La nostalgia di Sandra

L’età dell’innocenza – di Sandra Conticini

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Ripenso con nostalgia alla mia infanzia, anche se a volte i ricordi si sono sbiaditi o hanno lasciato qualche segno non troppo bello.

All’età di cinque anni i miei genitori decisero di mandarmi qualche mese all’asilo. Non andavo volentieri perchè ero sempre stata tra le gonne della mamma e della nonna.

Un giorno la suora si dovette assentare lasciando a controllarci una ragazza più grande.

In quel tempo ero buona perchè in quell’ambiente conoscevo poche bambine,  invece, nonostante avessi cercato di farmi le mie ragioni, fui messa in castigo dietro la lavagna perchè parlavo.

Vissi questo episodio come un’ingiustizia e da quel giorno non volli più andare a quell’asilo e tutte le mattine, mentre la mamma mi accompagnava, iniziavo a piangere e le piantavo un sacco di problemi pur di non starci. Alla fine vinsi io e da quel momento ho iniziato ad odiare le suore. I miei genitori, nonostante i loro solleciti, da me non hanno mai saputo niente di questa storia, perchè mi accorsi che a casa vivevo in una bolla, ma fuori era diverso…. ero entrata nel mondo delle ingiustizie.

La mia infanzia è stata un periodo spensierato e  senza vincoli. Il solo pensiero era quello di ritrovarsi con  due o tre bambine vicino a casa a giocare con giochi semplici, spesso inventati da noi. Ci accontentavamo di poco!

Nostalgia per Anna

Nostalgia non è mancanza – di Anna Meli

“La nostalgia non è mancanza. E’ presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti”. (E. De Luca)

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            Ogni tanto la nostalgia si fa sentire nel silenzio, all’improvviso, in modo discreto come se avesse paura di farti male. Ma non è cosi e a volte ti consola e ringrazi di aver trascorso momenti così belli. Stamani il cielo era grigio e cupo. Pioveva a dirotto. Fitti lampi penetravano dalle fessure delle persiane seguiti da forti tuoni e brontolii, come rulli di tamburi di guerra.

            Mi sono chiesta se era proprio necessario alzarmi e, attratta dalle lenzuola ancora calde e accoglienti, ho deciso di rimanere ancora un po’, tanto non dovevo prendermi cura di nessuno e tanto valeva. Così sonnecchiando cullata dal rumore della pioggia, nel dormiveglia ho ricordato una giornata di pioggia vissuta anni fa quando c’eravamo ancora tutti, anziani, giovani e ragazzi.

            Si vendemmiava in quel piccolo appezzamento di terra tutto in salita. Ognuno il suo pezzo di filare, il suo paniere e robuste forbici. Le nostre voci si intrecciavano fra scherzi e commenti; le nostre mani appiccicose sembravano godere di una libertà insolita.

            La giornata sembrava promettere bene finché una gazza dispettosa non venne a disturbare il nostro lavoro “ Vai, disse mio fratello questa porta iella!”  Cercammo di allontanarla, ma lei non se ne voleva proprio andare: saltava sulle spalle ora dell’uno ora dell’altro, si posava sui cesti colmi sciupandone i grappoli, insomma per quanto facessimo urlacci e gesti ostili, non c’era niente da fare.

            Intanto in lontananza erano apparse alcune nuvole che andavano man mano infittendosi e, in men che non si dica, fulmini e lampi riempirono il cielo costringendoci a correre verso casa lasciando uve e cesti. Eravamo bagnati, ma al sicuro, quasi felici per quella improvvisa tempesta che ci aveva costretti in uno spazio limitato per farci godere  di un’ intimità semplice e vera.

            E arrivò anche la gazza che ci aveva seguito e, appesa alla maniglia della porta-finestra, beccava e ribeccava il vetro mescolando il rumore del becco col ticchettio della pioggia.

           Un tuono secco ed improvviso mi fa sobbalzare e ritornare alla realtà. Un sipario cade su questi bei ricordi.

              Sento un brivido e mi abbraccio…mi invade una sottile nostalgia, ma non è mancanza.

Nostalgia per Rossella

Mettersi in viaggio – di Rossella Gallori

Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcuno…(S. Tamaro)

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o di qualcosa che sia stato vero o immaginato, vissuto o sognato, di un profumo intenso, di un abbraccio delicato, di un amore, di una amicizia, una miscela che amalgama: sentimento, poesia, fantasia.

