Una frase nota, scelta a caso, illumina Stefania

Tu parlavi una lingua meravigliosa (canzone di L. Dalla) – di Stefania Bonanni

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Ed io non ti capivo. Ti ascoltavo, mi perdevo, ti guardavo negli occhi, volavo, ma non ti capivo. Rimanevo sempre a metà altezza. Smettevo di sbattere le ali, e picchiavo rovinosamente il sedere per terra.

Le tue erano parole meravigliose, pronunciate con calore e gentilezza. Parole che scoppiavano nei pensieri come petardi per le feste, lasciando scie di colori, oro ed argento, nella memoria. Ma non le capivo, le tue parole. Non credevo alla loro bellezza, non mi sembrava possibile che le scegliessi con tutta quella cura, per me. Avevi costruito un mondo di attimi e parole, accurato, preparato, che mi stava addosso come un vestito su misura. Era tutto troppo. Parlavi una lingua meravigliosa, addirittura scrivesti pagine e pagine di parole magiche. Ed io che non capivo, credetti stessi preparando una ragnatela.

Tutte quelle pagine le feci a pezzetti, e poi tutti insieme li feci volare dal finestrino dell’auto in corsa.

Una frase nota, scelta a caso, risveglia un ricordo di Rossella

La sera dei miracoli (canzone di L. Dalla) – di Rossella Gallori

Ritratto di Rossella Gallori, modella del pittore Silvio Loffredo nel 1969

Che poi era pomeriggio già un po’ buio.

Lei era lì: riccioli neri, labbra rosse, lo sguardo altrove, sempre nella stessa direzione, cioè, non importa dove!

Io lì, l’autoambulanza, aveva spento la sirena, via Cesare Guasti n.10.

Il medico aveva fatto i gradini di pietra serena due a due, arrivò forse con il fiatone,  sulla porta della camera grande aveva chiesto: ma quanti anni ha?

Lei rispose diciotto, dimenticando che ne avevo già diciannove.

Nel dormiveglia  confuso, ascoltavo, l’ avrei uccisa, pur amandola, l’ avrei strozzata, per farmi guardare almeno un’ ultima volta negli occhi.

Quante ne ha prese?

Mia madre rispose: troppe!

Troppe quante?

Tra il vomito  ed il dolore ricordo che pensai: ora se ne vanno al bar e mi lasciano qui, a morire per davvero! Perché per finta ci ero  riuscita quasi.

Suonarono alla porta, la mamma si aggiustò il vestito bianco e blu ed andò ad aprire.

Restai sola con il medico, che accarezzò i miei lunghi capelli color mogano, lei diceva castani rossicci, ma erano moganooooo.

Mi domandò il perché  di quel gesto, inserendo l’ago nel braccio, ricordo solo che forse non risposi, che le lenzuola erano azzurre, che smisi di vomitare,  che disse a mia madre: meglio non portarla in ospedale.

Lei cucinò come sempre, cucinava di più nei momenti difficili, un po’ come faccio io, adesso.

Nel sonno/ risveglio la sentii parlare al telefono, la sua voce pacata, ripeteva: meglio morta…che.

Ma forse non è così, sono passate troppe vite.

Mi portò acqua e zucchero, il suo rimedio per ogni male, per tutto o quasi.

Poi cercò di rifarmi la treccia, era “ la notte dei miracoli” riuscì a farla e bene.

Almeno quella….