Scegliere il silenzio per Sandra

Le parole non dette – di Sandra Conticini

Mi veniva sempre detto: -Non si può dire sempre tutto, non sta bene.  E pensavo: – ma allora sono falsa, non sono me stessa!

Questa è stata la teoria della mia vita: essere sempre me stessa.

Ripensando al passato, mi dispiace non aver dimostrato affetto, amore o non aver raccontato cose personali ai miei genitori, ma l’ho fatto per non farli preoccupare, stare male ed anche per rendermi la vita più semplice. C’era, in quel periodo, il rispetto per il genitore ed il figlio doveva fare quello che gli veniva detto, a volte qualcosa  si evitava di raccontarlo. Per fortuna negli ultimi anni sono riuscita a ripagarli di questa mancanza. Me li sono coccolati e sbaciucchiati ed ero contenta quando vedevo i loro occhi soddisfatti e ridenti.

Ora che è passato qualche anno mi sono accorta che a volte è meglio lasciar perdere, se questo può far stare meglio una persona.

A mia figlia ho sempre detto quello che pensavo, ed anche lei a me, ma ormai è una donna e mi accorgo che le nostre idee sono divergenti e allora, per evitare discussioni, scelgo il silenzio, anche se non mi sembra giusto.

Le favole non raccontate di Cecilia

Pigiama Party – di Cecilia Trinci

disegno di Monica Trinci

Restano qui, per un pigiama party di eccezione. “Nonna prepariamo il letto?” “Ma sono solo le 18,30! Aspettiamo dai!” “Okkkkeeeeyyyyy!” risponde il piccolo a malincuore. Dopo cena però non si può più rimandare, il divano si trasforma in letto. Loro si buttano a pesce sul materasso appena aperto, si rincorrono girando intorno tra divano, coperte e lenzuola che non si riesce a stendere per benino, si tirano i cuscini appena appaiono, si tuffano dai braccioli sul piano del letto, si lanciano tra braccioli e poltrone. Il piccolo fa l’acrobata-giocoliere lanciando bottigliette di plastica. Il grande lo acciuffa alle spalle e lo rotola baciandolo sul letto. Ridono, rotolano, si strapazzano. La nonna non ripara, sommersa di lenzuola che si arruffano, spaventata da cadute che per fortuna non cadono, in ansia per tutti gli spigoli della stanza che non aveva mai notato, preoccupata per le bottigliette lanciate sui lampadari, “Bambini, bambini, fate piano, pia…..noooo” e proprio sul “pia” ecco le grida: “nonna mi ha fatto maleeeeee” lacrime piccole esplodono a spruzzo dal faccino. A quel punto il piccolo va preso in collo e consolato mentre il grande fa l’aria innocua di un aspirante gangster sorpreso dalla polizia. “Io non ho fatto niente!” impone a tutti i sospettosi sguardi che lo inchiodano. Incrocia le braccia sul petto indignato : “è stato lui a cominciare!!!” La nonna sa che a volte i fratelli piccoli esagerano in dispetti, per il desiderio di essere notati da quei super eroi dei fratelli grandi. E quindi lascia stare, preferisce consolare quel fagottino deluso. La lotta riprende dopo poco, come se niente fosse stato. Intanto qualcuno, in un fitness notturno, cerca di mettere a posto i giocattoli del pomeriggio: piste, animali gommosi appiccicati alle piante ornamentali, alle vetrine, ai panchetti….Finché la nonna annuncia che bisogna andare a dormire! Si spenge la luce, resta la lucina tenue della televisione per vedere la fine del cartone. Poi si spenge tutto e la nonna in mezzo ai due in pigiama comincia la sua funzione notturna. “Nonna la storia!!” “Quale volete?” “Quella del cavaliere!” “Quella del pilota di macchine!” “No! Quella dei pirati di Castagneto!” “NOOOOO quella delle corse sulle strade sterrate!” “OK Ok fa la nonna, ne raccontiamo una che parla di tutto, va bene?” “Siii una storia con i cavalieri, i pirati, le auto da corsa …e la stellina con quattro punte ti ricordi nonna?”

