foto di Lucia Bettoni, Rossella Gallori, Cecilia Trinci




foto di Lucia Bettoni, Rossella Gallori, Cecilia Trinci




Sequel di Odissea nello spazio – di Nadia Peruzzi

Hal ha preso il comando della nave spaziale e, invece di giocare con il Cubo di Rubik, si diverte a far girare nella nave alla deriva nello spazio una sfera pesante, piena di piccole sfere che si uniscono in strane forme, ma priva di qualsiasi presagio di futuro possibile.
Se sei alla deriva nello spazio siderale, un elaboratore di dati ha preso il comando, che futuro mai potrebbe esserci.
Guardandola da vicino quell’ammasso di piccole altre sfere rivela il suo segreto. Altro non sono che quel che resta degli astronauti, della missione del 2001,in versione lillipuziana, stretti stretti quasi a proteggersi dalla catastrofe incombente.
Hal impazzito e in rivolta, con l’intelligenza artificiale ancora di là da venire, avevano creduto di poter trovare riparo, miniaturizzati, in quella bella sfera. Forma perfetta e piena di significati fino dalla notte dei tempi.
Ne son state fatte migliaia di copie. Nessuna veramente uguale all’originale che nessuno sa che fine abbia fatto.
Ormai le vendono sulle bancarelle di un mercatino nel Mare della Tranquillità.
La Luna è abitata da qualche decennio.
Bezos e Elon Musk ci hanno piantato le loro bandierine e parecchie delle loro attività, di cui si occupano da anni ormai i loro discendenti.
Le vendite non hanno preso gran quota, ma il tecnocapitalismo intanto ha occupato spazi, sapendo che i compratori prima o poi sarebbero arrivati.
Una mantiglia rossa fluttua accanto alle bancarelle. Nel vuoto avrebbe dovuto essere impossibile. Ma dei bambini cinesi in una scuola, nel 2024,si erano fatti venir l’idea che la missione Chang’e-7 avrebbe dovuto portare bandiere in grado di sventolare.
Da quell’idea al piano di realizzazione il passo era stato breve. Gli astronauti cinesi nel 2026 avevano così potuto piantare bandiere sventolanti. Tessuti speciali che erano serviti anche per altro, non solo a fabbricar bandiere. Ai rampolli dei supermiliardari a stelle e strisce che vendevano sfere di vetro taroccate nelle loro bancarelle, non restava che guardare con grande invidia quel prodotto di altissima tecnologia .
Che rabbia vedere quel pezzo di stoffa rossa, della consistenza di una piuma, che si insinua fra una bancarella e l’altra mentre le bandierine fin troppo vicine, sventolano garrule.
Ai rampolli fin troppo eccitati, per l’eccesso di sostanze che si fumano, sembrano tanti diti medi puntati verso l’alto.
Forse in quella scuola del lontano oriente quei ragazzi cinesi con gli occhi a mandorla e il cervello finissimo, per quello scopo le avevano pensate.
Una grassa signora con un cappello da cow girl scesa da una navicella che fa la spola giornaliera Terra/Luna, senza guardare dalla parte delle bandiere, punta dritta verso le bancarelle per agguantare quel pezzo di stoffa rossa che si muove con l’effetto di una piccola aurora boreale in contrasto con il nero che avvolge tutto.
Ce la fa prima che la signora tutta in ghingheri scesa dopo di lei possa avere il tempo di vederla. La Cow girl la agita come un trofeo. Che brutta sorte per un pezzo di stoffa pregiata e frutto di studi e di altissima tecnologia, sparire in mezzo a quelle manone abituate a ferrare cavalli e a mungere mucche.
Non sa che farsene, non sa cosa sia stata un tempo, o a cosa sia servita. Non sa nemmeno se tornata sulla Terra resterà la stessa o si dissolverà come neve al sole.
Quel che conta per lei è il fatto di averla acchiappata per prima.
Dopo aver speso 50mila dollari per quel viaggio tornare a mani vuote, nella sua fattoria nel Texas, non sarebbe stato assolutamente da prendere in considerazione.
Lì accanto le bandierine rosse sventolano sconsolate.
I tempi sono cambiati, loro sempre più sotto scacco, come raccontano quelle ridicole bancarelle, ma non hanno ancora perso il vizio. Sono gli stessi arraffatori di sempre.

