Sergio incontra Facebook nel racconto di Sandra

La trovata di Sergio – di Sandra Conticini

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Sergio andò su Facebook  e decise di runire tutti i compagni di liceo, o almeno quelli che trovava. La ricerca non fu facile, qualcuno sembrava sparito dalla faccia della terra, qualcuno non era sui social, altri non rispondevano al telefono, alla fine decise che al ritrovo sarebbero stati soltanto otto. Siccome erano anni che non si vedevano Sergio decise che per riconoscersi dovevano presentarsi tutti con una girandola con i colori della pace.

I primi tre si sarebbero ritrovati al parcheggio dei Ponti a Bagno a Ripoli e ci sarebbe stata Rita, che tutti ricordavano come uno schianto di ragazza, ma inconcludente. Doveva diventare avvocato come suo padre e suo nonno, ma dopo varie storie era approdata in una scuola di ballo.

Gabriele arrivò con la divisa da militare con tanti gradi sulla mostrina, ma nessuno seppe che grado veramente avesse, e forse neppure lui perchè non seppe dirlo a nessuno. Il terzo era Stefano in giacca e cravatta, un po’ borione, con una bella pancia e sempre con quel cellulare all’orecchio che sembrava dirigesse il suo albergo del centro di Firenze, anche da lontano.

Erano stati tutti molto puntuali e partirono per la seconda tappa che sarebbe la stazione di Pontassieve dove c’era  Sandro  il grande luminare di medicina e ricercatore, che ultimamente aveva fatto una grande scoperta su un nuovo vaccino contro  il cancro. Nonostante la sua fama era rimasto il ragazzone del liceo semplice, disponibile e con un bel cervello.

Anna,  aveva cambiato diverse trattorie ed osterie, ma ora era in un ristorante stellato  grazie alla sua ricetta delle frittelle di riso. Venivano da tutto il mondo per mangiarle. Aveva partecipato a tanti concorsi culinari ed era diventata una delle più note cuoche della televisione. Quando  passeggiava per le strade della città e le chiedevano la ricetta, tergiversava ma  non svelava mai il vero segreto. Anche in questa occasione si presentò con un vassoio di frittelle che, inutile dire, fu preso d’assalto e non arrivò a destinazione.

Aspettarono un bel pò prima di poter ripartire,  perchè nell’agriturismo nella campagna senese di Daniela c’erano stati dei grossi problemi con le fosse biologiche e non poteva abbandonare gli ospiti in una situazione del genere, poi sempre a causa della fila per  cantieri sulla Siena Firenze  arrivò con circa due ore di ritardo.

Finalmente riuscirono ad arrivare a  Diacceto dove ad attenderli c’era Luciano, agente immobiliare, grazie a lui, avevano trovato quel  vecchio castello fatiscente nella campagna di Pelago.

Fu un’avventura raggiungerlo, iniziava a fare buio e  piovigginare, google maps non riusciva a trovarlo, Sergio non rispondeva al telefono… alla fine videro una torre in lontananza, scesero dalle macchine e si avviarono a piedi.

Rita iniziò ad imprecare perchè i tacchi affondavano nella mota e non riusciva a camminare, Anna si era messa un fazzoletto in testa per non sciuparsi la pettinatura che si era fatta la mattina, Stefano che, siccome non c’era campo, non poteva dirigere il suo albergo.  Quasi tutti si pentirono di aver accettato questo invito.

Il castello era buio, bussarono, nessuno rispose. Aprirono la porta socchiusa ma la luce non c’era  e Sergio non rispondeva. Accesero il fuoco e le candele che avevano trovato, si scaldarono, si tolsero l’umido che avevano addosso. Intanto di Sergio non c’era traccia.

Sempre il solito grullo Sergio, non è migliorato nemmeno da vecchio!!!

In cucina c’è da mangiare di tutto, diamoci da fare. Io proporrei  una bella grigliata, con del buon vino e domattina, se non arriva il nostro amico si riparte!!! -Disse Sandro

Mangiarono, bevvero e risero a volontà, poi ognuno si ritirò nella sua stanza.

La mattina erano sempre loro,  si prepararono per tornare alle macchine e mentre uscivano arrivò un uomo con dei pantaloni tutti strappati e sporchi,  barba e capelli lunghi, sguardo stralunato, che gli chiese:- Andate già via?

  • Ma lei chi è piuttosto- Disse Luciano
  • Come non mi riconoscete? Sono Sergio, lo so che sono un po’ cambiato!!!