La nonna racconta…..alla fine una serie di sbadigli da sinistra e da destra. Poi, inaspettatamente, silenzio.

A destra un profilo rotondo, due gotine piene e un nasino piccino piccino, due ciglia lunghe distese su occhi marroni addormentati, a sinistra un profilo delicato, ciglia lunghe su occhi verdi intensi e un riccio biondo sulla fronte che sta provando a diventare grande. La nonna si ricorda quando anche lui aveva gotine tonde tonde e sembra proprio solo ieri. Fa un po’ di conti….con un po’ di fortuna forse ce la farà a vederli grandi.

E non dovranno esserci favole che non ha detto

Le parole della piccola Carla

Le parole che non ti ho detto – di Carla Faggi

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Cara nonna, ero bambina e non sapevo che avrei potuto dirti che non mi piacevi, che ti sentivo nemica, spiona, che raccontavi al babbo la sera tutto quello che poteva essere successo di non bellissimo, un mio errore, qualcosa di non fatto, perché potesse brontolarmi.

Ma il mio babbo non mi brontolava mai. Stava zitto.

Avrei potuto dirti cara nonna che non sopportavo i tuoi raffronti con la cugina Sonia che per te era più brava, più buona, più tutto.

Non te lo dicevo perché sentivo che non mi volevi bene e quindi non mi avresti ascoltata. Eri l’unica nonna che avevo ma avrei voluto non averti.

Quando sei morta sono rimasta male e muta. Non lo dicevo neppure a me stessa quello che non ti avevo detto.

Ora che non mi sento più in colpa per i miei pensieri e posso in gran segreto dirtelo, ecco te lo dico:- peccato, nonna, abbiamo perso un’occasione, potevamo volerci bene.

Meglio il silenzio di Anna

PAROLE NON DETTE – di Anna Meli

Photo by Taryn Elliott on Pexels.com

           Le parole non dette rimangono in gola, soprattutto quelle amare che vorrebbero uscire spinte dal risentimento, dalla rabbia e rimangono sospese  vinte dalla ragione e dal buon senso.

            Tornata la calma e la lucidità rimane una sensazione di malessere, di dolore che pian piano si affievolisce fino a perdersi in un’eco lontana che però rimane viva nella memoria in modo indelebile.

            Quante parole avrei voluto dire  di fronte a quel volto addolorato e spento, a quelle mascelle serrate, a quell’espressione di sconfitta non accettata?…e i ragazzi, cosa pensavano, quali parole erano nascoste nella loro mente bloccate da una situazione che in fondo non riuscivano a comprendere?

            Soffrivo e non capivo. Le parole, tante parole, avrei voluto dire, ma mi rimasero in gola quasi a strozzarmi. Solo una domanda sembrò venir fuori ma priva di espressione:- perché?

            Non ci fu risposta

            E poi…tornò il sereno 

Oggi tante parole, magari legate ad altri pensieri tengo dentro di me e sono come fiori che non riescono a sbocciare; di una cosa però sono convinta, in fondo non tutto può essere detto, a volte meglio tacere.

Parole non dette di Simone

Le cose che non ti ho detto – di Simone Bellini

Trovami nei miei pensieri,

scardina la cassaforte dove sono racchiusi

aiutami a liberarli

a dare voce e forza,

maltrattali affinchè, irriverenti

esplodano costringendo i tuoi

a contrastarli con veemenza

in una guerra liberatoria,

cattiva se vuoi, ma vera!

Sarà dura, spietata

ma appagante nella sua verità.

Una nuova vita rinasce

Felice e sincera

Troviamoci di nuovo.