Siamo in inverno, il tempo è spesso variabile con molta pioggia, non è facile fare programmi di attività all’aperto.
Da diversi giorni guardo la mia bicicletta con la voglia di fare una bella sgambettata. Chissà se la batteria è ancora buona, col tempo si deteriorano e diminuiscono di potenza. Ho cercato di ricaricarla periodicamente, con l’intenzione di usarla ma per qualche motivo i programmi sono andati a vuoto. Senza queste diavolerie moderne da tempo avrei dovuto rinunciare alla bicicletta, le gambe per fare le salite impegnative non le ho più.
Invece, con la pedalata assistita, sono potuta scorrazzare per la città, arrivando fino a porta a Prato con livelli di carica accettabili. Certo, a volte mi è toccato fare gli ultimi metri con la pedalata normale perché avevo calcolato male il livello, non mi sono però disarmata, arrivando a casa con il fiatone.
Nella mia vita, ho sempre avuto una bicicletta e così anche i miei familiari, certo quelle dei miei fratelli maschi si riconoscevano subito e difficilmente veniva voglia di usarle.
Quella che la mia mamma ha usato sempre era ben attrezzata e efficiente.
Quanto si arrabbiava però trovandola sgonfia o con la ruota bucata, dopo che i ragazzi l’avevano in malo modo sbatacchiata per le varie evoluzioni con i coetanei. Lei, la usava ogni giorno, raggiungeva anche il mercato di SANT’AMROGIO per la spesa della numerosa famiglia portando tanti chili di frutta e rientrando da una strada molto in salita. Le sue scorte si esaurivano con una velocità incredibile visto l’appetito di noi cinque figli.
La mia prima bicicletta mi è stata regalata in seconda media, così potevo andare a scuola più velocemente visto che era molto lontana. Mi sentivo molto libera sul mio velocipede, andavo dalle amiche e a fare acquisti.
Quando mi sono sposata e sono andata ad abitare a BAGNO A RIPOLI Capoluogo, territorio tutto in pianura e collegato a Firenze con poco tempo di percorrenza, la bicicletta era il mio mezzo di spostamento privilegiato.
Andavo al lavoro, a fare la spesa, a fare i giretti in città.
La bicicletta blu è diventata a tre posti quando sono nati i miei figli, il piccolo davanti nel seggiolino con le gambe penzoloni, la grande dietro su un sedile anatomico dove si divertiva a dondolare le gambe facendomi perdere stabilità.
Non so proprio come sia successo ma, un bel giorno, la bici blù è sparita.
Quando sono andata a vivere in collina non ho più pensato a muovermi con quel mezzo.
Sono arrivate le bici elettriche e ho ripreso coraggio acquistandone una.
La mia, oggi è antiquata, molto pesante e poco potente, ce ne sono adesso alcune che sono un portento ma io mi devo accontentare perché il traffico della città è aumentato creando insicurezza per i ciclisti nonostante le piste apposite.
Aspetto che sia terminata la nuova pista che porta al paese vicino al mio consentendomi di fare un po’ di strada pedalando, per provare quella ebrezza di libertà propria della bicicletta.
I ricordi e i pensieri invecchiano proprio come le persone, ma ci sono pensieri che non invecchiano mai. Ricordi che non sbiadiscono. Haruki Murakami
UN RICORDO VIVO E INDELEBILE – di Anna Meli