Era irriconoscibile. Dov’era il bel ragazzo alto, magro, figlio di papà, sempre ben vestito, sempre con belle macchine e pieno di belle ragazze?

Quando gli amici si ripresero dallo stupore cominciarono ad infamarlo, dicendo che non si aspettavano da lui questo comportamento, se ne tornavano ognuno alle loro case e ai loro impegni.

Gabriele prima di salutarlo gli disse: – Comunque il vino ed il mangiare era ottimo, questa volta una cosa buona l’hai fatta! Ciao ti auguro tanta fortuna!

Sergio, il “ragazzo che come noi…” di Rossella G.

Invento una storia, quasi… – di Rossella Gallori

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Un prosciutto dondolava dalla trave, un salame faceva ombra sul grosso pane affettato, entrarono spingendosi, bagnati, accaldati, curiosi.

 Qualcuno accese qualcosa, altri cercarono di pulirsi le scarpe piene di fango, era stata una via crucis allegra, piena di: come stai? Cosa fai? Non sei cambiata! Sei sempre magro! Sei ancora più bella!

Tra il vero ed il falso si erano rivisti volentieri, sette più uno, come allora, o quasi …e come allora avevano deciso per una casa isolata, vecchia di anni, di storia, sembrava proprio la stessa casa, quella delle feste, dei “lenti”, delle candele grondanti cera, delle bottiglie  che giravano per terra, per quelle che saltavano da una bocca  all’ altra, delle mani calde, delle cosce fredde, anni lontani che sembravano, per magia, quasi ieri.

Ma Sergio dove è?

Solo lui chiese di lui, gli altri fingevano una indifferenza silenziosa e tagliente, costruita su anni di lontananza voluta.

Chi parlava di ballo, che da hobbies era diventato lavoro, chi di case, che sembravano pezzi di Monopoli, da vendere e comprare, senza scrupoli.

Daniela accese il fuoco, un fuoco impietoso che rivelò pieghe amare, rughe seminascoste.

Le giacche bagnate sembravano fantasmi, appese a vecchi ganci arrugginiti dalla foggia pretenziosa.

Quel fuoco sciolse le parole, gli arti.

Anna voleva fare una torta, sperava  di trovare il necessario nella dispensa dal colore indefinito, frutto di mani inesperte e pennelli vecchi, li cercava senza voglia, guardando gli altri dall’ alto del suo metro e ottanta, famoso ed imponente oggi, come ieri.

Gabriele era in cerca di una specie di  bagno, di un qualcosa che fosse cesso e specchio, detestava essere in disordine, senza gradi, senza divisa, con la prostata alla porta, era solo un uomo stanco a fine corsa : caserme,  caserme, silenzio suonato e gridato, sveglia subita…sempre.

Ma quante stanze aveva quella casa? Quante finestre? Quanti lampadari  “secchi di ferro sbattuto” Quante sedie impagliate, zoppe di vecchiaia? Quanti angoli polverosi? Quanti letti dalle coperte sbiadite?

Stefano vacillò, con la mano destra tastò il suo polso sinistro, stentò a trovarlo, quasi avesse tre mani, i battiti  sembravano sparire.

Sandro accorse, colse l’ inquietudine di quelle labbra violacee, di quelle gambe tremanti, della goccia di sudore che illuminava la  fronte dell’ amico, molto caro, tutto lo riportò in corsia, sembrava udire ancora le sirene, le notti in solitudine affollata.

Calmati! Calmati! Portatemi dell’acqua!

Gridò al nulla, cercando di rassicurarlo.

Stefano non riusciva a parlare, con gli occhi spalancati ed atterrito fissava il soppalco semibuio, nascosto ai più.

Da un  punto ben preciso  di un soffitto a vela ciondolava una grossa fune, tre centimetri di macabro diametro sorreggevano un corpo privo di sensi, il capo color cenere di Sergio ciondolava da un lato, bolle di schiuma fuoriuscivano dalla bocca spalancata, i pantaloni consumati riempiti in modo anomalo decretavano una morte recente.

Si guardarono l’un l’ altro, con uno stupore che sapeva solo di tragedia.

Cadde un tronco dal camino, il fuoco si stava spengendo, tuonava, qualcuno gridò, conati di vomito incorniciarono le poche lacrime.

Sergio brillò ancora una volta, per la sua “ assenza” .