Parole vive non dette di Rossella

Le cose che non ti ho detto – di Rossella Gallori

Siediti, togliti il rossetto, metti le pantofole, levati gli orecchini, guardami, parliamo tu ed io, non della casa venduta per ripicca, non di quei due che tornano troppo tardi, non di come rimediare pranzo e cena, non di che fine faremo…

Parliamo di Lui: quanto lo hai amato davvero?

Era la scappatoia del 38?

Era soltanto: bello, maturo e ti piaceva?

Perché poi me lo hai ceduto, così senza lottare, quando era più debole, più malato, più stanco.

Hai coltivato, il ricordo di lui pur di togliermi da te?

Lavoravi, lavoravi, per noi, per te, per me?

Domande, domande, ho solo domande per te, tu mio saccone da boxe, tu non ti scansi, nemmeno ora, io pugile senza categoria, tu ring senza arbitro.

Avevo altre  persone a cui non ho detto quello che veramente avrei dovuto dire, chiedere, con calma, iniziando con: senti palle, io…

Ho scelto silenzi rari, profondi, bolle d’ aria rimaste nello stomaco, silenzio, uguale paura.

Paura di non saperlo dire

Paura della risposta.

Paura di non saper portare avanti un dialogo

Paura che tanto tutti sono meglio di me

Paura di esser sciacquina  ancora una volta: poca istruzione, poco fine, poco bella, una commessina di quattordici anni

Paura di sentir dire: eppure sembra, sembra, non sembra proprio nulla, so che qui su questa minchia di  quaderno non ho detto la verità, per PAURA…

Se poi non mi vogliono più?

Se mi vogliono cambiare cuore e cervello?

Se mi guardano solo fuori?

E se…….Mi dimenticano sulla panca di San Luca vecchio, come quella volta mamma!

Mamma, mamma ritorni tu, che mi hai regalato l’ amore della tua vita, per farlo diventare solo mio, tu che hai coltivato una pianta senza nome, convinta che tra tanti fiori belli ed eleganti, sarei sopravvissuta, come te.

Forse lasciarmi li sulla panca di quell’ ospedale piattoloso,  sarebbe stata una ideona, forse sarei stata più felice? Non rispondi? Comunque te l’ ho detto ora, ma tu lo sapevi già, come sempre mamma?!!

Lucia che non ha mai detto

Mio padre a 91 anni – di Lucia Bettoni



Non ti ho mai detto niente
Non ti ho mai fatto partecipe
Cosa sai della mia vita?
Cosa sai dei miei dolori?
Cosa sai dei miei passi, dei miei amori, di come io sono dentro?
Cosa sai della mia forza, del mio coraggio, della mia voglia di una vita senza catene?

Non ti ho mai detto niente
Non ti ho mai detto ti voglio bene
                    E poi
Non ho più voluto neppure toccarti

Ecco, voglio dirti con tutta la rabbia e la forza che ho dentro
                     Voglio dirti
Ti assomiglio babbo
Ti assomiglio
Ti assomiglio

Voglio dirti che ho sentito tutte le parole non dette
Voglio dirti grazie
Grazie di non  aver mai dubitato di me
Di non aver mai dubitato della mia presenza sempre e comunque
Di non aver mai smesso di pensare che io fossi la tua brava figlia
anche quando distruggevo tutti i tuoi sogni
anche quando andavo oltre ogni limite
anche quando ti lasciavo con il cuore a pezzi e la mia vita era così lontana dalla tua
Non ti ho mai detto grazie
                 E allora
Grazie per avermi sempre salvata
Di non avermi mai condannata
Di essere l’unica forza che nel profondo mi ha salvato la vita
                        Grazie
                Ti voglio bene

Certe cose mai dette di Stefania

Le cose che proprio non ho mai detto – di Stefania Bonanni

Per cogliere l’occasione che non ho colto a suo tempo, quando non ho parlato di te. Di te di cui potrei parlare per giorni, con tutti, ma non con te.

Con gli altri potrei parlare anche di cose privatissime, non ci sono retroscena.