I ricordi sono parte della vita e spesso custoditi con cura nella mente e nel cuore perché non vengano mai dimenticati. Così in certi momenti, quando sono sola e magari in un luogo particolarmente suggestivo, mi ritrovo a isolarmi dal resto del mondo e vivere un momento magico, unico, in una realtà leggera, vuota e nello stesso tempo traboccante di mistero.
In certi momenti c’è bisogno di una pausa, c’è bisogno di sgombrare la mente e cedere a un ricordo che arriva così, quando meno te lo aspetti. Mi sono trovata, nel vedere l’icona posta sull’ultimo scalino della Pieve di Romena illuminata da un raggio di sole, ad osservare in quel pulviscolo d’oro, i contorni del tuo giovane viso ed ho ripensato a quanto poteva essere stato bello averti avuto ancora con me, con noi.
Eri così allegra, piena di vita, di sogni, di progetti! Ricordo con quanta forza difendevi le cose in cui credevi, mettendoti a confronto con chi non la pensava come te. Ricordo le tue gonne lunghe e variopinte di foggia zingaresca per le quali discutevi spesso con la tua mamma, cercando in me quella solidarietà che io ti concedevo con affetto cercando di mediare per te.
Eri una fan di Renato Zero che a quei tempi, specialmente le persone un po’ più attempate, non erano pronte a capire e ad accettare per la sua stravaganza, ma tu lo difendevi a spada tratta senza batter ciglio.
Pensieri e ricordi si susseguono come le pagine di un libro e pian piano il tuo viso illuminato dai tuoi bellissimi occhi di cielo si scolora, scompare…tornerai presto e spesso nei miei pensieri finché avrò vita.
Margherita – di Stefano Maurri
“C’è sempre un momento in cui una storia va raccontata, ho insistito. Altrimenti per tutta la vita si resta prigionieri di un segreto”. (Haruki Murakami)

Il ricordo va a Margherita, con cui ho avuto una breve storia e soprattutto alla madre, per la quale lei aveva un forte risentimento perché l’accusava di aver abbandonato il padre. Tutto aveva avuto origine nel 1943 quando la signora, Franca Caiani, partecipò con un suo amico, membro del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) a un attentato al Caffè Paszkowski, frequentato da ufficiali nazisti. Per dirlo con il titolo di un recente libro, Le montagne in città, la resistenza non fu solo in montagna, ma anche in mezzo ai civili.
La bomba era piazzata sotto un tavolino e lei con un altro partigiano avrebbero dovuto farla esplodere. Qualcosa andò storto e furono arrestati, lei rinchiusa nel carcere di Santa Verdiana.
Per liberarla con altre detenute fu organizzato un Commando, guidato da un giovane liberale che parlava perfettamente il tedesco e che dopo la riuscita del blitz diventò suo marito.
Le sofferenze subite furono, come è facile immaginare, terribili e per un periodo fonte di complicità.
Nel dopoguerra però si manifestano i primi dissapori perché la “Franchina” , che nel frattempo era diventata membro del CC del PCI, non riesce più a dialogare con il marito che decide di allontanarsi e andare a fare il console in Brasile.
Tutto questo l’ho saputo a più riprese. Ho incontrato Franca solo due volte, mi affascinava il suo sorriso silente e gli occhi pieni di malinconia. Viveva in una casa piena di quadri, di autori che le avevano scritto dediche particolari, di lettere di “compagni” autorevoli, come Amendola, Secchia, Ingrao, Napolitano e quelle scritte con inchiostro verde di Palmiro Togliatti. Tutto questo creava un clima che mi affascinava.
Sei anni fa abbiamo pubblicato questo video che riproponiamo oggi con la stessa intensità
“C’è sempre un momento in cui una storia va raccontata, ho insistito. Altrimenti per tutta la vita si resta prigionieri di un segreto”. (Haruki Murakami)
…altrimenti si resta prigionieri per tutta la vita di un segreto….