Pioveva terra mista a sabbia  una voce  crudele intonò:  C’ ERA UN RAGAZZO CHE COME ME, AMAVA I BEATLES  ED I ROLLING STONE ……

Il casolare di Sergio nelle mani di Rossellina

Il casolare di Sergio – di Rossella Bonechi

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Regnava un silenzio attonito tra i sette, tutti esploravano un angolo di quello che si era rivelato un casolare abbandonato da un po’, ma altre tracce di Sergio non ne trovarono. Alla fine si misero seduti al tavolone di cucina e Anna cominciò a curiosare tra le provviste dicendo:

” io con le mani in mano non ci so stare, preparo qualcosa” .

“Sì – rispose Gabriele un po’ rigido e sulle sue – ma poi se di Sergio non ci sarà traccia vi avverto che io me ne vado” .

 “Anch’io ho rimandato degli appuntamenti per questa stupida riunione – intervenne Luciano – e potrei anche recuperarli “. 

 ” Arriverà…arriverà …. – disse sorridendo Sandro – non vi ricordate che anche a scuola lui era quello delle sorprese e delle improvvisate?” 

E questa domanda dette il via ad una serie di aneddoti che alla fine riscaldarono l’atmosfera più del camino acceso. Mangiarono, bevvero, sempre con gli orecchi dritti ad intercettare un rumore che avrebbe potuto annunciare l’arrivo di Sergio. Ma si fece sera e di lui nessuna traccia. Le chiacchiere si smorzarono piano piano e nel silenzio Stefano esordì con :

“però….sapete che questo posto rimesso per bene potrebbe diventare un bellissimo hotel in mezzo al bosco? Già me la vedo l’Insegna *BEL RIPOSO*…”. 

 “Beh – rispose Daniela stando al gioco – io un po’ me ne intendo, tu pure…stiamo a posto !” 

 “La cuoca ce l’avete già” – sorrise Anna con un entusiasmo sospetto 

“Luciano – continuò Stefano – tu te la sentiresti di occuparti delle pratiche immobiliari, vendita, contratti, permessi, eccetera ?”

“Ma state dicendo sul serio ? – interruppe Gabriele – non vorrete mica, alla nostra età, ricominciare tutto??”

“E perché no? – lo guardò serio Sandro – non ti sei stufato dei soldatini di stagno e simili?”

“Sempre sarcastico ai limiti dell’offensivo te, Sandro, eh??? Ma quasi quasi ti do ragione – parlò come a se stessa Rita – io sono proprio stufa delle ragazzine bene che vogliono diventare tutte Carla Fracci, mentre al *BEL RIPOSO* potrei mettere a disposizione degli ospiti delle belle lezioni di Biodanza tra le acacie fiorite!”

A quel punto una voce conosciuta li fece sobbalzare:

“Bene! Non mi ero sbagliato più di tanto a volervi riunire!!”

Era Sergio, finalmente, che scusandosi per il ritardo dovuto ad un cambio di orario dell’aereo, spiegò loro che ora stava in Australia e gli era capitata tra capo e collo quest’eredità  di un vecchio zio; avrebbe voluto vendere subito e disfarsi di questa zavorra per sempre ma i ricordi d’infanzia lo avevano trattenuto e insieme ai ricordi arrivò anche il gruppetto che a scuola era stato come una seconda famiglia. Gli ci vollero tempo ed energie per organizzare l’incontro ma ci era riuscito, anche da lontano.

“Alla fine – disse agli amici ancora sotto shock – avete fatto tutto voi, bravi ! L’idea è quella, basta impegnarsi e portarla avanti “

“Ma tu sei matto come loro – brontolò Gabriele, ma lo sguardo non era poi così contrariato. Anche gli altri cominciarono a chiacchierare  tra loro su come, quando, chi e in quella cucina ora c’era un casino che non si capiva più niente. Appoggiato allo stipite della porta Sergio li osservava in disparte sorridendo; non sapeva se lì stava nascendo una realtà o un sogno, ma qualcosa di bello aleggiava nell’aria. Fuori cominciava ad albeggiare e Sergio pensò che davvero stava nascendo un nuovo giorno, ma nuovo per davvero !

L’albero di Sergio e la storia di Lucia

La storia di Sergio – di Lucia Bettoni

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Grande Sergio!

Un’idea fantastica!!

Troppo bello attraversare il bosco con la pioggia, con l’ombrello, con i lampi che squarciano il cielo, con le civette che civettano…

Che situazione emozionante Sergio!!

E poi… poi ci ha lasciati da soli!!…

Solo una persona originale, sensibile e non banale come te poteva inventarsi un incontro così….