Con te, fossi proprio onestissima, dovrei parlare dei motivi per i quali a volte la tua presenza mi infastidisce. Perché questa e’ la verità.

Non sopporto piu’:

– i calzini lasciati sotto i tavoli,

– il dentifricio strizzato a metà tubetto,

– la coperta tutta dalla tua parte, nel letto, ed io che resto con il sedere scoperto;

– il tegame dove cuoce la cena, tu che arrivi e mescoli (ed io che ero lì accanto, ci fosse stato da girare….);

– la pasta che e’ sempre tutta al dente e tu che la lasci cuocere, cuocere, cuocere…; e quando poi siamo stati a cena dalla Patrizia ed hai detto che la pasta era cotta alla perfezione,…….  ed era cruda;

– tu che come carichi la lavastoviglie tu non lo fa nessuno, mentre io riesco a mettere poca roba (ma come siamo sopravvissuti nei 40 anni precedenti, quelli nei quali non sapevi neanche dove fosse, la lavastoviglie?);

– quando , per evitare che io mi ciondoli dal balcone, tendi tu i panni bagnati, e come li metti proprio non mi piace ma non lo posso dire perché altrimenti ti lamenti che non mi vada bene nulla;

– quando parlo e dici “eh? Eh?” E parlo parlo e non mi senti (sei sordo);

– quando mi hai proibito di dire che sei sordo;

– quando fai piu’ confusione dei nipoti e giochi a pallone in salotto;

– quando dici di me che sono bugiarda e non capisci che le mie storie sono solo un po’ amplificate, tipo metaverso;

– quando il giovedì dimentichi di comprare la settimana enigmistica;

– quando sei appiccicoso. Non mi fai leggere, né sentire la televisione, ed infatti noi non si riesce mai a capire neanche la fine dei gialli, e si rimane sempre a seguire ognuno la propria versione, assolutamente mai la stessa per tutti e due.

    Per il resto, tutto bene.

Incontro del 13 aprile 2023 al Teatro Comunale di Antella: “le cose che non ti ho detto”

con Cecilia Trinci

Foto di Lucia Bettoni, Rossella Gallori, Cecilia Trinci

Sono tante le “parole non dette”: per timore di non essere compresi, per paura di perdere un ruolo nel cuore degli altri, per pudore dei propri sentimenti, per eccessivo rispetto, per incapacità di cogliere l’attimo fuggente, per non saper riconoscere qualcosa di importante e irripetibile, per distrazione, per mancanza di vocaboli adeguati, perché il tempo fugge via…..

Scriviamo insieme delle occasioni perdute, dei vuoti di parole, dei silenzi migliori delle parole sbagliate.

Rileggiamo poi tre versioni di uno stesso argomento di Carla, mettendo in luce le scelte diverse, le parole non dette, l’evoluzione della sua sicurezza.

Leggiamo anche le due poesie finali del film visto in questi giorni: “Le cose che non ti ho detto”

Non dire che a nulla vale la lotta,
che il travaglio e le ferite sono vane,
che non verrà meno il nemico né fallirà,
che le cose come sono, resteranno.

[…]

Perché mentre le onde stanche si infrangono
senza guadagnare un faticoso palmo,
da lungi, tra fiumi avanzando e insenature,
giunge silenzioso, tutto allagando, il mare.

E quando il giorno viene,
non dalle sole finestre a levante entra la luce.
Di fronte sale lento, così lento, il sole.
Ma là ad occidente, guarda, la terra già si irradia!

All’inizio pensavo di poterti salvare,
ma alla fine quello che posso fare è onorarti.
Mia madre, prima tra le donne,
mio calore e mio conforto,
mia certezza, mio orgoglio,
sei l’unica che voglio compiacere,
l’unica di cui voglio l’applauso.

Mio padre, primo tra gli uomini,
mia guida e mio giudice,
l’uomo che so che diventerò.
Siete diventati grandi, ora,
e siete ancora davanti a me, come lo sarete sempre,
per sempre laggiù in fondo alla strada.

