L’immagine per Daniele – Il Gettone

Il gettone sempre in tasca – di Daniele Violi

Un gettone. Mi gettò un gettone che presi al volo. Ero piccolo, appena 10 anni. Mio Padre mi gettò un gettone. Cosa poteva significare, mi chiesi. Tutte le altre mie amiche e gli amici di gioco, portavano in tasca un gettone, tutte e tutti con un dolce sorriso mostravano il loro gettone che tenevano in tasca. Via via che si poteva avere per regalo il gettone ambito e utile per dimostrarsi importanti e maturi seppur ancora piccole e piccoli, il gettone donato dai propri genitori ci faceva sentire, bambine e bambini, con il pensiero più legati alle persone adulte e ciò ci dava sicurezza. Certo un gettone che aveva la sua utilità; potevi telefonare, ma potevi anche usarlo per salire sulle macchinette scontro del Luna Park, chiedere all’ortolano di poter avere una banana, il tuo gettone restava sempre con te, con il gettone quando in solitudine tornavamo a piedi da scuola, ci si poteva sentire protetti ed aiutati dal mondo di persone che ci circondava. Ognuna e ognuno aveva il suo gettone. Era proprio un mondo di sogni veri e volevamo conoscere i sogni nascosti forse tristi e violenti che ci raccontavano le favole, scritte per darci con la fantasia la vita di un mondo che non esisteva e che pensavamo dopo per questo di aver avuto fortuna a “scamparla bella”.

Quindi il gettone era una forza che come una freccia si scagliava dal nostro arco rappresentato dalla nostra tenera età. Un gettone che ci potevamo scambiare perché era uguale per tutte e tutti. Se capitava che lo perdevi sicuramente chi lo trovava te lo faceva recapitare. Ad ognuna e ognuno il suo. Nessuno ti chiedeva se avevi il gettone in tasca. Lo dimenticavo a casa, non era un fatto grave, comunque avevi la solidarietà di chi aveva il gettone. Il gettone dava tanta sicurezza di non incontrare difficoltà. Via via nel tempo il gettone serviva per avvicinare le persone, sembrava talvolta come una pietra miliare a cui ti potevi affidare; ogni distanza sociale tra te e la realtà, veniva sempre ridotta, si viveva con allegria e con gentilezza e il pensiero al gettone che tenevamo in tasca ci rinfrescava dalle fatiche della Vita. Il gettone era una grande forza per tutte le persone, che diventate da piccoli a grandi, si erano coccolati al pensiero del loro gettone che si tenevano sempre stretto tra le mani e ben custodito in tasca. Il gettone rappresentava la loro vita, le loro ambizioni, la tranquillità e la loro crescita culturale.

Ma questo gettone, la sua magia, le sue grosse capacità, un Gettone, con la Bandiera della Pace incisa da un lato, un Aratro al centro di un Assise di Banchi in circolo dall’altro lato. Il gettone portava con sé e rappresentava, la Massima Espressione di una Comunità; tutto.   

Un’immagine di duro lavoro per Patrizia – La donna con la treccia

Capelli bianchi e mani dure – di Patrizia Fusi

Capelli lunghi e bianchi, mani indurite dalla vecchiaia e dai lavori faticosi compiuti.

Orecchino di foggia antica, rimasto dalla prima comunione, uguale a tutti quelli che venivano regalati in quella occasione dalle famiglie contadine abbastanza agiate.

Vedo una bambina che vive in campagna abituata a contribuire alla coltivazione dei poderi.

Nella sua famiglia e in quella degli zii  avevano la fortuna che tutti i bambini  andavano a scuola, il nonno (capoccia) aveva deciso che dovevano imparare a leggere e a fare di conto, perché quando sarebbero diventati adulti dovevano sapersi rapportare con il fattore, capendo quello che gli spettava.

Era diventata una bella ragazza, nella famiglia aveva compiti diversi dai suoi fratelli e dai suoi cugini maschi, le femmine dovevano accudire alla casa sotto la direzione della massaia ( la nonna o la più anziana del gruppo)

La mattina accendevano il fuoco nel grande camino realizzando dei bei tizzoni roventi su cui veniva posizionato il paiolo, legato alla catena e che la massaia adoperava per cucinare.

C’era da procurarsi l’acqua, rassettare le stanze, accudire agli animali da cortile, mungere le vacche, preparare il latte da consegnare alla cooperativa, aiutare a pulire la stalla, andare all’orto per fare quello che c’era da fare  secondo le stagioni, raccogliere le verdure già mature e portarle alla massaia che le avrebbe adoperate per dei buoni piatti.

Un giorno della settimana veniva fatto il pane, in quella occasione si facevano delle formine a pupazzetto con dello zucchero sopra: era una coccola per i bambini di casa.

C’era da fare i lavori di cucito, i lavori a maglia, fare il bucato.

 Quando ce n’era bisogno andare anche nel podere.

Una vita molto dura per il lavoro manuale, difficile per avere armonia fra le famiglie, cercando di tenere a freno le gelosie che si formavano.