Amici di un tempo catapultati nell’immaginifico, in un mondo senza riferimenti.

La casa era aperta e le fiaccole delle candele la rendevano quasi intangibile, sembrava non aver pavimento e forse nemmeno il tetto.

Rita e Luciano si presero per mano, ma non avevano paura: avevano solo bisogno di toccarsi perché l’imprevisto emoziona sempre.

Senza bisogno di parole anche Gabriele, Stefano e Sandro si unirono a loro formando una catena.

Proseguirono lentamente in silenzio, quasi in punta di piedi, si guardavano negli occhi e gli occhi brillavano. 

Le bocche avevano tutte un sorriso piccolo, erano lì a rappresentare lo stupore.

Era proprio vero: la casa non aveva soffitto e nemmeno pavimento, solo pareti e una porta immensa.

Una grande sala li attendeva oltre quella porta. Per terra, sulla nuda terra, cuscini di seta verde intorno ad una grande tovaglia tonda e rossa. 

Anche la tovaglia era di un tessuto lucido che cangiava alla luce delle candele.

Si sedettero tutti e cinque come se sapessero da sempre cosa dovevano fare, come se sapessero perché erano lì…

Entrarono Anna, che nel frattempo era diventata una meravigliosa cuoca, e Daniela, esperta organizzatrice nel ricevere persone, ed insieme cominciarono ad imbandire la grande tovaglia con le squisitezze che avevano trovato nella cucina.

Erano arrivate prima di tutti perché i loro passi erano stati veloci ed inquieti.

Non cucinarono.

Non c’era niente da cucinare perché il cibo buono non ha bisogno di cottura.

C’erano pesche da annusare, ciliege da toccare, sambuco da sorseggiare, biscottini al cioccolato da assaggiare e…

risate, risate, risate e ancora risate…

erano gli unici suoni di questa grande orchestra…

Sergio, il direttore d’orchestra, seduto sull’albero più alto guardava il suo sogno vero.

Dove sarà finito Sergio? Carla lo sa.

La storia di Sergio – di Carla Faggi

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-Accidenti!- imprecò Sandro -mi sa che Sergio ci abbia giocato un brutto scherzo. Da soli, al buio! Ragazzi, vedete di non farvi venire qualche malanno perché sono in vacanza e non vi curerò!-Sentenziò e si sganasciò dalle risate. Contagiò tutti gli altri, succedeva così anche al liceo.

Ne avevano bisogno perché la situazione era piuttosto preoccupante .

-Dai Anna, da brava cuoca preparaci un buon pranzetto, visto che è ancora giorno e c’è luce,- suggerì Stefano -magari ti aiuto così facciamo prima.

-Bellino te! La t’è sempre piaciuta l’Annina, vedi di non approfittarne, sciupafemmine!

-O sta zitta Daniela, ma che sciupafemmine e sciupafemmine, io sto dalle parti delle donne, non le lascerei mai sole a fatigare. Vieni Annina, vieni, che ti sto vicino io. A tua disposizione sempre e per tutto, mia cara.

Rita guardò con sospetto i due. Era stata fin dal liceo a pendere dalle labbra di Stefano, ma lui aveva sempre preferito l’Annina.

Gabriele intanto si avvicinò alla finestra, voleva ispezionare.

Sfortunatamente però il filo della corrente che dalla piantana centrale si portava verso l’angolo della sala dove c’era una presa elettrica, si ritrovò come un serpente tra la caviglia ed il ginocchio del povero Gabriele.

Questi fu scaraventato faccia a terra con annessi: piantana, tavolo e accessori che diligentemente lo ornavano.

Un frastuono infernale riempì la stanza, il bosco sembrò mettersi sull’attenti, non per il militare autore del tuono ma perché gli uccellini appollaiati fuggirono a gambe, anzi ali, levate.

Partì la risata di Sandro e come un domino seguirono tutte le altre.

Quella di Luciano però rimase a mezz’aria. Aveva visto qualcosa…qualcosa…spalancò gli occhi, spalancò la bocca e…voleva urlare con tutto il fiato che aveva in gola.

Ma il fiato in gola gli si era improvvisamente seccato. Un urlo muto uscì dalla sua bocca, tutti però lo sentirono.

Dietro la scrivania faceva capolino, anzi piedino, la gamba di un uomo.