Perdonatemi se avrò bisogno che siate forti per sempre,
perdonatemi se ho paura della vostra infelicità.
Se voi soffrite, io soffrirò,
se voi resistete, io resisterò.
Prendetemi per mano, e facciamo la vecchia passeggiata un’ultima volta.
Poi lasciatemi andare.

Una frase nota, scelta a caso, ci rivela un dono di Patrizia

Ti leggo nel pensiero (De Gregori) – di Patrizia Fusi

Nello piccolo spaccio del campeggio un bel giovane dietro un bancone sta servendo delle persone, scambiando battute spiritose con alcuni presenti, mentre i clienti continuano a fare la spesa.

Entra una giovane donna anche lei partecipa a questo scambio di frasi. Ci sono anche io nel negozio, sto osservando con curiosità il tutto, mi accorgo che gli occhi del giovane cambiano quando incrociano quelli dell’ultima arrivata e anche gli occhi di lei esprimono lo stesso sentimento.

Nei giorni successivi si venne a sapere di questa passione fra i due.

Non riesco a leggere nel pensiero ma negli occhi alcune volte sì.

Una frase nota, scelta a caso, scopre i pensieri di Sandra

Ho rivisto i miei monti (da “I Promessi Sposi” di A. Manzoni) – di Sandra Conticini

Sono bastati pochi minuti per rivedere indietro. Tutto è tornato a galla perchè un evento negativo ti ritira  fuori il film della tua vita. Ecco che rivedo tutte le montagne scalate nel tempo, alcune sono colline ma tante sono montagne altissime, che  a distanza di anni non ce la farei ad arrampicarmi di nuovo.

Pensi: – ma se fossimo stati in due,  uno scendeva e l’altro stava su, oppure sapendo che non ero sola, non si sarebbero avventurati in questa storia.

Tutte le volte la stessa storia.

Anche quando gli eventi sono positivi viene da pensare come sarebbe stato bello condividere le soddisfazioni con la persona cara  che aveva gli stessi tuoi interessi.  Poi faccio finta di dimenticare, ma ogni volta riemerge la scontentezza.

Per non parlare delle decisioni da prendere su qualunque argomento.

Credo che la decisione presa sia quella giusta, ma non sono mai troppo convinta. 

Sono anni che vado avanti così  e chissà per quanto ancora ce la farò a proseguire.

Dubbi e paure alle quali è difficile dare una risposta.

Una frase nota, scelta a caso, svela un lato di Tina

A muso duro (canzone di P. Bertoli) – di Tina Conti

foto di Lucia Bettoni

Faticoso, il conflitto non sempre mi ha dato i risultati che speravo.

Preferisco lasciare decantare un po’ le situazioni , ho la sensazione di avere una visione  più obiettiva, ma certamente  una risposta decisa  a volte è necessaria.

A muso duro, mi vedo quando difendo qualcuno da soprusi o ingiustizie.

Ho lottato per negligenze, superficialità che danneggiavano e umiliavano qualcuno.

Mi sono sentita forte nel difendere e proteggere persone più deboli.

Nel lavoro mi sono esposta per ottenere diritti e rispetto, ottenendo giusta considerazione  non solo per me ma anche per tutte le persone coinvolte.

Sono consapevole che esporsi e affrontare i conflitti crea tensione e disagio, aiuta altresì a sentirsi utili, partecipativi e cittadini della terra.

Una frase nota, scelta per caso, mette in luce Carla

ASCOLTA L’INFINITO (canzone di F. Mannoia) – di Carla Faggi

Voleva fuggire dal paesino natio, lo percepiva impiccione, chiacchierone, puritano.

Le era stretto, voleva volare, voleva ascoltare l’infinito.

Quindi interruppe l’Università, lasciò il fidanzato pratese e partì per Parigi presso una famiglia “au pair”.

Gare de Lyon: si sentì una provincialotta piccola piccola, piena di paura iniziò la sua escursione verso l’infinito.

