Il ricordo di Carla: Il tram

Il tram a Vienna – di Carla Faggi

Avevo voglia di sposare Marco, chissà perché!

Lui era poco convinto. Anche qui mi chiedo chissà perché!

Ma ce l’ho fatta, l’ho sposato!

Il cosiddetto viaggio di nozze l’abbiamo però rimandato, mia madre non stava molto bene in quel periodo. Poi fu rimandato di nuovo, il nostro cane aveva dei problemi di salute.

Quando poi abbiamo potuto fare il nostro primo viaggio insieme era inverno inoltrato ed io che non amo il freddo mi sono ritrovata in pieno febbraio a Vienna sotto la neve.

Ma eravamo io, lui e Vienna, quarantenni e innamorati.

I ricordi sono tanti, naturalmente belli e languidi come si deve alle circostanze.

Ma le foto di Cecilia mi hanno ricordato come amavamo andare in tram a Vienna.

Potevamo vedere tutta la città comodamente seduti, osservare i comportamenti delle persone nella loro spontanea quotidianità. Perché nel tram non ci sono atteggiamenti costruiti, passerelle o finzioni, chi sale non è lì per mostrarsi, per sedurre o minacciare, è lì di passaggio, è riconoscibile e vuole starci il meno possibile.

Quindi noi ci godevamo la città ed i suoi abitanti. Seguivamo una linea fino alla periferia, incuriositi, perché era la periferia che ci raccontava davvero la città.

Naturalmente abbiamo fatto anche la Vienna classica, le visite ed i Musei da turisti.

Ma le foto di Cecilia non mi hanno fatto ricordare le cose più belle di quel nostro primo viaggio, ma la prima cosa banale ma stimolante che abbiamo condiviso insieme in quella nostra prima avventura.

Il ricordo di Daniele: Il treno

Il treno verso sud – di Daniele Violi

Il Treno che ricordo, lo potevo tenere parcheggiato sui binari sotto il mio letto.

Un trenino elettrico con binari, modellino Lima o Rivarossi, non ricordo. Un trenino  che costruivo con piacere, che la Befana dei Ferrovieri, ci regalava per il 6 Gennaio. Sono gli anni 1965 – 68. Essendo una nidiata di fratelli ci capitava di avere negli anni, un intero parco ferroviario, con il quale potevamo giocare con grande piacere a far funzionare questo piccolo mondo di tecnica.Tutto sotto le raccomandazioni di Mia Madre, per suddividerci i ruoli e Lei stessa a fungere da Capostazione, con paletta improvvisata a seconda di quale treno arrivava o di quale treno partiva…..sui binari che realizzavamo come tragitto. Merito tutto di una certa abbondanza di pezzi di materiale da comporre come i binari diritti i binari in curva e anche le locomotive e i vagoni. Una grande emozione per gli anni che avevo, organizzare anche con i miei due fratelli più piccoli, lo spettacolo di andirivieni, di un piccolo mondo di tecnica e gioco, forse uno dei pochi, che potevamo permetterci.

Mi ricordo delle scatole di cartone delle scarpe che utilizzavo per creare e modellare gallerie e ponti, con sotto lo sfrecciare dei trenini, che alle curve costruite troppo azzardate, uscivano dai binari e facevamo a gara per intervenire a risistemarli in asse e farli ripartire. Toccare questi modellini in scala, immaginare di essere viaggiatori all’interno, essere artefici di una visione di un aspetto della realtà che potevamo creare con la nostra manualità alle prime armi, senza dubbio era molto attraente e coinvolgeva sia io che i miei fratelli, tanto, anche troppo, visto che spesso doveva intervenire la…..Capostazione. Comunque anche nella realtà poi avevo il contatto con il treno, quello vero. Nelle vacanze, quando partivamo, tutta la famiglia, dalla stazione di Firenze S.M.N. ,con la Freccia del Sud, un lungo treno che partiva da Milano direzione Sicilia, un treno con tante fermate, che ci portava in Calabria dai Nonni, dai Parenti. Dal binario 15 ogni sera alle 20:30, sostavano 3 vagoni con locomotore pronto, che si agganciavano in coda al treno presso altro binario per ripartire alla volta di Roma.