Disteso a terra, occhi vitrei, capelli ritti ci stava il cadavere di Sergio, fulminato da un corto circuito! Tutti urlarono stavolta non muti, scavalcarono di corsa Gabriele che era ancora attorcigliato a terra e si precipitarono nel bosco

L’invito di Sergio interpretato da Nadia

STORIA DI SERGIO – di Nadia Peruzzi

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I biglietti furono recapitati tutti lo stesso giorno.
Era il 10 ottobre 2022.
Sandro vide spuntare il suo in mezzo al mucchio delle ricette che doveva compilare per i suoi pazienti.
Anna, lo trovò infilato sotto uno dei vasetti di fiori che abbellivano i tavoli del ristorante dove lavorava come cuoca.
Rita lo trovò in una delle scarpe che usava per ballare il tango.
Stefano, invece, semplicemente dentro la cassetta della posta per l’hotel di cui era il proprietario. Daniela alla reception del suo agriturismo, infilato in uno dei vasi di orchidee che abbellivano il bancone.
Gabriele in una scatola di proiettili che gli erano stati appena consegnati insieme alla 44 magnum che usava al poligono.
Luciano in uno dei suoi depliants di ville esclusive per clienti danarosi e pretenziosi.
Le istruzioni erano precise e ognuno di loro, pur controvoglia, sapeva che non poteva non raccogliere quell’invito che suonava un po’ come un ordine.
Come invito nulla da dire. Scritto bene e con la calligrafia giusta . Se la ricordavano tonda e svolazzante tendente verso l’alto. Adesso sembrò a tutti un po’ appesantita, visto che le lettere avevano un andamento che puntava verso il basso.
La firma li colse, ciascuno ai loro posti, di sorpresa.  E dire sorpresa forse era dir poco.
Erano anni che avevano perso le tracce di Sergio. Per un po’ si erano sentiti fra loro, proprio per capire se di lui qualcuno avesse notizie.
Le ultime, lontanissime nel tempo,  lo collocavano su una piattaforma petrolifera nello Shatt el Arab a due passi dallo stretto di Ormuz. Poi più niente.
Era sempre stato strano, come tipo. Ad essere onesti fino in fondo con loro stessi, spesso lo avevano tenuto fuori dai loro giri.
Lo consideravano un asociale, poco divertente, ai tempi del liceo e il loro gruppo aveva man mano preso le distanze da lui e lui da loro.
In qualche modo, un po’tutti leggendo l’invito avevano sentito scattare come una necessità di mea culpa collettivo .
La curiosità fece il resto. Si organizzarono in poco tempo per seguire le istruzioni.
A Pontassieve, prima tappa, si fermarono al Bar Ruggini per colazione e lì dovettero aspettare un bel po’ Rita che non arrivava.
Si mossero verso San Francesco che erano quasi le 10 di mattina. Decisero di lasciare le macchine di alcuni per andare solo con tre.
La strada che saliva verso Pelago era nebbiosa e scivolosa per l’acqua che cadeva da ore.
Si dovettero fermare, come terza e ultima sosta, senza capire il perché, nei pressi di un cippo su cui lettere sbiadite ricordavano tre partigiani giovanissimi trucidati dai nazisti.
Da lì poi nessuna sosta fino alla piazzola dove dovevano lasciare le macchine. Da lì si poteva proseguire solo a piedi.
Il bosco stillava acqua da ogni foglia. Anche gli aghi di pino sembravano versare lacrime silenziose.
Quella che li aveva accesi come un’avventura cominciava a preoccuparli. Si vedeva nei loro volti e nei loro sguardi. Più interrogativi che certezze trasparivano in ogni gesto di quello strano gruppo che in silenzio saliva, saliva, saliva verso il casolare decrepito e fatiscente che era la loro meta.
Forse ognuno di loro pensava “ma cosa cazzo ci siamo venuti a fare qui e con questo tempo di merda!”, ma nessuno osò farne partecipi gli altri . Nessuno sciogliete le righe, ma avanti in salita e con fatica.
Avanti fino a quel quasi rudere.
Da fuori,  tutto sommato,  era meno peggio di come sembrava da lontano. Si vedeva un rassicurante bagliore. Veniva dal camino, se ne accorsero entrando. Doveva essere acceso già da un po’ e accanto aveva una gran provvista di legna da ardere. Non avrebbero patito il freddo e l’umidità, almeno in quella stanza .