Ho il mio metro, il mio ago, il mio filo, un vecchio sacco di juta.
Misuro i passi, ma non cammino dritta, è uno zig zag continuo, che allunga ed affatica la strada. Cerco di rassettare, ricucire, rammendare i ricordi, ma non so come si fa , l’ ago non ha punta: fora, non cuce.
Voglio restare prigioniera, la stanza è piccola, le sbarre lucide, quasi nuove, passa aria, la tenda di pizzo rossa, muove e commuove il mio respiro, ho occhi trasparenti di vetro burroso.
Il segreto c’è ed è vuoto di sogni, privo di oscuri disegni…sempre e “ solo mio” .
…e se non volessi, ricordarlo, se fosse diventato pietra, dopo esser stato: acqua, spugna, medusa…cavalluccio marino.
Se rivelandolo, facendolo sapere, se condividendolo diventassi, io, ancora più fragile, più esposta al vento delle parole, al gelo degli sguardi; no, non voglio essere il solito Buratto, sguardo, fisso, braccia di legno, se le lance mi ferissero a morte colpendomi, ed il mio sangue stanco schizzasse, macchiando candidi vestiti. È ora che Arezzo chiuda la sua giostra, voglio e devo scendere.
Ma poi, a chi interessa, dove, quando, “ PERCHÈ” .
Chi sono, chi potevo essere, cosa volevo diventare, cosa non sono riuscita a realizzare.
Mi devono amare ora, per chi sono, per quel poco o tanto che valgo. L’ ufficio postale da cui sono uscita: pacco di me, non esiste più…ed ora…..
…rumore di passi, stropiccìo di stoffa, la tenda rosso fuoco, accarezza le sbarre: si gonfia, si sgonfia.
Il secondino, dal passo lento si è annunciato porgendomi la chiave per aprire la mia “volutaprigione” .
Ho rifiutato, voglio e devo restare dove sono, ho accettato l’acqua, quel biscotto buono, quel suo sorriso negli occhi da guardia clemente. Non conosco il suo nome, è qualcuno che ho conosciuto in un’altra vita, è me, loro, voi. Cerca il dialogo, mi sfiora una mano, il mio oggi glielo regalo, il mio ieri è solo mio.
Mi allontano con il pensiero, quasi sogno: remo controcorrente, la tinozza di legno ha un’ aria solida, riesco per magia a non bagnarmi, acqua salata di fiume, la mia, tassello di un puzzle mai completato …
Non voglio chiedere aiuto al mio buon carceriere, perché galleggio da sola con il mio segreto, con una pesante palla di vetro accanto e dentro di me, sugli occhi un’ombra di tulle rosso che sa di silenzio, non mi impedisce di vedere…Vivo










Haruki Murakami
“Comunque sia forte il suo desiderio e grande la sua forza d’animo, nessuno tornerà mai da dove è venuto.” Maurizio Maggiani
Le mani, l’abbraccio – di Tina Conti