Ti devo raggiungere

Voglio trovare qualcosa di elegante e leggero per il viaggio, cercherò una valigia  non pesante, giusta per le braccia di oggi, il cuore si sa regge ogni peso.

Ti devo raggiungere, ci provo.

Ti avevo conosciuto in un tempo di ieri/ieri, un incontro improvviso, un po’ letale ed anche un po’ scemo. I nostri sguardi si erano incrociati sopra una tazzina di caffè, occhi persi tra brioches calde. Ci presentammo un po’ all’ antica tu capisti: Rosella, ma  avevo la bocca piena, io Lino, ma tu ti stavi accendendo una sigaretta.

Nessun tavolo libero, quindi ci appollaiammo su alti sgabelli, per te fu comodo, per me un’ardua impresa.

Notai tutto di te:  gli addominali naturali, la pelle ambrata ed il colore dei tuoi occhi, color Salento, quanto ridesti su quel mio colore inventato. Le risate furono il sale dei nostri incontri, il tuo non parlar fiorentino, a tratti troppo stretto, spesso troppo aperto, mi ammorbidiva l’anima. Diventò consuetudine.

Ti devo raggiungere

Non fissavamo, ci incontravano e basta, con le tue foto sempre più belle, sulle quali scrivevo frasi, che solo tu trovavi fantastiche.

Una volta mi hai presa per mano per farmi superare un ostacolo fangoso al nostro parco, un po’ mi sono illusa sostenuta da mani  curate…di marmo morbido.

Ricordo quando sono salita nella tua mansarda, ho finto di non avere il fiatone, ma credevo di aver scalato il K2, tutto più semplice a casa mia: meringhe, cioccolato bollente e solo 4 gradini.

Cercherò di raggiungerti

…e quando ci siam bagnati come pulcini? Rimanendo a leggere sulla panchina, io Szimboska per te, tu Prevert per me,  poesia e rischio polmonite.

Poi sei partito, mi hai avvertito di notte, mi hai chiamata Rossella con due ESSE  io, con il tuo nome vero che sapevo bene non era Lino.

Ti vorrei raggiungere

 Ma non posso non lo so fare, non ho valige giuste, né soldi miei, poco fiato, troppi anni che poi sono il doppio o quasi, dei tuoi.

Ma ho veramente nostalgia di te? O del caffè, o delle ore senza peso, o delle zampe del tuo cane sulle mie gambe? Nostalgia delle parole belle buone da leccare come zucchero filato, di giorni con il sole giusto, senza orari, di” colore umano” , di una me che era fuggita per l’ ennesima volta a pochi metri da casa………

La Nostalgia per Lucia

Non volevo partire – di Lucia Bettoni

S. Tamaro – Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcuno

disegno e foto di Lucia Bettoni

Non volevo partire, non volevo
Non potevo pensare ad un viaggio così lungo
Avevo paura
A volte mi svegliavo la notte e sentivo uno strano brivido
Partire, non partire, andare, non andare
Non avevo scelta
Dovevo farlo
Non potevo non andare da lui

Vivo ogni giorno il dolore del “lontano”
Vivo ogni giorno una sottile nostalgia fatta di piccole gocce d’amore e dolore

Non è facile partire per un lungo viaggio se nella vita hai vissuto un episodio improvviso che ti ha portato vicino alla morte
Spesso la paura altrettanto improvvisamente può presentarsi e toglierti il respiro
Poi un pensiero : ma se quello che trovo non mi piace?
Come posso ripartire e lasciare lì la persona che amo di più?
A volte non conoscere salva dal dolore

Non potevo non andare
Non potevo non partire
Sono partita

Un viaggio lunghissimo dove ho vissuto un tempo lungo una vita

Mio figlio in un altro continente

Negli anni ho percorso con lui mille strade e mille luoghi, con lui ho girato e sto girando il mondo a volte senza sapere nemmeno dove mi trovo

 Giro il mondo con il cuore, ovunque sono con lui , non lo lascio mai

Questa volta il viaggio mi ha portata da lui anche con il corpo
Nairobi, un altro mondo

Chissà se lui capirà il coraggio che ho dovuto raccogliere dentro
Ringrazio la vita perché il coraggio è stato più forte della paura

Ho visto lui
L’ho visto come se lo vedessi per la prima volta tutto intero
Lui, mio figlio, meraviglioso uomo diverso da me, separato da me, concepito da me
Lui con la sua vita
Lui muoversi fluido nel diverso senza preconcetti e limiti
Lui ha lasciato tutto
Lui ha potuto lasciare tutto per camminare da solo

Ho toccato con mano tutta la fatica e la bellezza del suo percorso
Ho sentito quanto grande può essere l’amore per andare e per lasciare andare

Bisogna avere il cuore pieno d’immenso amore per partire
Lo stesso amore di cui hai bisogno per lasciare andare

Nostalgia per Luca

Un vago sentore di assenza – di Luca Miraglia

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“La nostalgia è il desiderio di non si sa cosa” (Antoine de Saint-Exupéry)

Un vago sentore di assenza.

