STORIA DI SERGIO – di Nadia Peruzzi

I biglietti furono recapitati tutti lo stesso giorno.
Era il 10 ottobre 2022.
Sandro vide spuntare il suo in mezzo al mucchio delle ricette che doveva compilare per i suoi pazienti.
Anna, lo trovò infilato sotto uno dei vasetti di fiori che abbellivano i tavoli del ristorante dove lavorava come cuoca.
Rita lo trovò in una delle scarpe che usava per ballare il tango.
Stefano, invece, semplicemente dentro la cassetta della posta per l’hotel di cui era il proprietario. Daniela alla reception del suo agriturismo, infilato in uno dei vasi di orchidee che abbellivano il bancone.
Gabriele in una scatola di proiettili che gli erano stati appena consegnati insieme alla 44 magnum che usava al poligono.
Luciano in uno dei suoi depliants di ville esclusive per clienti danarosi e pretenziosi.
Le istruzioni erano precise e ognuno di loro, pur controvoglia, sapeva che non poteva non raccogliere quell’invito che suonava un po’ come un ordine.
Come invito nulla da dire. Scritto bene e con la calligrafia giusta . Se la ricordavano tonda e svolazzante tendente verso l’alto. Adesso sembrò a tutti un po’ appesantita, visto che le lettere avevano un andamento che puntava verso il basso.
La firma li colse, ciascuno ai loro posti, di sorpresa. E dire sorpresa forse era dir poco.
Erano anni che avevano perso le tracce di Sergio. Per un po’ si erano sentiti fra loro, proprio per capire se di lui qualcuno avesse notizie.
Le ultime, lontanissime nel tempo, lo collocavano su una piattaforma petrolifera nello Shatt el Arab a due passi dallo stretto di Ormuz. Poi più niente.
Era sempre stato strano, come tipo. Ad essere onesti fino in fondo con loro stessi, spesso lo avevano tenuto fuori dai loro giri.
Lo consideravano un asociale, poco divertente, ai tempi del liceo e il loro gruppo aveva man mano preso le distanze da lui e lui da loro.
In qualche modo, un po’tutti leggendo l’invito avevano sentito scattare come una necessità di mea culpa collettivo .
La curiosità fece il resto. Si organizzarono in poco tempo per seguire le istruzioni.
A Pontassieve, prima tappa, si fermarono al Bar Ruggini per colazione e lì dovettero aspettare un bel po’ Rita che non arrivava.
Si mossero verso San Francesco che erano quasi le 10 di mattina. Decisero di lasciare le macchine di alcuni per andare solo con tre.
La strada che saliva verso Pelago era nebbiosa e scivolosa per l’acqua che cadeva da ore.
Si dovettero fermare, come terza e ultima sosta, senza capire il perché, nei pressi di un cippo su cui lettere sbiadite ricordavano tre partigiani giovanissimi trucidati dai nazisti.
Da lì poi nessuna sosta fino alla piazzola dove dovevano lasciare le macchine. Da lì si poteva proseguire solo a piedi.
Il bosco stillava acqua da ogni foglia. Anche gli aghi di pino sembravano versare lacrime silenziose.
Quella che li aveva accesi come un’avventura cominciava a preoccuparli. Si vedeva nei loro volti e nei loro sguardi. Più interrogativi che certezze trasparivano in ogni gesto di quello strano gruppo che in silenzio saliva, saliva, saliva verso il casolare decrepito e fatiscente che era la loro meta.
Forse ognuno di loro pensava “ma cosa cazzo ci siamo venuti a fare qui e con questo tempo di merda!”, ma nessuno osò farne partecipi gli altri . Nessuno sciogliete le righe, ma avanti in salita e con fatica.
Avanti fino a quel quasi rudere.
Da fuori, tutto sommato, era meno peggio di come sembrava da lontano. Si vedeva un rassicurante bagliore. Veniva dal camino, se ne accorsero entrando. Doveva essere acceso già da un po’ e accanto aveva una gran provvista di legna da ardere. Non avrebbero patito il freddo e l’umidità, almeno in quella stanza .
Si era fatta sera . L’oscurità la faceva da padrona se si eccettua la luce che proveniva dal camino.
Provarono ad accendere la luce ma gli interruttori non funzionavano. Le loro ombre si proiettavano lunghe e un po’ inquietanti sulle pareti spoglie e piene di umidità e muffa. Chiamarono Sergio senza ottenere risposta. Si guardarono con occhi stanchi e spiritati. Cominciavano ad averne abbastanza di quella situazione.