Si era fatta sera . L’oscurità la faceva da padrona se si eccettua la luce che proveniva dal camino.
Provarono ad accendere la luce ma gli interruttori non funzionavano. Le loro ombre si proiettavano lunghe e un po’ inquietanti sulle pareti spoglie e piene di umidità e muffa. Chiamarono Sergio senza ottenere risposta. Si guardarono con occhi stanchi e spiritati. Cominciavano ad averne abbastanza di quella situazione.
Rita, la ballerina, scoprì di avere i piedi tutti piagati e disse forte:”” da qui non mi muovo nemmeno a cannonate, se Sergio non mi trova scarpe adatte con cui tornare indietro!”
Gabriele decise di ispezionare le altre stanze. Lo fece impugnando la sua 44 magnum nuova di zecca, all’insegna del “non si sa mai”.
Anna e Daniela, dopo aver acceso le candele, disposte in gran numero sul tavolo davanti al camino, si misero a cucinare per ingannare l’attesa e impressionate per la gran quantità di cibo che avevano trovato nella dispensa.
Ogni tanto si guardavano smarrite e scuotevano la testa .
Il sottinteso inespresso :” Cosa ci facciamo qui e perché? In fondo,  a noi 7, Sergio nemmeno ci stava simpatico, anzi!”.
La grande tavola fu imbandita in un attimo. Anna era una cuoca davvero eccezionale.
Chiamarono gli altri che intanto continuavano a cercare Sergio, dentro e fuori casa.
Su tutte era la voce di Sandro che sentivano arrivare da fuori.  Continuava ad urlare al bosco il nome di Sergio. Quasi metallica mentre si rifrangeva sui tronchi degli alberi,  mentre si stava trasformando in mosaici di eco.
Sergio non si trovava da nessuna parte.
Tutti rientrarono nella grande stanza e decisero di mettersi a cenare. Seduti attorno alla tavola imbandita come per una grande festa si accorsero che il vino mancava.
Gabriele si propose di andare in avanscoperta anche dei locali sotterranei.
“La cantina ve la trovo in un attimo! Chissà che vini ci saranno. Roba da leccarsi i baffi di sicuro!”. Disse.
Lasciò il suo posto e si perse nell’oscurità .
Le uniche luci oltre il bagliore che emanava dal camino erano quelle delle candele, ma servivano a malapena a dar luce tremolante a quella stanza enorme in cui si erano infine riuniti tutti.
L’urlo che sentirono arrivare dal basso li atterrì.
Un altro, più vicino,  li fece girare tutti verso la porta che aveva inghiottito solo pochi minuti prima Gabriele.
Era lui, scarmigliato, con gli occhi fuori dalle orbite, coperto di ragnatele, senza bottiglie in mano e spaventato parecchio.
Non riusciva ad articolare parola.
“Se…Se…Sergio. . ho tr. . ho tr…ho trovato Sergio!”
Per arrivare a quelle poche parole gli ci era voluto un tempo che agli altri era sembrato infinito.
Si alzarono di scatto.
Ciascuno prese una candela e in fila indiana si misero dietro a Gabriele che faceva da apripista. Era così evidentemente sconvolto che ogni tanto,  mentre scendeva le scale, era costretto a fermarsi appoggiandosi alla parete come per ritrovare l’equilibrio perduto.
Scesero parecchi scalini di una scala a chiocciola angusta e pericolosa.
Era resa viscida dall’umidità e dal muschio che in alcuni punti aveva fatto capolino su alcuni scalini.
Gabriele si fermò davanti ad una porta semi aperta.
Le bottiglie allineate erano visibili da quello spiraglio. Polvere e ragnatele le ricoprivano per la maggior parte.
Rimasero tutti a bocca aperta, quando Gabriele con un colpo spalancò la porta.
Proprio al centro della cantina videro una lapide anch’essa coperta di ragnatele.  A mala pena si scorgevano la scritta e la foto che c’erano sopra.
La foto ritraeva Sergio, un Sergio di diversi anni più giovane di quanto non fossero loro adesso.
La scritta non ammetteva repliche.
Nato il 20 gennaio 1967. Morto il 10 ottobre 2002.
Si guardarono increduli. Visi spettrali si riflettevano, alla luce traballante delle candele, in altri che mettevano paura.  