A volte di persone, a volte di luoghi, più probabilmente di qualcosa di me che poteva essere e non è stato. Senza alcun rimpianto, ma con la chiara sensazione che ciò che ho inevitabilmente lasciato, non scelto nella vita, è stato anche una potenziale parte di me.

Il viaggiare, che più passa il tempo più mi identifica, lascia dietro di sé sensazioni neonate che non prenderanno mai forma ma che imprimono comunque traccia nell’intima memoria di ciascuno.

Una scintilla vagante a volte le può riaccendere non tanto per farle maturare (ogni cosa a suo tempo) quanto per ricordarmi che si può “essere”, si può “fare” senza abbandonarsi al dondolio gentile, suadente anche, della culla delle certezze.

Incontro del 13 marzo 2025 – NOSTALGIA

foto di Lucia Bettoni, Rossella Gallori e Cecilia Trinci

frasi:

  1. A. De Saint’Exupéry – La Nostalgia è il desiderio di non si sa cosa.
  2. E. De Luca – La nostalgia non è mancanza. E’ presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti.
  3. A. Baricco – E’ uno strano dolore: morire di nostalgia per qualcosa che non sarà mai.
  4. F. Pessoa – Non c’è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state
  5. S. Tamaro – Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcuno
  6. G. Caproni – Tutti riceviamo un dono./ Poi non ricordiamo più/ né da chi, né che sia. /Soltanto ne conserviamo – pungente e senza condono -/ la spina della nostalgia

Voci per Patrizia

Verde – di Patrizia Fusi

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Voci calme vicine, vicine,voci basse come per non disturbare il destino voci piene di speranza,ma anche di tanta incertezza e tanta paura,voci di colore verde come la speranza.

In lontananza una striscia di terra,tutte le voci si rianimano riprendono fiato ,sui visi appaiono dei sorrisi,le voci cambiano tono sono più serene e vivaci,tutti felici, il colore delle voci diventa rosa.

Un grande colpo,tutto trema,voci di paura, terrore, voci che cercano, chiamano di mamme,di bambini,di parenti,di amici,di esseri umani abbandonati a se stessi,nel bui nell’acqua fredda in un mare in tempesta,voci che non chiamano più che si sono spente in un cimitero liquido,la colpa di quelle voci e quelle di essere nate in un altro posto.

Voci di chi ha bisogno di un nemico per vivere,per scaricargli a dosso tutte le colpe

Voci false e ipocrite di chi si dispiace e non fa niente perché questo non accada.

Voci dei nostri egoismi,che abbiamo paura di perdere i nostri privilegi o diritti.

Voce estiva per Gabriella

Le cicale – di Gabriella Crisafulli

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Il sole di mezza estata picchiava implacabile

L’aria era ferma e sembrava che gli umani fossero scomparsi rintanati com’erano per difendersi dalla calura.

Una fila interminabile di auto si allungava dietro alla sbarra: il parcheggio era completo e l’accesso al mare veniva contingentato.

La gente in attesa boccheggiava lì intorno, all’ombra dei grandi pini, in attesa di qualche veicolo in uscita.

Al di là del blocco iniziava un eden fatto di grandi ombre lungo il percorso, di aria rarefatta, di timidi cigolii di pale a vento e della frescura che si generava andando in bicicletta quando il sudore ghiaccia sulla pelle.

Su tutto dominava incontrastato il frinire delle cicale che vivevano il sole e si facevano canto.

Un canto ipnotico che riempiva l’aria del suo ritmo ripetitivo, un tappeto sonoro penetrante, sospeso nell’aria come un mantra benefico.

Al suo interno la pace mentale.

La gioia di vivere.

Il respiro cosmico.

Voce di Giulia per Rossella G.

