Il ricordo di Rossella B.: L’altalena

Irresistibile altalena – di Rossella Bonechi

L’altalena è irresistibile per me, finché potrò se ne trovo una ci monto, in barba alle convenzioni e il ricordo di quell’ altalena è saltato fuori al primo sguardo: un’asse di legno, due corde, quattro pali piantati per terra e un solco di terra polverosa tormentata da atterraggi al volo. La usavo tutte le estati, nell’aia dello zio, elemosinando spinte forti dai grandi o facendo turni impazienti con i cuginetti. Fin qui niente di speciale ma il mio ricordo è legato al momento in cui scoprii come fare a spingermi da sola per un insieme di gesti casuali o per l’ ingenua sapienza dei bambini che sono maestri nei giochi. Fu un attimo che allora, bambina di pochi anni, non tradussi in parole ma ricordo esattamente l’ ebrezza di volare sempre più in alto da sola, senza chiedere a nessuno; credo, ma forse esagero, che fu la prima volta in cui mi sentii potente rispetto a qualcosa: non era la mia altalena ma ero io che conducevo il MIO gioco e finalmente potevo andare verso il cielo senza impedimenti o raccomandazioni. Non smisi più per tutta l’estate, mi dondolavo anche in piedi al limite del “ribaltamento”, ma ricordo bene che non c’era paura: solo, anche se non sapevo esprimerlo, l’ assaporare una grande libertà.

Il ricordo di Rossella G.: L’altalena

L’altalena cigolava – di Rossella Gallori

Ero nascosta in una casa senza porte, ci ho vissuto: un’ora, un giorno sicuramente un’età, fuori faceva freddo, ma la scala portava  oltre il cielo, così solidamente sbilenca, appoggiata ad un muro che mangiava capperi, mentre i capperi mangiavano il muro, in un alternarsi tra sopravvivere ed anche no. Fuori cigolava un’altalena di legno grasso d’acqua, cantava dondolando, una canzone a me che avevo bisogno di note dolci, non di stridii arrugginiti.

C’era  sopra al nulla, un materasso grande, di traliccio a righe di un color noce che ricorreva il grezzo polveroso, scricchiolante di vegetale, i guanciali bitorsoluti di lana da cardare…troppo tardi ormai… il cassettone  a tre gambe era sorretto dalla voglia di farcela, la greca incorniciava una cementite, forse viva un tempo….tutto mi spaventava e mi somigliava, pur non ricordando, come e quando ero arrivata li.

Riconosco, l’odore del vino di ieri, nei miei sogni di oggi, un vino che non ho mai bevuto….e vedo le cicche spente al muro e ricordo che ho  avuto una età che era poca poca:  e scappi…e scopi..e scopri…che niente lenisce il dolore, cicatrizza le ferite, manco con l’ aiuto della Madonna ce la fai.

Poi quel gatto grasso di pancia e corto di gambe, mi graffiò e ne fui felice, mi svegliai scesi la vecchia scala, affamata e confusa, i fichi erano a terra vecchi ma ancora dolci, incrociai le gambe che scoprii sporche e graffiate, succhiai le bucce, le braccia senza buchi mi rincuorarono.

 Volevo restare ed andare, avevo paura, paura di vivere, sempre.

La mia borsa conteneva  di tutto, foto, un pettine, caramelle dalla carta rossa, fazzoletti appallati di lacrime, fogli a righe, gomme, penne, cotognata, soldi quelli quasi nulla, ma anche troppi per essere pochi…

Nessuno è mai venuto a cercarmi né ieri, né oggi, ma sono sempre tornata. Comunque tornata.

…e quell’ altalena che non è più li, mi raggiunge, mi scova per cantarmi la stessa canzone, monotona, dondolante e rugginosa.

La odio