Rita, la ballerina, scoprì di avere i piedi tutti piagati e disse forte:”” da qui non mi muovo nemmeno a cannonate, se Sergio non mi trova scarpe adatte con cui tornare indietro!”
Gabriele decise di ispezionare le altre stanze. Lo fece impugnando la sua 44 magnum nuova di zecca, all’insegna del “non si sa mai”.
Anna e Daniela, dopo aver acceso le candele, disposte in gran numero sul tavolo davanti al camino, si misero a cucinare per ingannare l’attesa e impressionate per la gran quantità di cibo che avevano trovato nella dispensa.
Ogni tanto si guardavano smarrite e scuotevano la testa .
Il sottinteso inespresso :” Cosa ci facciamo qui e perché? In fondo, a noi 7, Sergio nemmeno ci stava simpatico, anzi!”.
La grande tavola fu imbandita in un attimo. Anna era una cuoca davvero eccezionale.
Chiamarono gli altri che intanto continuavano a cercare Sergio, dentro e fuori casa.
Su tutte era la voce di Sandro che sentivano arrivare da fuori. Continuava ad urlare al bosco il nome di Sergio. Quasi metallica mentre si rifrangeva sui tronchi degli alberi, mentre si stava trasformando in mosaici di eco.
Sergio non si trovava da nessuna parte.
Tutti rientrarono nella grande stanza e decisero di mettersi a cenare. Seduti attorno alla tavola imbandita come per una grande festa si accorsero che il vino mancava.
Gabriele si propose di andare in avanscoperta anche dei locali sotterranei.
“La cantina ve la trovo in un attimo! Chissà che vini ci saranno. Roba da leccarsi i baffi di sicuro!”. Disse.
Lasciò il suo posto e si perse nell’oscurità .
Le uniche luci oltre il bagliore che emanava dal camino erano quelle delle candele, ma servivano a malapena a dar luce tremolante a quella stanza enorme in cui si erano infine riuniti tutti.
L’urlo che sentirono arrivare dal basso li atterrì.
Un altro, più vicino, li fece girare tutti verso la porta che aveva inghiottito solo pochi minuti prima Gabriele.
Era lui, scarmigliato, con gli occhi fuori dalle orbite, coperto di ragnatele, senza bottiglie in mano e spaventato parecchio.
Non riusciva ad articolare parola.
“Se…Se…Sergio. . ho tr. . ho tr…ho trovato Sergio!”
Per arrivare a quelle poche parole gli ci era voluto un tempo che agli altri era sembrato infinito.
Si alzarono di scatto.
Ciascuno prese una candela e in fila indiana si misero dietro a Gabriele che faceva da apripista. Era così evidentemente sconvolto che ogni tanto, mentre scendeva le scale, era costretto a fermarsi appoggiandosi alla parete come per ritrovare l’equilibrio perduto.
Scesero parecchi scalini di una scala a chiocciola angusta e pericolosa.
Era resa viscida dall’umidità e dal muschio che in alcuni punti aveva fatto capolino su alcuni scalini.
Gabriele si fermò davanti ad una porta semi aperta.
Le bottiglie allineate erano visibili da quello spiraglio. Polvere e ragnatele le ricoprivano per la maggior parte.
Rimasero tutti a bocca aperta, quando Gabriele con un colpo spalancò la porta.
Proprio al centro della cantina videro una lapide anch’essa coperta di ragnatele. A mala pena si scorgevano la scritta e la foto che c’erano sopra.
La foto ritraeva Sergio, un Sergio di diversi anni più giovane di quanto non fossero loro adesso.
La scritta non ammetteva repliche.
Nato il 20 gennaio 1967. Morto il 10 ottobre 2002.
Si guardarono increduli. Visi spettrali si riflettevano, alla luce traballante delle candele, in altri che mettevano paura.
L’odore del vino stantio faceva tutt’uno con l’odore di muffa e morte che aleggiava su tutto e su tutti.
Daniela, Anna e Rita scapparono a gambe levate.
Gli altri risalirono dopo poco. Il silenzio la faceva da padrone in quella sala immensa e attorno alla tavola, che era rimasta ancora imbandita come l’avevano lasciata.
Un giovane biondo sui 25 anni, l’unica evidente novità.
Era seduto a capotavola e li guardava con aria fra il torvo e il divertito.
“Lo zio vi ha giocato un bel tiro, vero?.
Lo avevate estromesso dal vostro giro e man mano avevate fatto si che perdesse i contatti anche con tutti gli altri. A suo modo vi aveva voluto bene al tempo del liceo pur sentendosi tradito un po’ da tutti voi.