Voce di Giulia – di Rossella Gallori

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…in pochi la chiamavano Giulia,  per i più era Giuliana, per altri… la signora…

Fino ai miei dieci anni l’ho ascoltata poco, direi quasi per niente, poi me la sono ritrovata in casa dove era da sempre, elegante  con quasi nulla, sorridente e rossettosa, nonostante tutto e tutti.

Un modo di parlare mai becero, simpatico, battute da “Lihorno del ghetto” imparato in tempi lontani, per me sconosciuti.

Voce di caffè: che tutto,   per lei, sembrava risolvere.

Voce di 4711:   che : se ho i soldi me la compro

Voce di: a tavolaaaaaae se non basta si tira.

Voce di: tacchi finchè posso li porto.

Voce di: vai dove vuoi , con chi vuoi, torna quando ti pare, tanto il babbo ti protegge……e non sempre  è stato così!

Voce di mughetti, di calze chiare,  di vestiti bianchi e neri…al massimo blu e bianchi…di panna, di pianoforte, di canzoni….di ricchezza e povertà, di tristezza ed allegria di Serena follia, anche quando diceva che sua madre gli aveva fatto un dispetto e  lei non l’ aveva perdonata….Voce di monologo,  che non ammetteva domande.

Una voce che mi ha chiesto poco, fino a che a potuto.

Voce che ha saputo mettere toppe robuste, su strappi irreparabili.

Ha urlato piano  nei suoi 40 anni sola con tre figli vivi.

Poi  è venuta una notte che era quasi l’ alba, arrivò a casa mia, ecco si gridava, lo ricordo bene, pioveva, tuonava i lampi illuminavano le sue urla: dobbiamo scappare…..bombardano…nascondi la bambina…scappiamo.

Da quella notte non ha parlato più, ed io ho cominciato ad ascoltare  la sua voce, a capirla, a fare miei i suoi drammi, le sue paure,  non ho mai avuto il suo coraggio, la sua forza, la sua ironia, il suo modo di porgersi da signora, ma ho capito cosa voleva dire….un anno e se ne andata per sempre o per mai. Perché in ogni momento la sento…e

Voce di Bagitto,

Voce di  ce la faremo.

Voce di persecuzione

Voce di bandiere rosse….di mughetti bianchi…di caffè, di 4711…

Voci antiche di Patrizia

Voci di un tempo passato – di Patrizia Fusi

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Un richiamo per la vendita delle alborelle pescate in Arno, tenute in due zucche attaccate al manubrio della bicicletta. Voce forte  di colore grigio scuro argentato come il colore dei piccoli pesci.

In estate un furgoncino con dentro delle stecche di giaccio avvolte in  teli di iuta,  un richiamo  invitante. Con i secchi si andava a comprare il ghiaccio, serviva a rinfrescare l’acqua, il vino e una prelibatezza per noi bambini l’aranciata fatta con le prese dell’Idrolitina, vivace di colore arancione.

 Gelati, granite, ghiaccioli!!!! Voce allegra di colore bianco che piaceva a noi bambini, quando nei pomeriggi estivi passava il carrettino del gelataio.

Grembiulini ,grembiulini, grembiulini!!! ,richiamo continuo, quando si avvicinava alle case,  a piedi: era un uomo di mezza età di statura bassa e di corporatura tarchiata, era il merciaio che aveva un po’ di tutto e che portava in un grosso fagotto sulle spalle, quando si fermava lo apriva diventava il suo negozio, voce pacata di colore nocciola.

Voce squillante di colore argento, prometteva lavori fatti perfetti: Arrotino, arrotino, arrotino, forbici, forbicine, coltelli di tutti tipi, utensili da taglio, riparazioni ombrelli, venite, venite, donne prezzi buoni.

Voce metallica incolore e anonima , macchina con l’altoparlante posizionato sopra, che  faceva propaganda politica e avvertiva delle varie iniziative.

Voci di un tempo passato

Voci per Daniele

Una voce, tante voci – di Daniele Violi

Una voce. Gemiti e voci prolungate, forse per un mondo nuovo che agli occhi appare. Inizia cosi la poesia della voce che ci porta, fin dalla nascita a far sapere della nostra presenza. Una voce mi parla, mi vuole accompagnare, giorno dopo giorno per aiutarmi o meno sul mio cammino, fatto di relazioni o di immagini e scelte. Una voce, un suono variato che piano piano ho apprezzato perché ho potuto in confidenza conviverci e che riconosco ma ultimamente confondo con la voce registrata di altre persone che conosco. Questa voce ha sempre condizionato le mie espressioni. 

