caleidoscopio  trasparente

In un mondo incosciente

Io, regina di niente.

Amare,  sì, era il mio scopo

Ma ora, non dopo

Cerco la strada

Per male che vada

Sarà una salita

Comunque è vita.

Sento il freddo tra le mie mani, il bleu pavone, di una notte insonne, si mescola all’azzurro dei giorni migliori.

Son fiori

Dentro, non fuori.

Fiori trasparenti

Per giorni importanti

Una grande luna rosa

Un vestito da sposa

Grosse caramelle tonde come stelle

Mi abituo ai colori

Sfaccettature di cuori

Poi all’ improvviso, non guardo più, questo gioco non è il mio, non mi appartiene.

Io regina incosciente

In un mondo impotente

Inutile caleidoscopio  di niente

Chicche giganti

Pensieri pesanti……….

 

Pietre di luce

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 I GIOIELLI DELLA REGINA – di Simone Bellini

La bottega di mastro Zircone è un antro buio e misterioso. Dopo il cupo corridoio, si apre alla luce con un finestrone che fa brillare le infinite gemme lavorate dalla grande sapienza artigiana del maestro gioielliere.

Il tavolo da lavoro posto davanti alla finestra è di un legno antico, vissuto, piagato dai tanti segni lasciati dai vari attrezzi da lavoro. Su di esso ci sono pezzi grezzi e informi delle preziose gemme, sembrano goccie di mare pietrificato in attesa di assumere una forma perfetta e regale.

Lui è lì, piegato sul suo lavoro, piegato anche nel fisico, ma la passione per quello che crea con tanto amore lo ripaga più della venale preziosità di quelle pietre

Silenzio non sempre

 

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Il silenzio – di Sandra Conticini

Il silenzio mi dà un senso di pace e di tranquillità e, quando sto bene lo cerco, ma quando non sono in armonia con me stessa mi fa sentire sola ed ho quasi paura….così cerco la confusione e la compagnia. Il silenzio fa pensare, ma anche sognare. Quando sei sveglia nel silenzio della notte le cose a cui pensi non sono quelle che vorresti e speri che arrivino presto i rumori del giorno perché ti fanno distrarre e riesci a non pensare….

 

Il silenzio dei bambini

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BAMBINI IN SILENZIO – di Elisabetta Brunelleschi

Claudia, mia figlia, aveva poco più di un anno e già zampettava per la casa.

Fu un attimo, era con me in cucina, mi volto e lei non c’era più. Tutto era silenzio.

Vado subito nel bagno perché appassionata d’acqua com’era, aveva scoperti come azionare i rubinetti e per far scorrere l’acqua.

Non c’era e il silenzio continuava.

La nostra casa non è un castello, con pochi passi ogni stanza può essere controllata, quindi mi volto e sono in camera, giro intorno al letto e la vedo seduta davanti al comodino.

Aveva preso i calzini del babbo e se li era messi sulla testa e intorno al collo a formare una grande parrucca e tante collane

La trovai così che mi guardava con aria trionfante mentre raccoglieva altri calzini.

Non era successo nulla di grave, Claudia giocava.

Ma io quando ci ripenso mi sento dentro un senso di disagio: bastò un attimo e lei, in silenzio, si era allontanata. Le case, a volte, possono essere anche molto pericolose!

 

 

 

Silenzio dentro

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Silenzio – di Roberta Morandi

Silenzio, a volte ci vuole il silenzio fra tante voci per trovare la tua voce, e scopri che tutto è  fatto di silenzio e di rumore, in una altalena perenne. Trovare lo spazio tra silenzio e rumore, impossessarsene e guidare quella altalena secondo il tuo ritmo da` il senso alla vita  che viviamo, giorno dopo giorno, e si comprendono i perché, i come mai, che ci assillano ogni istante sommersi dal rumore altrui e dal nostro…
Non importa fermarsi e mettersi seduti o distesi ad occhi chiusi in un bucolico prato fiorito reale o immaginario, ascoltare musica o indurre pensieri sereni…il silenzio siamo noi, dobbiamo cercarci nel mare di rumore che produciamo vivendo. Ecco…silenzio sono io, ora so.

Quadri bianchi

Sembravano quadri…. – di Rossella Gallori

….cose semplici , senza cornice, troppo bianco, poco nero…non scorgo  altri colori, perché vedo, non guardo.

Mi avvicino, più nero , nel bianco, forse un piccolo punto rosso.

Cerco di toccare, tocco quelle grandi tele, persone, neve, ombrelli chiusi , chi corre , chi cammina ,chi arranca …il piccolo punto rosso, diventa più grande.

Quello che mi sembrava insignificante, quasi brutto, fino a pochi minuti prima, mi appare più vivo. Lentamente, entro nel sogno, cammino nella neve , partecipo ad una processione disordinata,  niente rosari, solo un silenzio ovattato dal bianco, dal freddo dal vagare……

E quel punto rosso diventa un faro, nel mio migrare….ho strani compagni paralleli. Piccoli fantasmi mi fanno compagnia .

