Invento una storia, quasi… – di Rossella Gallori

Un prosciutto dondolava dalla trave, un salame faceva ombra sul grosso pane affettato, entrarono spingendosi, bagnati, accaldati, curiosi.
Qualcuno accese qualcosa, altri cercarono di pulirsi le scarpe piene di fango, era stata una via crucis allegra, piena di: come stai? Cosa fai? Non sei cambiata! Sei sempre magro! Sei ancora più bella!
Tra il vero ed il falso si erano rivisti volentieri, sette più uno, come allora, o quasi …e come allora avevano deciso per una casa isolata, vecchia di anni, di storia, sembrava proprio la stessa casa, quella delle feste, dei “lenti”, delle candele grondanti cera, delle bottiglie che giravano per terra, per quelle che saltavano da una bocca all’ altra, delle mani calde, delle cosce fredde, anni lontani che sembravano, per magia, quasi ieri.
Ma Sergio dove è?
Solo lui chiese di lui, gli altri fingevano una indifferenza silenziosa e tagliente, costruita su anni di lontananza voluta.
Chi parlava di ballo, che da hobbies era diventato lavoro, chi di case, che sembravano pezzi di Monopoli, da vendere e comprare, senza scrupoli.
Daniela accese il fuoco, un fuoco impietoso che rivelò pieghe amare, rughe seminascoste.
Le giacche bagnate sembravano fantasmi, appese a vecchi ganci arrugginiti dalla foggia pretenziosa.
Quel fuoco sciolse le parole, gli arti.
Anna voleva fare una torta, sperava di trovare il necessario nella dispensa dal colore indefinito, frutto di mani inesperte e pennelli vecchi, li cercava senza voglia, guardando gli altri dall’ alto del suo metro e ottanta, famoso ed imponente oggi, come ieri.
Gabriele era in cerca di una specie di bagno, di un qualcosa che fosse cesso e specchio, detestava essere in disordine, senza gradi, senza divisa, con la prostata alla porta, era solo un uomo stanco a fine corsa : caserme, caserme, silenzio suonato e gridato, sveglia subita…sempre.
Ma quante stanze aveva quella casa? Quante finestre? Quanti lampadari “secchi di ferro sbattuto” Quante sedie impagliate, zoppe di vecchiaia? Quanti angoli polverosi? Quanti letti dalle coperte sbiadite?
Stefano vacillò, con la mano destra tastò il suo polso sinistro, stentò a trovarlo, quasi avesse tre mani, i battiti sembravano sparire.
Sandro accorse, colse l’ inquietudine di quelle labbra violacee, di quelle gambe tremanti, della goccia di sudore che illuminava la fronte dell’ amico, molto caro, tutto lo riportò in corsia, sembrava udire ancora le sirene, le notti in solitudine affollata.
Calmati! Calmati! Portatemi dell’acqua!
Gridò al nulla, cercando di rassicurarlo.
Stefano non riusciva a parlare, con gli occhi spalancati ed atterrito fissava il soppalco semibuio, nascosto ai più.
Da un punto ben preciso di un soffitto a vela ciondolava una grossa fune, tre centimetri di macabro diametro sorreggevano un corpo privo di sensi, il capo color cenere di Sergio ciondolava da un lato, bolle di schiuma fuoriuscivano dalla bocca spalancata, i pantaloni consumati riempiti in modo anomalo decretavano una morte recente.
Si guardarono l’un l’ altro, con uno stupore che sapeva solo di tragedia.
Cadde un tronco dal camino, il fuoco si stava spengendo, tuonava, qualcuno gridò, conati di vomito incorniciarono le poche lacrime.
Sergio brillò ancora una volta, per la sua “ assenza” .
Pioveva terra mista a sabbia una voce crudele intonò: C’ ERA UN RAGAZZO CHE COME ME, AMAVA I BEATLES ED I ROLLING STONE ……
Storia bellissima, con un inizio semiblasfemo: “un prosciutto pendeva dalla trave” e un galoppare verso un finale inatteso, ben raccontato. Tanti gli accostamenti stupendi: dal salame che fa ombra sul pane, a quella “indifferenza silenziosa e tagliente, costruita su anni di lontananza voluta” che riassume tutto un lungo antefatto. Il crudo “tre centimetri di macabro diametro sorreggevano un corpo privo di sensi” ci sbatte contro il finale, dopo aver attraversato i “secchi di ferro sbattuto”, la “dispensa dal colore indefinito, frutto di mani inesperte e pennelli vecchi” (chi non ne ha avuto mai esperienza?) delle “mani calde, delle cosce fredde” delle lontane “feste in casa” di tutti noi , fino alla macabra eleganza della perifrasi dei “pantaloni consumati riempiti in modo anomalo decretavano una morte recente”. Un piccolo capolavoro che riassume il passato e il presente, con i lampi sempre impietosi ma certamente acuti e sinceri di Rossella. In una parola unica: CHAPEAU
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Lo si potrebbe paragonare ai trionfi della morte medioevali,qui la morte è regina,dappertutto,magistrali quelle “ cosce fredde”,in contrasto con le mani calde,e l’attesa scena finale,dove la morte ottiene il suo trionfo.Chi ha letto Allan Poe sa cosa voglio dire.Rossella,sei fuori quota!😀👍
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Fortissima e in gran vena…si parte con i salumi appesi per scivolare fra passato e presente, rughe nascoste che nn tardano a venir fuori e dal tono quasi scherzoso dell’inizio si precipita nel tragico finale…C’era un ragazzo..Sergio che in diversi si fa morire…poverino..
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