Fu tutto bello ed emozionante, nuove amicizie, esperienze inimmaginabili. Fece tutto quello che era da fare.

Passeggiava nei grandi boulevards ed a voce alta gridava come a volerselo ricordare: je suis à Paris!

Si, à Paris, una provincialotta  a Paris!

Poi, tre mesi dopo rientrò.

Al paese aveva acquistato molti punti, la guardavano con occhi diversi, ma sempre provincialotta era.

Quell’angoscia dentro, quella fragilità, quella voglia di ascoltare l’infinito, c’era sempre; ed ascoltare l’infinito allora non era bello, era…infinitamente melanconico.

Poi sono passati gli anni, ed ascolto dopo ascolto la musica si è modificata, si è modificato il rapporto con il paesino, ha amato quello che le ha dato, ha accettato quello che era. È stato faticoso ma l’infinito ora lo sa ascoltare meglio.

Una frase nota, scelta a caso, illumina Stefania

Tu parlavi una lingua meravigliosa (canzone di L. Dalla) – di Stefania Bonanni

Photo by ALEXGTACAR on Pexels.com

Ed io non ti capivo. Ti ascoltavo, mi perdevo, ti guardavo negli occhi, volavo, ma non ti capivo. Rimanevo sempre a metà altezza. Smettevo di sbattere le ali, e picchiavo rovinosamente il sedere per terra.

Le tue erano parole meravigliose, pronunciate con calore e gentilezza. Parole che scoppiavano nei pensieri come petardi per le feste, lasciando scie di colori, oro ed argento, nella memoria. Ma non le capivo, le tue parole. Non credevo alla loro bellezza, non mi sembrava possibile che le scegliessi con tutta quella cura, per me. Avevi costruito un mondo di attimi e parole, accurato, preparato, che mi stava addosso come un vestito su misura. Era tutto troppo. Parlavi una lingua meravigliosa, addirittura scrivesti pagine e pagine di parole magiche. Ed io che non capivo, credetti stessi preparando una ragnatela.

Tutte quelle pagine le feci a pezzetti, e poi tutti insieme li feci volare dal finestrino dell’auto in corsa.

Una frase nota, scelta a caso, risveglia un ricordo di Rossella

La sera dei miracoli (canzone di L. Dalla) – di Rossella Gallori

Ritratto di Rossella Gallori, modella del pittore Silvio Loffredo nel 1969

Che poi era pomeriggio già un po’ buio.

Lei era lì: riccioli neri, labbra rosse, lo sguardo altrove, sempre nella stessa direzione, cioè, non importa dove!

Io lì, l’autoambulanza, aveva spento la sirena, via Cesare Guasti n.10.

Il medico aveva fatto i gradini di pietra serena due a due, arrivò forse con il fiatone,  sulla porta della camera grande aveva chiesto: ma quanti anni ha?

Lei rispose diciotto, dimenticando che ne avevo già diciannove.

Nel dormiveglia  confuso, ascoltavo, l’ avrei uccisa, pur amandola, l’ avrei strozzata, per farmi guardare almeno un’ ultima volta negli occhi.

Quante ne ha prese?

Mia madre rispose: troppe!

Troppe quante?

Tra il vomito  ed il dolore ricordo che pensai: ora se ne vanno al bar e mi lasciano qui, a morire per davvero! Perché per finta ci ero  riuscita quasi.

Suonarono alla porta, la mamma si aggiustò il vestito bianco e blu ed andò ad aprire.

Restai sola con il medico, che accarezzò i miei lunghi capelli color mogano, lei diceva castani rossicci, ma erano moganooooo.

Mi domandò il perché  di quel gesto, inserendo l’ago nel braccio, ricordo solo che forse non risposi, che le lenzuola erano azzurre, che smisi di vomitare,  che disse a mia madre: meglio non portarla in ospedale.

Lei cucinò come sempre, cucinava di più nei momenti difficili, un po’ come faccio io, adesso.