…..tele immense, piene di anime, di pensieri, di esseri umani…di cammino…di speranza…

Eppure sembravano semplicemente  ……quadri.

Giorni bianchi

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Sono stati giorni bianchi – di Stefania Bonanni

Sono stati giorni bianchi, quelli appena passati.

Giorni di valigie, e non erano mie le cose che le riempivano. Non erano neanche cose conosciute, non tutte, quelle nelle valigie. Erano cose comprate in un’altra città, alcune in un paese straniero, cose che non ho mai visto indossato. Cose di una vita lontana, altra da noi.

E silenzi. Cosa dire? Qualunque domanda poteva scatenare ansia. Perché raccontarsi l’ansia non la diminuisce, anzi la moltiplica. Rende reali le brutte fantasie, rendersi conto che qualcun altro condivide le tue paure, ha pensato quelle stesse  cose angoscianti.

Allora, meglio stare zitti, camminare in punta di piedi, lasciare che il tempo passi, che venga il giorno della partenza, senza aumentare il carico. Senza fare discorsi di saluto, senza essere patetici. Come stare nella nebbia, cercando di prevenire i colpi che si corre il rischio di picchiare, ma senza fermare il cammino di nessuno.

Non siamo usciti, negli ultimi giorni . Siamo tutti stati sempre in casa, al caldo, vicini, attenti a non fare discorsi dolorosi. Attenti a non dire neanche che sarebbe andato tutto bene, perché anche questo avrebbe significato che c’era la possibilità che potesse andare storto qualcosa.

Zitti, a vedere un Sanremo che non abbiamo seguito. Ognuno perso dietro il bisogno urgente che il tempo passasse veloce, e il desiderio di fermarlo, quel tempo che non è tuo. È solo suo,  é il tempo giovane di una vita solo sua, bello da seguire nei sogni e nel coraggio. Ed ogni volta il viaggio è più complicato, lo scopo mette sempre più alla prova. E si può solo seguire da lontano, sempre più nel cuore. E poi ricominciano le telefonate serali, quelle che non sono interessate al senso delle parole, ma più al tono. Quelle voci che parlano ad altri organi, oltre le orecchie, e che per le mamme parlano sempre di più ed aldilà, con la presunzione che solo la mamma può capire, e che sa se va tutto bene anche solo da quel “ciao”.

E vengono alle labbra preghiere, che ci sia chi le tiene una mano sulla testa. E vengono alla mente pensieri onesti e razionali. Sta andando ad affrontare un progetto che ha cercato e voluto, viaggia in aereo, ha soldi e comodità per affrontare disagi.  Di questi tempi, tutti si sa, sono altri i giovani che fanno viaggi pericolosi. Però restiamo qui, si ricomincia ad aspettare un messaggio, uno squillo, una parola detta con voce sorridente. Siamo qui, in un tempo bianco, attutiti, appuntiti, abbracciati, più vicini che mai.

L’eterno silenzio

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Il silenzio di mia madre – di Ivana Acciaioli

La sua voce è flebile.
Accosto l’orecchio alle sue labbra.
– Ma quanto ci vuole?
-A fare cosa? Non capisco, sta sognando?
Poi le parole si stampano chiare, crude, terribili in quella sua attesa tragicamente cosciente.
Mi sento impotente, non  ho risposta se non le lacrime che scendono in amaro silenzio.
Non lo so mamma.
Quante risposte mi hai dato tu, ma io per te la risposta non ce l’ ho e la temo.
Alla fine me la consegni con  il tuo eterno silenzio.

La ricerca del silenzio

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La ricerca del silenzio – di Ivana Acciaioli

Mi hanno dato il compito di cercare il silenzio.
Il silenzio è come la perfezione, qualcosa di impossibile.
Concentro tutto il mio essere verso il silenzio ma percepisco il soffio leggero del mio respiro ed il rumore involontario e compresso della deglutizione. Il mio corpo non sa stare in silenzio e non voglio, il battito del cuore è incessante e guai se quel rumore cavalcante mi  abbandonasse.
Allora la mia ricerca si rivolge all’esterno ed è ancora più difficile,  ne percepisco più che il desiderio il timore.
Il mio sguardo cade sullo spartito poggiato sul pianoforte, e lì lo vedo, sta fra le note sulle righe del pentagramma, è importante il suo ruolo, senza di lui non c’è musica, ma non è il silenzio che cerco, quello che voglio ascoltare per dire almeno una volta che ho raggiunto l’impossibile, la perfezione, la bellezza assoluta.
Il silenzio interiore , quello dei pensieri, quello proprio non lo cerco.
Quindi mi devo accontentare?
Pochi istanti rarissimi, piccole pause dalla parola, dall’ascolto, dal mondo che circonda, pause di breve durata, piccoli attimi di perfezione e di più non si può.