Attraverso le mani passa il mondo di una persona, scorre la sua vita.
Proprio stamani pensavo al ricordo di carezze, sostegno, abbracci che passano con loro.
Mentre mi passavo le mani bagnate sul viso addormentato e ancora tiepido del calore delle lenzuola mi è tornato in mente quel giorno in cui la mia cugina più grande mi lavava il viso e ricordo come mi abbandonavo a quel contatto, abituata a gesti energici, veloci per le occupazioni e la cultura che non si poteva soffermare su tante smancerie. Quelle mani delicate e quel gesto mi è rimasto nel cuore tutta la vita.
Il ricordo mi ha fatto spesso riflettere sulla necessità di trovare qualche pausa nell’essere pratica e decisa come ho imparato in famiglia e cercare intimità e contatto.
Così ho trovato bello e fonte di gioia, fare carezze, usare più calma, far sentire disponibilità.
Ho riflettuto su quanto anche i piccoli amano il contatto, il tempo rilassato dedicato a loro, cosa che da nonna mi posso permettere
Mi aiutava molto con il mio primo nipote , molto attivo e super stimolato, trovare un tempo silenzioso, per aiutarlo a rilassarsi con un leggero massaggio sulla schiena.
Lui sentiva piacere e trovava tregua al movimento così non voleva mai che si finissi .
ANCOA,ANCOA ripeteva e poi rimaneva ad ascoltare o faceva un pisolino.
Il racconto che ho letto, mi ha stimolato a questa riflessione, i si parla di mani che abbracciano, giocano, sostengono, chi narra osserva le mani degli uomini della famiglia, non sono tutte uguali, ma alcune si somigliano.
Le mani di Paolo del racconto mi fanno riflettere su quelle del mio Paolo, belle, curate, lisce. Non grandi ma forti, disponibili, calde.
Se le confronto con le mie, mi sento morire, una ha un dito nero per una martellata recente, un dito ha la prima falange piegata per aver preso una pallina da tennis che calava dall’alto tanti anni fa e è rimasto piegato, le unghie sono irregolari e i graffi sul dorso sono sempre presenti visto che mi occupo delle rose senza precauzioni.
Nonostante questo, sono come quelle di mio marito, pronte a sostenere, abbracciare, aiutare, fare.
Certo, mi piacerebbe avere mani curate, bianche, con unghie lunghe arrotondate, non colorate ma, da poter esibire tranquillamente con anelli.
Poiché non resisto a metterle sempre nella terra per cogliere fiori, strappare rametti secchi, piantare semi e talee, pasticciare con colori e lavorare con acqua gelata e insaponata ignorando l’uso di guanti, mi accontenterò di tenerle in tasca, nelle situazioni più imbarazzanti oppure indosserò guanti belli e intonati al vestiario.
Sarò però contenta lo stesso perché non potrei essere diversa, sono riconoscente di poterle usare per fare tante cose che mi piacciono e che riempiono la mia vita, sono l’operaio di casa come dice sempre mio marito.
La casa di Carmela – di Nadia Peruzzi

Una casa è amore.
Una casa può diventare “ marchio dell’amore”, casa del cuore se stiamo bene insieme, pur se ci si riunisce una volta l’anno.
Anche una casa semplice inserita in una paesaggio superbo e fuori dal comune può diventare una reggia. Splendore si aggiunge a splendore se è il mare a farle da accompagnamento.
Il mare con le sue mille e mille cangianti note di colore, con i suoi suoni e i suoi toni irripetibili e non imitabili, perché non riferibili a niente altro.
Ogni suo movimento ha un effetto sull’animo umano.
Rasserena lo sciacquio ininterrotto sulla battigia, che si frange come una carezza sugli scogli, mentre la sabbia lo accompagna nel suo va e vieni.
Incute timore quando fra cielo e mare la linea si fa inesistente, il blu si traveste di grisaglie, il vento solleva nuvole di sabbia. Le onde si sollevano e muggiscono mentre schiaffeggiano la costa. Se capita che un cono nero si formi in lontananza e rapido si muova, puntando verso terra, è terrore e senso di minaccia quello che stringe il cuore in una morsa gelida.
Quante sensazioni, quante emozioni si possono alternare e mutare in pochi attimi.
La vita è scorrere più o meno lento di paure, dubbi e silenzi.
La via piana spesso diventa un’erta che sembra insormontabile, tanto da indurci a credere che sia impossibile andare avanti. Le gambe fanno fatica a muoversi, come avessero catene invisibili che le bloccano a terra.
Eppure offre, spesso inaspettatamente vie di uscita, di crescita continua, momenti di ripartenza che hanno il profumo leggero di una rinascita.
Nuovi sentieri, nuove strade possono aprirsi.
Nuove case del cuore possono diventare da sogno agognato, rifugio e placido approdo per il nostro essere.
Da un’idea di Stefania – di Carmela De Pilla