Questa voce riesce a farmi giocare. Posso e ho potuto esprimere la gioia e il piacere con essa seguendo la musica de ” la gazza ladra”. Ascolto anche comunque un’altra voce, che si appalesa spesso vicino. Una voce che in silenzio si esprime, mi occupa pensieri, ragionamenti e mentre parlo tenta di aiutarmi a trovare vocali e vocaboli che talvolta sono racchiusi nelle pieghe delle mie fibre cerebrali. Sono contento di conoscere questa voce; la mattina sento che canta un mantra, parole  qualsiasi che si anagrammano e si scambiano lettere e vocaboli per una cantilena che si trasforma  in piccole litanie e che mi fanno scoppiare dal ridere. Queste voci che mi seguono spesso e non mi abbandonano mai, sono le mie.

Voci di Tina

Voce, vocina – di Tina Conti

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Le voci intorno  risuonano e si  fanno sentire con fruscii e svolazzi, a volte pungenti e urgenti, spesso con  sussurri  dolci indice di  bisogni reali o immaginati, bello ascoltarle, andare incontro con leggerezza e sorriso.

Ottenere un bacio e una carezza di gratitudine, richiami, ai quali difficilmente si può’ non rispondere.

Come è penoso concentrarsi sui turbinii che passano vicini.

Però, arriva il tempo di ascoltare, ascoltarsi, le stagioni corrono ,si fanno lunghe riflessioni sfogliando i giorni e gli anni.

Quella vocina poco ascoltata, si è fatta più corposa, sa farti vedere il mondo e la vita.

Si è accoglienti e tolleranti, si capiscono i tempi e le situazioni. Si perdona il passato.

Tutto  ti ha costruita, formata, sei grata a quello che sei diventata.

La vocina però, è riuscita a darti uno scossone.

Ascoltami, fermati, girati indietro, aspetta i miei passi.

Allora nel tempo del girovagare fra i campi, nell’ascoltare la folla delle voci degli uccelli in primavera, le voci del cielo che restano immutabili e del vento che strappa i rami e avvolge le foglie, provi a sentirla.

Si si lo so, ci sei. poi, il cuore ti porta lontano, scorri le immagini del giorno e ti ritrovi col cuore in attesa rivolto al mondo.

Con uno scossone però, una voce forte  ti circonda, si ,ti sento rimbombare, ti ascolterò.

La voce in casa di Anna

VOCE NEL SILENZIO – di Anna Meli

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           E il tempo scorre lento e continuo nel silenzio di casa mia. Tanti spazi vuoti, tanto silenzio da ascoltare e in tutto questo i ricordi si fanno avanti. Sento rumori di piatti in cucina, lo scorrere dell’acqua e la voce di mia madre che canta. E’ confortante e mi dà sicurezza.

          Alla mia mamma piaceva molto cantare; in tardissima età ormai ultranovantenne continuava a cantare stornelli, storielline piccanti dei suoi tempi, qualche pezzo della Pia de’ Tolomei e tutto quello che al momento ricordava. Non aveva importanza se la sua voce non era  più quella di una volta. C’erano in essa toni più lenti che terminavano spesso con un sospiro per poi riprendere, dopo una breve pausa, con un’altra storiella o un’altra canzone.

          Spesso mi sedevo sul divano vicino a lei e le accarezzavo il viso, mentre mi raccontava la sua storia di bambina sfortunata alla quale era mancata la mamma all’età di soli tre anni. La “ spagnola” se l’era portata via quando il suo babbo era in guerra . Una zia si era presa cura di lei e della sorellina di poco più grande.

          Quando raccontava mostrava tutta la sua fragilità, la sua voce diventava tremula, sembrava far fatica a venir fuori. Poi lei si calmava, sonnecchiava un po’. Io mi alzavo per fare altre cose in cucina, ma di lì a poco sentivo: “Mamma, solo per te la mia canzone vola….. “Segno che la sua mente, nonostante l’età, era sempre viva e presente. Se ne è andata molto vecchia e improvvisamente; tutt’ora mi mancano le sue storie, i suoi racconti, le sue canzoni, la sua voce e il suo modo semplice di vivere.

Ricordare dopo aver letto racconti per Patrizia

Giochi – di Patrizia Fusi

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Nel lungo caseggiato che sembra sia stato un convento ci sono delle decorazioni  in pietra serena di forma uguale nelle due porte d’ ingresso, all’inizio e al termine dell’edificio; su una di essa una piccola nicchia con una immagine della madonna. Nel tempo questo edificio era stato suddiviso in diciassette appartamenti.