L’odore del vino stantio faceva tutt’uno con l’odore di muffa e morte che aleggiava su tutto e su tutti.
Daniela, Anna e Rita scapparono a gambe levate.
Gli altri risalirono dopo poco. Il silenzio la faceva da padrone in quella sala immensa e attorno alla tavola, che era rimasta ancora imbandita come l’avevano lasciata.
Un giovane biondo sui 25 anni, l’unica evidente novità.
Era seduto a capotavola e li guardava con aria fra il torvo e il divertito.
“Lo zio vi ha giocato un bel tiro, vero?.
Lo avevate estromesso dal vostro giro e man mano avevate fatto si che perdesse i contatti anche con tutti gli altri. A suo modo vi aveva voluto bene al tempo del liceo pur sentendosi tradito un po’ da tutti voi.
Ha finito per chiudersi in sé stesso e dopo il lavoro all’estero ha preso la decisione di ritirarsi quassù. Si sentiva decrepito come questo rudere, ma nel bosco aveva trovato una dimensione di pace e serenità che non immaginava assolutamente di poter trovare in alcun luogo della terra.
Amava anche i silenzi del bosco delle sue origini, non solo i suoi fruscii, e le sue sonorità.
Dopo gli anni dei deserti e di quelle immense gru che rumorosamente cercavano l’oro nero, qui, mi diceva, aveva trovato il suo oro vero. Oro verde per lo più.  Al mutare delle stagioni le foglie diventavano ogni anno le sue pietre preziose, le uniche che avessero un valore inestimabile per lui.
Non aveva bisogno di altro.
E’ morto dove era nato e dove poi aveva deciso di tornare a vivere.
Qui ha voluto esser sepolto.
A me ha lasciato il compito di organizzare quanto avete vissuto in questi giorni.
La sorpresa per il biglietto e l’invito con la sua firma.
Gli interrogativi sul perché e il perché proprio ora, dopo così tanti anni.
Il viaggio dal tanto e troppo di ciascuno di voi, al niente in cui si era costretto a vivere lui.
Ha voluto mettervi di fronte ad un fatto compiuto e anche alla vostra coscienza.
A quanto mi ha raccontato nel corso dei suoi ultimi anni,  nessuno di voi gli è mai stato veramente amico. Nessuno di voi del resto già all’epoca del liceo valeva granché. Soprattutto sul piano umano e dei sentimenti. Troppo presi da voi stessi e dalle vostre carriere, spesso già stabilite a tavolino dalle vostre famiglie.
Nessuno realmente libero di essere sé stesso e artefice vero delle proprie scelte.
Il biglietto che avete ricevuto doveva arrivarvi nel giorno esatto della sua morte, solo 20 anni dopo.
La tavola imbandita e opulenta rappresenta quello cui avete aspirato e le vostre anime vuote, capaci di accendersi solo con queste sceneggiate prive di sostanza e frutto di una sapiente regia.
Lo avete fatto sentire una nullità, messo ai margini, cari signori, ma era così intelligente da tessere la trama di una storia, anche a distanza e anche da morto, che vi ha imprigionati tutti e costretti a fare quello che lui voleva faceste.
Avete seguito le istruzioni di un morto e ci siete pure cascati come polli.
Eravate scatole vuote allora, la vita a seguirvi prima e guardarvi adesso, non vi ha migliorati.
Mio zio per come ho potuto conoscerlo, era un vero genio, generoso e pieno di umana pietà per tutto quello che incontrava sul suo cammino.
Avreste dovuto ascoltarlo mentre raccontava del suo bosco.
Già, ma cosa avreste potuto capire? Non siete all’altezza. SI vede dalle vostre espressioni da allocchi colti in fallo. E da chi? Da un morto da 20 anni! Poveretti! Di che brutta e povera lana siete fatti!”
Si alzò di colpo. Quello che doveva dire era detto.
Sbatté la porta con un colpo così forte da far tremare tutto.
Scomparve alla vista in un attimo. Le brume della sera erano diventate una spessa coltre di nebbia.
Attorno a loro udirono scricchiolii sinistri. A destra, poi a sinistra, poi ovunque.
Fu una pioggia di sassi a colpirli e seppellirli in un attimo, mentre il rudere si ripiegava su sé stesso.
Nessuno che potesse salvarli. Sergio lo avrebbero incontrato, forse, chissà dove e chissà come.