È buio e mi tappi gli occhi con le mani
Mani che stingono
per lanciare emozioni
Mani che raccontano
il piacere di esserci
Mani che avvolgono le spalle
per raggiungere morbidi traguardi
Mani sincere
per tenerti per mano
Mani calde
che mi fanno bene
Mani umide di crema Nivea
che sulla sponda del letto mi guarivano
Mani inutili
che hanno vestito, spogliato, disfatto, rifatto, acceso, spento…
Quante mani incontrate
Quante accolte o rifiutate
Quante dimenticate
E quante da scoprire
Tante
Tutte da accarezzare
( grazie Stefania)
La bellezza della Terra – di Daniele Violi

Da una lettura condivisa nasce un ringraziamento alle Anime Amiche delle Piante e dei loro Frutti.
L’emozione del donare o preparare un cibo come la frutta, penzolante da anime amiche come gli alberi e le Piante che ci regalano la loro perfezione che si compone di forma e sostanza con la genesi misteriosa delle inimitabili (e impossibili a noi), creazioni di sapori e bontà, che è rappresentata dalla grande varietà dei prodotti che ci sono dati, per un processo che conosciamo come chimico- naturale, ma che definiamo spesso con semplicita’ come frutta e/o parti della pianta. Cibo commestibile; come da secoli viene tramandato, da generazione in generazione, per trasmissione di conoscenza e di stupore per la profondità di questa grande ricchezza che la Natura ci regala; da un mondo ritenuto spesso ostile. La sensazione che avverto leggendo i periodi dello scritto condiviso che l’autrice rappresenta, mi parla di Lei bambina, con un infanzia vissuta anche con gioco, nel contesto campagna paese scuola, che assapora consuetudini e abitudini alimentari e di convivialità che riuscivano a rinsaldare, anni addietro, un legame forte tra le persone che quotidianamente vivevano una vita condivisa, come anche io ricordo nella mia giovinezza, che si tinteggiava di emozioni, di fronte a bontà raccolti da alberi. Iniziative in uso delle tradizioni che erano alla base delle culture negli anni passati, come dimostra la descrizione da parte di una adolescente, delle abitudini alimentari legate al suo rapporto con la frutta in primis.
Ricordare – di Stefania Bonanni

E’ la porta dell’ultramondo, il ricordo. Il modo per renderlo eterno. L’ ingresso in uno spazio solo tuo dove non esiste né ieri, né oggi, né domani. Solo il pensiero della vita che e’ stata e di quello che ti ha lasciato. Perché ogni cosa vissuta, ogni persona che se ne è andata, ti ha appiccicato addosso qualcosa di sé, ti ha cambiato il cuore, ed il ricordo è il mezzo per rendere eterno quello che non tornerà, ma nn n se ne andrà mai piu’.
Io ho avuto una vita bellissima, e ne sono infinitamente grata alla sorte, ai personaggi che l’hanno abitata, ai luoghi sullo sfondo, a chi mi e’ stato vicino, a chi mi è stato lontano. Ho avuto un’ infanzia di certezze, serenità, libertà ed amici, che basterebbe per essere la base solida e resistente di grattacieli altissimi, con i piani alti dondolanti nello spazio, ma consapevoli che la base è antisismica e anti sgretolamento . Gli amici di allora sono quelli di ancora, ed alcuni hanno viaggiato senza perdere né pezzi, né bagaglio. Un tesoro immenso, abbracci teneri e parole superflue. Liquidi che si scambiano volentieri, un po’ di commozione, un grande affetto che non si nasconde, mani che si sono tenute per mano a battesimi, funerali, matrimoni, in corridoi di ospedali, nel cortile della scuola, davanti a fredde bare.
La casa senza mare – di Sandra Conticini