Nelle famiglie che li abitavano c’erano ventidue ragazzi di varie età, ci dividevamo: i grandi non  volevano con loro i più piccoli.

Dopo la scuola  trascorrevamo le giornate sulla  strada lungo il caseggiato dove giocavamo.

 Le donne facevano alcuni lavori sedute fuori delle loro abitazioni, noi curiosi ascoltavamo i loro discorsi specialmente quando dicevano (attenti ci sono i tetti bassi)   di quello che avevamo sentito ci facevamo le nostre opinioni su come nascevano i bambini e sulle mestruazioni.

Erano pomeriggi sereni, e nell’estate si prolungavano anche dopo cena sotto la luce dell’unico lampione situato all’angolo dell’edificio.

I giochi nostri erano il salto con la corda, da soli, in tre, in quattro , mentre saltavamo ci accompagnavamo con delle canzoncine, quando non avevamo la corda vera prendevamo  dalla siepe un tralcio di vitalba e saltavamo con quella ma era meno divertente perché ci poteva saltare solo un bambino per volta.

A nascondino: si sceglieva dove contare, si contava fino a un certo numero e si diceva (ane ane chi c’è sotto ci rimane) se qualcuno non si era nascosto toccava a lui contare, non succedeva mai che noi non ci fossimo nascosti, iniziava la ricerca e appena si vedeva il bambino nascosto si pronunciava il suo nome e correvamo alla porta per fare bomba, se arrivava prima lui si salvava, l’ultimo bambino nascosto se riusciva a non farsi trovare poteva fere (bomba libera tutti) e rimaneva a fare la conto il solito bambino.

Acchiappino: non ricordo molto di questo gioco ricordo che si doveva rimanere in un perimetro e dovevamo correre per non farci prendere

Il gioco della campana disegnata in terra, si doveva tirare una pietra e saltare nel riquadro  senza pestare la riga e recuperare il sasso .

La pista modellata con la terra della strada, dove i tappi delle bibite recuperati al bar della casa del popolo diventavano corridori, a noi femmine ci facevano giocare raramente.

Il gioco dell’anello: ci mettevamo in fila con le mani giunte ,un bambino dicendo una filastrocca consegnava l’anello senza farsi vedere dagli altri. Uno di loro doveva poi indovinare chi aveva ricevuto l’anello.

Il gioco (pisto e pistugno di maggio e di giugno la bella luminara sale la scala sale la scala e lo scalone la penna del piccione sei tu bella tira su questa cianteralla) quando con la filastrocca venivano toccate le due gambe venivamo eliminati, vinceva chi rimaneva ultimo

Il gioco individuale con la palla facendola battere contro il muro sempre con filastrocca (pallina dorata).

In un periodo ci capitò anche il cerchio di plastica dell’ ulaop ma con poco successo.

Il gioco ai quattro cantoni: un bambino rimaneva fuori , quando questo indicava un compagno, lui si doveva spostare correndo per non perder il posto.

Il gioco dello sculaccione: ci prendevamo per mano e formavamo un cerchio, un bambino rimaneva fuori e girava all’esterno, dava poi uno sculaccione a uno del cerchio e a chi era toccato doveva correre nel senso opposto all’altro bambino e cercare di tornare al suo posto prima dell’altro. Anche il gioco dell’uovo marcio aveva lo stesso meccanismo solo ad un momento del gioco dovevamo metterci a coccoloni e  quello esterno lasciava un fazzoletto e si ripeteva la corsa per il posto.

Il gioco del girotondo il più classico (giro giro tondo casca il mondo casca la terra tutti giù per terra)

I giocare, con l’immaginazione diventavamo quello che ci affascinava di più  e potevamo condividerlo con i compagni .

In primavera quando le vitalbe erano fiorite io e altre due amiche andavamo nel viottolone, ci  addobbavamo con questi tralci con i fiori bianchi e fantasticavamo di essere delle spose, la fantasia ci faceva volare

Le belle scampagnate alla ricerca dei fiori, per regalare alle nostre maestre .

Non so se ho descritto bene i giochi, la memoria un po’ mi tradisce.

Dalla lettura il pensiero di Luca M.