Ha finito per chiudersi in sé stesso e dopo il lavoro all’estero ha preso la decisione di ritirarsi quassù. Si sentiva decrepito come questo rudere, ma nel bosco aveva trovato una dimensione di pace e serenità che non immaginava assolutamente di poter trovare in alcun luogo della terra.
Amava anche i silenzi del bosco delle sue origini, non solo i suoi fruscii, e le sue sonorità.
Dopo gli anni dei deserti e di quelle immense gru che rumorosamente cercavano l’oro nero, qui, mi diceva, aveva trovato il suo oro vero. Oro verde per lo più. Al mutare delle stagioni le foglie diventavano ogni anno le sue pietre preziose, le uniche che avessero un valore inestimabile per lui.
Non aveva bisogno di altro.
E’ morto dove era nato e dove poi aveva deciso di tornare a vivere.
Qui ha voluto esser sepolto.
A me ha lasciato il compito di organizzare quanto avete vissuto in questi giorni.
La sorpresa per il biglietto e l’invito con la sua firma.
Gli interrogativi sul perché e il perché proprio ora, dopo così tanti anni.
Il viaggio dal tanto e troppo di ciascuno di voi, al niente in cui si era costretto a vivere lui.
Ha voluto mettervi di fronte ad un fatto compiuto e anche alla vostra coscienza.
A quanto mi ha raccontato nel corso dei suoi ultimi anni, nessuno di voi gli è mai stato veramente amico. Nessuno di voi del resto già all’epoca del liceo valeva granché. Soprattutto sul piano umano e dei sentimenti. Troppo presi da voi stessi e dalle vostre carriere, spesso già stabilite a tavolino dalle vostre famiglie.
Nessuno realmente libero di essere sé stesso e artefice vero delle proprie scelte.
Il biglietto che avete ricevuto doveva arrivarvi nel giorno esatto della sua morte, solo 20 anni dopo.
La tavola imbandita e opulenta rappresenta quello cui avete aspirato e le vostre anime vuote, capaci di accendersi solo con queste sceneggiate prive di sostanza e frutto di una sapiente regia.
Lo avete fatto sentire una nullità, messo ai margini, cari signori, ma era così intelligente da tessere la trama di una storia, anche a distanza e anche da morto, che vi ha imprigionati tutti e costretti a fare quello che lui voleva faceste.
Avete seguito le istruzioni di un morto e ci siete pure cascati come polli.
Eravate scatole vuote allora, la vita a seguirvi prima e guardarvi adesso, non vi ha migliorati.
Mio zio per come ho potuto conoscerlo, era un vero genio, generoso e pieno di umana pietà per tutto quello che incontrava sul suo cammino.
Avreste dovuto ascoltarlo mentre raccontava del suo bosco.
Già, ma cosa avreste potuto capire? Non siete all’altezza. SI vede dalle vostre espressioni da allocchi colti in fallo. E da chi? Da un morto da 20 anni! Poveretti! Di che brutta e povera lana siete fatti!”
Si alzò di colpo. Quello che doveva dire era detto.
Sbatté la porta con un colpo così forte da far tremare tutto.
Scomparve alla vista in un attimo. Le brume della sera erano diventate una spessa coltre di nebbia.
Attorno a loro udirono scricchiolii sinistri. A destra, poi a sinistra, poi ovunque.
Fu una pioggia di sassi a colpirli e seppellirli in un attimo, mentre il rudere si ripiegava su sé stesso.
Nessuno che potesse salvarli. Sergio lo avrebbero incontrato, forse, chissà dove e chissà come.
Storia ben composta, completa. Finale da film!!! E….. se tu avessi cominciato da “Erano anni che avevano perso le tracce di Sergio.”? Forse il pathos sarebbe stato anche maggiore. Continua (però) l’umore un po’ “in odore di vendetta” e si ha nostalgia dell’ironia ridente della nostra Nadia che sdrammatizzava il dolore…….
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Manca anche a me quella versione della Nadia…vediamo se il guizzo torna.Grazie Cecilia.
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Bello questo sapore di tragedia Shakespeariana,una nemesi rigorosa e meritata.Complimenti all’autrice,anche per il suo coraggioso epilogo!
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Bella questa rivisitazione di una nemesi molto greca e classica,meritata e grandiosa.Il biondo venticinquenne neo panni di un giudice infernale ,oltre le apparenze .Complimenti vivissimi all’autrice anche per il coraggio delle scelte!
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Scusate il doppio commento,il primo sembrava non l’avesse preso,allora ne ho fatto un altro,poi il primo invece l’aveva pubblicato.Misteri del digitale,comunque repetita iuvant!😂
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