Nel sonno/ risveglio la sentii parlare al telefono, la sua voce pacata, ripeteva: meglio morta…che.

Ma forse non è così, sono passate troppe vite.

Mi portò acqua e zucchero, il suo rimedio per ogni male, per tutto o quasi.

Poi cercò di rifarmi la treccia, era “ la notte dei miracoli” riuscì a farla e bene.

Almeno quella….

Una frase nota, pescata a caso, dedicata a Nadia

LONTANO, LONTANO NEL TEMPO… (canzone di Luigi Tenco) – di Nadia Peruzzi


Toccando il foglietto scelto fra i tanti e girandolo per le mani, la sensazione è quella di dover fare i conti con un cambio di prospettiva.
Le sonorità e la melodia di una bellissima canzone oggi suonano come un bilancio.
A me fa questo effetto. Quando si ha più passato dietro le spalle che futuro davanti, un po’ funziona così.
La cantavo la canzone da cui questa frase è tratta. La cantavo anche se ho sempre amato molto di più l’altra che diceva: “ vedrai, vedrai che cambierà. Non so dirti come e quando,  ma un bel giorno cambierà!”
Provavo emozioni forti con tutte e due, ma con la seconda senz’altro di più.
Lontano, lontano nel tempo è nostalgia che prende la gola.
Lontano, lontano nel tempo c’era quel clima bello e quel senso comune diffuso che faceva agire insieme e pensare che tutto fosse possibile, e che anche toccare il cielo con un dito non fosse solo una frasetta proverbiale ma stare dentro al regno del cambiamento possibile.
Se mi giro indietro, pur col tempo che corre vertiginosamente, quegli anni lontani restano un punto fermo. Importante e impossibile da mettere nel cassetto di fondo anche di una storia personale. Eppure fin troppo spesso capita che se provo a raccontarli vivo la solitudine di non essere compresa.  Troppo vorticoso il cambiamento che c’è stato, troppa la lontananza da quella stagione, di cui poco è rimasto.
Lontano, lontano nel tempo, sembra l’inizio di una storia da raccontare ai nipoti e mentre lo fai ti pare che parli di giurassico anche se riguarda vite ed eventi di una storia di 60 anni fa o giù di lì.
Lontano, lontano nel tempo lo dirò domani iniziando una conversazione con i ragazzi di una quinta elementare a Grassina.
Sarà dura cercare di raccontare cosa sia stato il fascismo, la Resistenza e la Costituzione, tanto più che il programma della scuola primaria si ferma in quinta ai tempi degli antichi romani.
Eppure occorre sempre provarci. Mettercela tutta per gettare qualche seme che si spera germoglierà in qualche forma.
Lontano, lontano nel tempo è memoria che non deve e non può scivolare via come se fosse ormai ingombrante, inutile fardello da poter rimuovere.
Perché in fondo , anche se io non è detto che vi possa assistere, ” vedrai, vedrai il mondo cambierà. Non so dire come o quando, ma un bel giorno cambierà!”
Non può andare avanti o finire così come si sta srotolando la storia in questa fase.
C’è sempre una speranza e una possibilità. A quella mi aggrappo mentre detesto e compatisco quelli che hanno solo il Piano A e non vedono il resto, non hanno sogni e per questo si sono incancreniti sull’idea della “fine della Storia” che anche a leggerla si sente che era ed è una vera e colossale sciocchezza.
Si c’è sempre una speranza e forse anche più di una possibilità di riuscire a rendere possibile anche l’impossibile.
Non ho mai creduto a chi ci racconta che gli esseri umani hanno dentro di sé una cattiveria innata. Nasciamo tutti allo stesso modo, nudi e teneramente puri. I sistemi e i contesti cambiano in peggio o in meglio lo stato di natura.
Chi lo ha stabilito a priori, che un mondo di cooperazione e coesistenza pacifica fra diversi sia nel regno di impossibile??