In viaggio – di Luca Miraglia

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Dal testo di Stefania:

“A metà strada tra la terra e il cielo, o forse molto meno, solo un po’ sollevata, quanto basta per essere altro, né questo né quello”

Dopo un lunghissimo viaggio in treno (arrivavo dalla Sicilia) è apparsa tra filari infreddoliti e chiazze di neve mista a fango la rocca di San Marino, appollaiata sul monte Titano.

Laggiù il mare, lassù il borgo dominato dalla torre del palazzo del Governo.

Era la fine degli anni sessanta, e tuttavia la sensazione era quella di trovarsi a poggiare i passi in un mondo altro: se non fosse stato per le poche auto parcheggiate fuori le mura o per le “comodità” dell’albergo, si sarebbe ben potuto pensare e dire di trovarsi in una saga medievale.

Dalla lettura di Patrizia il racconto di Daniele

Classi sociali e umanità – di Daniele Violi

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Dal racconto di Patrizia….per ringraziare la popolazione del paese che non aveva fatto la spia, la fattoria donò olio e vino a ogni famiglia e terreno per l’orto.

Un messaggio di grande attenzione e di stima per le persone che con il loro impegno contribuivano a dare benefici sociali ed economici ad una attività agricola che al tempo ancora poteva rientrare tra le attività produttive principali e che poi in grossa percentuale con l’indotto e l’artigianatoha contribuito a risollevare il territorio da un periodo tragico, dove la distruzione della guerra, aveva coinvolto tutto quanto. 

Le comunità che si ergevano intorno ad una attività agricola principale, motore dell’economia, rappresentavano talvolta un esempio anche di una rete sociale e solidale, che fruiva dei benefici in un territorio ricco di risorse naturali. Nel racconto si parla di un grande esempio di vicinanza e di eleganza valoriale verso la dignità e la storia di una comunità composta da donne e uomini e non visti soltanto come subalterni o servitori, come concepivano le regole secolari imposte dal latifondismo. Una realtà di decine e centinaia di persone impiegate fino allo sfinimento nel condurre 20, 30 poderi come si strutturavano i territori agricoli con le fattorie, centri nevralgici della vita delle attività agricole. Queste realtà erano disseminate capillarmente fino all’inizio del boom economico che ha poi cambiato lentamente il volto di campagne e città. La Grande attenzione di persone agiate ai bisogni di nuclei familiari poveri riconoscendo loro l’enorme valore del comportamento tenuto per aver dato il contribuito alla giusta causa di salvare una vita umana. Un esempio e se ne conteranno fortunatamente, per la loro umanità che ha reso possibile la convivenza tra strati sociali diversi o classi che poi successivamente hanno fatto parte di una società tutta da ricostruire.

Voce in barattolo di Simone

Voce in barattolo – di Simone Bellini

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 Con un colpo di tosse si schiarì la voce ed iniziò con vocali e consonanti sparati con volume alto e tono secco, proseguendo con modulazioni a diminuire d’intensità e risalire di diaframma, poi di gola, infine di testa, ripetendo il tutto più volte.

Quindi passò alla Erre, da arrotare con altre consonanti ( brr-trr-drr ecc.) per poi leggere ad alta voce un libro con una matita messa per orizzontale tra i denti cercando di scandire bene le lettere.

Ora doveva allenarsi con gli scioglilingua tipo;

– Una rara rana nera sulla rena errò una sera

– Eva dava l’uva ad Ava, Ava dava le uova ad Eva, ora Eva è priva d’uva mentre Ava è priva d’uova

– Li vuoi quei kiwi? E se non vuoi quei kiwi che kiwi vuoi ?

Un po’ di gargarismi tibetani ( ngoo, ngaa, nguu ) e respiri profondi per concentrarsi.

– “ Siamo pronti ?”

-“ Si pronti !”

– “Mi raccomando intensità di emozioni ! Bene, prova di doppiaggio numero uno, VAI ! “

Rossella G. legge Gabriella e ….si va in scena!

“G.C”  SI VA IN SCENA – di Rossella Gallori

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…LE TENDE pesanti di velluto bordeaux si aprono lentamente, ad ogni piccolo strappo di corda ondeggia la ricca frangia pesante. Sussulta…trema.

Ai lati preziosi embrasse, pendono inerti su ganci bruniti .

Personaggi: una mamma bellissima, eterea e pesante

                     Una divisa con dentro un uomo, un padre

                     Una bimba che finge di non saper piangere

                     In sala odore di zolfo

                     Costumi: Como seta/ style

Personaggi minori: un minatore siculo/ toscano

La scena: sulla pedana destra uno specchio gigante, forse mal posizionato riflette il nulla, forse lo confonde.