Talvolta vi era quasi un assalto al treno. Io ero addetto a salire per primo sul treno con mio Babbo ferroviere e riuscire a occupare non un solo posto ma un intero scompartimento con qualche bagaglio, poi dal finestrino ci passavano borse e piccole valigie.

L’intera famiglia in truppa arrivava. Eravamo 7 occupanti e questo ci permetteva di poter disporre di un intero scompartimento. Allora sì, finalmente entravo dentro un vagone passeggieri del trenino che tenevo parcheggiato sui binari sotto il letto; ganzo, ghivido. Avrei potuto essere in seguito un ferroviere anche io; i miei desideri hanno rivolto lo sguardo verso quanto di bello vedevo appunto, durante i viaggi. Ho preferito la Natura che ci circonda con le Piante e tutti gli esseri viventi, che già sentivo di difendere; hanno fatto colpo sul piccolo viaggiatore che in treno attraversava verso il sud lo stivale di Bellezza, allora contaminata solo da un gioiello di tecnica e di poesia come il Treno. 

Il ricordo di Luca M.: La bicicletta

Sorpresa di compleanno – di Luca Miraglia

Sono nato nel mese di luglio alla fine degli anni ’50, nato insieme al boom economico in famiglia lanciata nel marasma della rincorsa al benessere. Quindi d’obbligo la vacanza estiva al mare e di conseguenza mai una festa di compleanno degna di tal nome, almeno per il me bambino.

Correva l’anno ’64 o ’65. Primi di luglio: armi e bagagli tutti al mare.

In realtà non tutti: il babbo solo nei fine settimana ma io sapevo che per il mio compleanno ci sarebbe stato, e questa era già una festa dato che viaggiava sempre per lavoro.

Giorni classici della vita al mare di un bimbo di 5/6 anni: ombrellone, maglietta per non scottarsi, paletta secchiello, formine, biglie di plastica con le foto dei ciclisti, tutto per far passare le fatidiche tre ore prima del possibile bagno, poi ancora giochi in spiaggia lasciando correre il tempo tranquillo della vacanza.

Arriva il fine settimana del mio compleanno.

Arriva anche la millecento del babbo ma, stranamente, la mamma non vuole che scenda a salutarlo. Indispettito e un po’ incuriosito riesco comunque a sbirciare fuori e lo vedo sfilare dall’auto un pacchettone ingombrante, stretto e lungo, che però sparisce subito verso le cantine.

Boh?! Chissà che roba è: se va in cantina sicuramente niente di interessante per me.

La sera cena tutti insieme e poi di corsa a letto per far in modo che domani il mio compleanno arrivi un po’ prima.

Nonostante l’eccitazione della mia festa in arrivo, dormo come un sassobambino, tanto che devono venire a svegliarmi per iniziare con lauta colazione le celebrazioni di me…

Sole estivo dalle finestre, già quel caldo che non ti fa venir voglia di vestirti, ma è il mio compleanno e allora oggi forse cornetti a colazione!!!

Giù dal letto, giro la porta e resto fulminato: in mezzo al corridoio troneggia una bicicletta rossa, lucente e meravigliosa.

Gigantesca per me bambino.

E ora come faccio che non ci so andare??

Il ricordo di Anna: La raccolta delle olive

L’OLIVETO – di Anna Meli

            E’ da poco passata una lunga e caldissima estate. A causa dello sconvolgimento climatico le stagioni non rispettano più le scadenze di una volta. Siamo a metà ottobre e già si raccolgono le olive, o meglio si battono, senza più nessun rispetto per le piante che vengono strapazzate e scosse da varie macchinette.

            Se chiudo gli occhi, immagini fuggenti scorrono legate a vari momenti del passato: disegni appesi in quella scuola dove ogni stagione aveva il suo spazio, serate trascorse insieme ad altri ragazzi in aperta campagna fra gli odori di erba tagliata, di legna bruciata nei focolari e la sensazione di quell’aria frizzante che annunciava il vicino inverno.