A differenza di Carmela, che ha scritto il brano, io ho sempre avuto una casa e non mi sono mai sentita precaria, mi dispiace per lei perchè queste sicurezze i bambini le dovrebbero avere per poter affrontare la vita in modo migliore e con più positività.
La casa della mia famiglia è stata quella dove ho vissuto fino a 14-15 anni, ma per la mamma era quella “del cuore” perchè l’aveva costruita il suo babbo e il suo fratello, che io purtroppo non ho mai conosciuto..
E’ bello pensare di vivere in una casa con un bel paesaggio marino che, oltre ai colori possiede un profumo inebriante che, solo chi conosce bene la sua terra può saper descrivere così bene e far nascere un po’ di sana invidia.
Ho avuto solo case di città e anche con poco panorama, posso solo ricordare quando hanno costruito un altro palazzo, un ponte, aperto un viale oppure buttato giù alberi per fare un centro commerciale, ma di profumi e colori pochi, già mi sembra strano sentire in primavera gli uccellini cantare.
Sono contenta della mia casa perchè è comoda, spaziosa e luminosa. L’abbiamo arredata come ci piaceva e ci sto bene perchè ci sono stata con la mia famiglia, anche se per poco tempo, ho molti ricordi e per fortuna quelli positivi sono maggiori di quelli negativi.
Le mani raccontate da Stefania – di Rossella Gallori

..mi appare Bruno, un babbo forte, non solo perché “tira di boxe” ma per la sua voglia di esserci, di restare, di esser punto fermo, uno su cui si poteva contare e cantare, che c’era e c’ è stato…anche quando il suo tempo era scaduto…
Un babbo Paoloso……e di padre in figlio trovo mani, un susseguirsi di mani, grandi, piccole, buffe, incoraggianti, mani da cercare nei nipoti, nei figli…ed un flash intrigante di mani giovani, di gesti arditi ed accolti con un: quasi no! Dita che cercano il concreto nel buio di un cinema vellutoso e complice.
Poi senza falsi voli pindarici, ritorni da ieri a domani, ad un oggi sincero, ad una te così diversa da me, che per incanto trovo simile a me, dissacrante e riguardosa al tempo stesso: NON HO MANI UTILI IO! Scrivi
Mani poco utili le tue, come le mie: né cucire, né ricamare, né maglia, né uncinetto, né impastare, mi casca tutto di mano, trito, più che riordino, raccolgo cocci assortiti, che schizzano a terra di nuovo…. mani che si son strette a pugno in un anno che non so se c’ ė stato, mani che poco si son giunte per pregare, mani grandi, trascurate, le mie, che come le tue han lasciato qualcosa a metà….ed ho usato l’ indice a mo’ di tergicristallo per dire no….nooooo, quando avrei dovuto dire: siiiiii, con il capo e con le parole!
Mani che han lavorato, però troppo presto, che han misurato, pesato, scritto, medicato ed asciugato moccio e lacrime, mani che han raccolto pasticche….
Non ho colto i tuoi fiori Stefania, stasera, ma ho guardato quelli che hai lasciato nel “tuo prato” li ho annusati, senza capire che fiori fossero, perdendomi, però nei tuoi e loro colori, tavolozza di te…
Papaveri rossi forse, che si sono piegati al vento forte, ma non spezzati. Neppure ai tuoi strilli, giocosi sempre, nemmeno agli attacchi fecondi di Paolo, nemmeno al vento di burrasca…
Ti leggo, nasce un pensiero:
Con le mani prendi la luna
Dalle tue dita scende sabbia dorata
Tracci una strada…
La seguo, ci sei, ci siete, ci siamo…..
Festa di colori ad acquerello- di Carla Faggi