Sulla quinta di sinistra una gigantografia del vecchio Monti (a Como con la O stretta) datata 1950…piazza Cavour

Il fatto: un racconto lunghissimo, double face, dove i personaggi si rincorrono, sembra che non si incontrino mai, uniti e separati dal proprio ego….nemmeno quando si sfiora la tragedia e qualcuno cade in acqua, per colpa di cane scemo in cerca di coscette morbide.

Una donna bellissima finge vita, seminando polvere, granelli dorati,  fastidiosi.

C’è un padre importante, in divisa sempre, anche quando non ce l’ ha.

Aleggia una brutta imitazione del toscano “ notaro” forse senza sapere che usare un latinismo, non è satira, ma cultura.

Attori speciali, tutti, da Oscar, l’ hanno vinto, per la serie: Sospetto e Mistero.

Sentore di bizzarro in giuria.

Note: tra il pubblico, in prima fila, una bimba bellissima, dagli occhi color  “noce di Sorrento”. Immensi, aperti a volte spalancati ed increduli, spesso “ chiusi per non sentire”. Ha lunghi capelli color miele di castagno, ben vestita, a sguardi attenti sembra indossare però,  una elegante divisa….asciuga lacrime asciutte, con il suo prezioso fazzolettini di lino impalpabile, le iniziali: G e C  si intreccia con altre lacrime  vere bagnate e nascoste.

Accanto a lei : Pina, Gigliola, Romilda e tante altre, donne sane, protettive, compagne semplici di vita  nuova,  dove  respirare era obbligo, vivere…pure.

Sottotitolo in platea: Semplicità

Alla fine dello spettacolo , un ricco buffet, cibo ottimo, forse il bere è un po’ amaro, elegante, sempre e comunque .

Qualche generale di corpo d’ armata ringrazia sorridendo, il regista per i biglietti omaggio ricevuti…spesso la vita è gratis.

…..Dalla Sicilia, meravigliosi ed immensi cannoli si presentarono alla biglietteria……….profumo di ricotta e cedro candito, piccole briciole di cioccolato e pistacchio di Bronte tracciarono un piccolo sentiero…….

Leggere un racconto per nuove ispirazioni (con Rossella B.)

Leggendo Stefania – di Rossella Bonechi

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Due sono le frasi del racconto che hanno suscitato in me emozioni e riflessioni conseguenti. 

La prima è “DOVEVANO FARSI SENTIRE, AVEVANO TIMORE NON CI FOSSE ALTRO MEZZO, FORSE. COME CON LE GONNE CORTE, PER FARSI CORAGGIO.”

Mi fa pensare che davvero i ragazzi hanno il timore di non essere presi in considerazione, di essere troppo al lato degli adulti, in pratica di contare poco e allora fanno rumore con i motorini truccati o con le minigonne, come a dire ” eccoci, ci siamo, guardateci mentre anche noi prendiamo possesso del tempo e dello spazio”. i ragazzi e le ragazze hanno fatto rumore anche con la musica sparata a palla, con i balli sfrenati, con gli slogan urlati nei megafoni e quella che veniva liquidata come fastidiosa ribellione forse era solo voglia di dire ECCOCI. lo fanno ancora? La musica se la sentono in cuffia, non si chiamano più da muretto a muretto ma usano il tam tam dei loro cellulari, però si scrivono frasi e disegni sul corpo, i capelli non più lunghi sono multicolor e si mobilitano in piazze social. sì, sì i ragazzi e le ragazze gridano ancora e a gran voce anche;  è lo spazio che gli si è ristretto intorno e i sordi la fanno da padrone.

La seconda frase è “ERA COSÌ BELLO QUEL CALDO, COSÌ PREZIOSO PERDERE TEMPO, CHE DAVA LA CERTEZZA SAREBBE STATO PER SEMPRE” Tutti noi, a pensarci bene, abbiamo un’isola dentro dove si raccolgono in piazza tutti i MOMENTI PER SEMPRE,  che guarda caso erano i più belli, i più esaltanti. Niente è per sempre, lo sappiamo bene, ma se ogni tanto si può trascorrere un po’ di tempo in vacanza su quell’Isola, sul muretto all’ombra di “stitici” cipressi, ci avviciniamo molto al per sempre