            Come era il mio disegno appiccicato con delle puntine al righello sulla parete di fronte alla finestra? Forse non bellissimo, ma c’era tutto: tronchi scuri e contorti con lunghi rami e tante foglioline verdi staccate l’una dall’altra e intercalate da pallini neri neri e lucidi, lunghe scale appoggiate con il contadino che si apprestava a salire e poi altre persone piegate nella raccolta e….ragazzi, donnine, qualche cane con la coda a ricciolo, un prato di erbe e zolle. Il tutto componeva una sola storia.

            E la storia, quella reale, si realizzava nei pomeriggi dopo la scuola, quando noi ragazzi andavamo a chiedere a Pietro i cestini per raccogliere le olive a terra. Ci era proibito salire sulle scale, anche se, qualche volta, qualcuno ci provava.

            La raccolta, in quegli anni, avveniva a fine novembre e le giornate erano, come dicevano i grandi “ Un pugnello” vale a dire brevi. Rientravo a casa al calar del sole, con le guance rosse di fuoco e le mani fredde e screpolate, ma felice. La mia mamma faceva un’emulsione di olio d’oliva e acqua e mi massaggiava le parti che erano maggiormente offese; anche se bruciava un po’ ricordo quella sensazione con piacere. Ero stanca ma felice e coccolata.

Il ricordo di Stefania: La bicicletta

La bicicletta rossa – di Stefania Bonanni

Quell’anno la Befana porto’ due biciclette. Una blu per la Sonia, una rossa per me. Tutte le cose di Sonia erano blu, tutte le mie rosse.

Avere una bicicletta voleva dire che si potevano fare tratti di strada piu’ lunghi che non a piedi, ci si poteva spingere forse in paese, forse a scuola, si poteva girellare, si poteva arrivare in luoghi che si sapeva solo noi, senza rendere conto delle strade percorse, a meno che non si avesse la sfortuna di essere viste , ci si conosceva tutti, ed erano tutti gran chiacchieroni.

Svanì presto l’ illusione di libertà. Vennero subito le indicazioni di utilizzo delle bici. Si poteva andare al forno, in macelleria, alla posta. All’ Arno assolutamente no. Per la strada principale nemmeno.

Il mio posto preferito era lungo la strada sterrata, dove si formavano enormi pozze di pioggia e fango. C era una semicurva, in particolare, che nascondeva alla vista, e nella fantasia, quando arrivavo lì ero sola, sperduta, orfana, nel bosco o nel deserto, a seconda di che stagione fosse. Appoggiavo la bici al balzo, tra i rovi, e mi sedevo su di un sasso piatto che mi sembrava un trono. E guardavo le nuvole, ed immaginavo storie. La preferita raccontava le avventure di una ragazzina sola al mondo che restava tra i rovi tutta la notte. Dalle frasche uscivano pantere e serpenti, a volte fantasmi, che però fecero parte delle mie storie per poco, perché mi riportavano sempre a casa.

I giorni piu’ belli era quelli nei quali pioveva poco. Quel tanto che bastava ad impastare la polvere della strada sterrata, con la pioggia. Il risultato era una una materia a metà, né liquida, né solida, marrone e lucida, e se ne capiva la consistenza solo mettendoci le mani, o i piedi, o tirando sassi nella pozza e valutandone gli schizzi. Era molto bello arrivarci con la bici, in velocità, alzare i piedi dai pedali, e volarci attraverso. Una volta sono caduta col sedere proprio nel mezzo della buca grossa. Per tirarmi su ho anche strusciato le ginocchia, e sono tornata a casa ricoperta di terra. “Guarda come sei ridotta!” E non capirono quanto mi ero divertita, e quanto mi piacesse non essere più quella bambina buona, pulita e pettinata che volevano fossi.

Quando era troppo brutto tempo e la bici era proibita, andavo a piedi alla buca. Mi preparavo bene ed a lungo. Mettevo gli stivalini da pioggia, la mantellina impermeabile naturalmente rossa, prendevo l’ ombrello, e partivo. Cominciavo a fantasticare da subito.

 Se avete pensato che la buca fosse distante chilometri dalla mia casa, è esattamente quello di cui allora ero convinta.