Come non condividere l’amore per i colori.
Come non pensare di essere un colore.
Come non giocarci e non strapazzarli per esserne amici.
Io sono amica del rosso, il rosso fuoco.
Il rosso fuoco si espande sulla carta a rigagnoli, incontra una macchia di giallo, cerca di evitarla per non contaminarsi, è superbo, si piace e vuole rimanere tale. Ma non può, una parte di se è attratta dal calore del giallo che si sta infiltrando piano in lui, sente che si sta trasformando, si illumina piano piano, una parte di se è completamente ormai arancio, solo un piccolo spazio è rimasto rosso pieno, il resto è arancio striato di giallo.
Si immagina di essere un tramonto illuminato dall’ultimo sole, le colline solo un profilo oltre al quale esplodono i colori più caldi dell’arcobaleno, io rosso ne sono il re, gli altri la corte!
Oppure sono un aranceto dove solo io ne sono il padrone e posso portare i frutti ad essere desiderati o ancora aspettati a seconda dei miei desideri di giallo.
Però che bello, pensa, quanto più ho adesso, forse è questo il senso di un colore e non solo di un colore, mescolarsi, contaminarsi per creare.
I bambini con il fiocco croccante – di Stefania Bonanni

Ad un certo punto seppi che c’erano paesi dove le classi erano di soli maschi e di sole femmine. Forse fu allora che mi resi conto di vivere in una specie di minuscola bolla. Se avessero voluto dividere per sesso la mia classe, ci sarebbero state tre bambine da una parte, e quattro maschi da un’ altra. Forse nemmeno, visto che noi sette eravamo frutto dell’ unione di due anni in uno.
Noi sette: tre grembiuli bianchi con fiocco rosa, quattro grembiuli neri con fiocco azzurro. Il fiocco rosa era sempre gonfio, lucido, pulito ed annodato come un fiore. Quello azzurro sempre striminzito, grinzoso, col nodo stretto stretto e le ciocche pendenti ai lati, pronte a svolazzare nelle corse. Tutto documentato nella foto di quarta elementare (anche queste foto non le fanno più, peccato, era una festa quando veniva il fotografo, sembrava di fare parte di un film) : io, grembiule bianco che arrivava preciso alla fine dei calzettoni, gonna scozzese a pieghe che si intravede dall’ abbottonatura, in piedi, davanti alla lavagna, fiocco perfetto. Paolino, grembiule nero stazzonato, fiocco disfatto, dita pollice ed indice della mano destra che si toccano, immortalato nell’ atto di tirare qualcosa, qualcosa che prima di quel momento sicuramente gli viveva nel naso.
La luna grande – di Lucia Bettoni

La mia luna non ha acqua di mare
La mia luna ha acqua di lago
La mia luna sta sulla punta del cipresso davanti alla nostra casa sulla collina
Era una luna rossa la luna del nostro primo bacio
Immensa in un cielo rosa la luna ieri mattina all’alba
Mi sono fermata e l’ho guardata
Era una luna grande
Perché ho lasciato passare così tanto tempo senza guardare un’alba con la luna?
Pensavo questo ieri e oggi ecco ancora la luna tra queste righe a ricordarmi di alzarmi presto e di volgere lo sguardo in alto all’alba esattamente sopra la testa
Esattamente dove sono
Senza neppure fare un passo
Pepolino – di Patrizia Fusi

Il pepolino è una piccola pianta selvatica dal fiore di colore rosa, che si adopera per profumare alcune pietanze.
Nel testo che ho letto , vedo la campagna in primavera, quando da bambina ci scorrazzavo con le mie amiche a raccogliere i fiori che nascevano nei campi lavorati, nei filari delle viti, nei balzi, si doveva stare attenti a non sciupare le semente.
Dei fiori raccolti facevamo de mazzolini che il giorno dopo portavamo alle nostre maestre.
Un mazzolino di fiori di aglio selvatico, fiore di un colore chiaro e una forma elegante, lo preparai con accuratezza, che portai a mia mamma credendo di farle cosa gradita, con poche parole smontò l’entusiasmo del mio regalo per lei, dicendomi: puzza d’aglio, donna brava ma alcune volte dura, come la vita che aveva avuto e l’aveva forgiata così.
foto di Lucia Bettoni e Cecilia Trinci