La sorpresa di Sergio e dei suoi amici nella versione di Tina

I sette – di Tina Conti

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Per  fortuna RITA,  come sempre super organizzata e con la borsa piena come una casa, si fece avanti. Muoveva la pila alla ricerca del battente.

Con quella scarpette rosse tutte  inzaccherate  di fango si decise ad aprire  

– Sergio?  Ti sei nascosto?  Ei!  Non credere che non ci ricordiamo delle tue burle!!  Vieni fuori, almeno accendici la luce, non si vede  un cavolo.

– Ragazzi, siete tutti bagnati fradici, qualcuno può accendere il fuoco così ci scaldiamo? Balbetto’  Sandro che tremava come una betulla.

-Come è romantico con le candele accese,  disse Daniela, sono eccitata, cosa ci aspetterà, nel mio agriturismo  le cene con delitto sono sempre un successo.

-Non fare la scema come sempre, se sapevo di questo rischio  col cavolo che sarei venuto disse Stefano, in hotel avevo un gruppo niente male  con delle olandesine fresche fresche, incantate dalla prima gita a San Miniato dove le ho accompagnate. Quello stupido di Sergio  non si smentisce mai: con questo buio non mi azzardo a rifare il percorso da solo, me ne sarei tornato subito a casa immaginando questo.

-Io, di avventure strane ne ho avute a vagonate disse Anna che si era tolta le scarpe e si asciugava  i piedi fumanti seduta su una seggiolina bassa. Quando sono andata a Hong Hong con quel mezzo cuoco cinese ho vissuto in una specie di capanna, ho cucinato  seppie seccate e un animale simile alla scimmia. Se non sono impazzita e ‘.perché sono scappata con una comitiva di turisti  spagnoli. Io ci casco sempre , ma questa volta pensavo proprio a una cosa seria. Spero solo che non ci siano tarantole in questa casa, io non riesco a trattenermi. Scappo e saltello allo sfinimento fino a quando non sono certa che se ne sono andate….a proposito, avete visto che montagna di cibo è stipata in cucina?

Non ci vorranno sequestrare per qualche mese spero. Sergio  è sempre  imprevedibile! la cosa migliore da fare adesso è quella di asciugarsi bene  e mettere indumenti caldi, cerchiamo le camere, prendete una candela  e state attenti a non provocare incendi, intimò Daniele  con il suo fare diretto  e sicuro, aveva in un battibaleno preso visione del palazzo  e capito come muoversi.

Qualcuno ha bisogno  di  essere accompagnato?

Ho fatto una capatina in cantina, ragazzi che sballo, ci sono vini e liquori a volontà. Anche non so molte cose di voi  e della vostra attuale situazione, mi ricordo  le grandi bevute alle feste in casa, e specialmente  nella casa al mare di  Sandro. Che spasso andare in spiaggia   di notte con le  bottiglie di spumante da  tre soldi a  fare il bagno nudi come vermi.

C’eravamo sempre tutti, si dormiva anche sul terrazzo, quando quella sera alle  dieci si materializzò la Cesira, la nonna di Sandro e noi ballavamo sulla spiaggia.

Telefono’ ai carabinieri  di Castiglioncello   dicendo che erano sbarcati  sulla spiaggia  spiriti ballerini che lampeggiavano fosforescenti.

Era quella stupidaggine di spennellare  le braccia di colori fosforescenti che aveva avuto Aldo, che poi non si riusciva a togliere.

Il brigadiere prese tempo, sapeva delle bisbocce sulla spiaggia a cui anche il suo figliolo a volte era invitato.

Luciano si mise a rovistare fra le provviste mentre cercava di animare il gruppo:- forza ragazzi, siete acciaccati, non vi riconosco, cosa ne dite se vi arrostisco due belle salsiccine,? Il fuoco mi sembra giusto, ci metto anche delle fette di pane. Il vino lo porta  Sandro  così si riscalda.

Dopo poco scese dalla scala di legno RITA, truccata e pettinata con tanto di abitino corto tipo charleston, con le frange.

Come mi trovate? Il fisico regge, saranno tutti quei balletti  alla scuola, il cervello invece me lo sento rallentato, ma la musica mi  sveglia parecchio.

Guardate, il vecchio mangianastri , ho tutti i 33 perfetti, pile a volontà, allora  si balla? Però, un po’ mi brucia, mi piacerebbe ricambiare lo scherzo a Sergio.

Avete qualche idea? Non ce lo vedremo mica apparire nel pieno della notte con qualche diavoleria delle sue.

Tutti concordarono che si sarebbe meritato una lezione.

Mentre pensavano  e riflettevano sentirono strani rumori venire da fuori.

Si fermarono, intimoriti, vedevano lampi e luci intermittenti, scoppi e fragori.

La voce di un megafono  con tono roboante diceva:-state calmi,non tentate la fuga, se rispettate gli ordini andrà tutto bene.

Gli occhi spalancati, il fiato sospeso, le orecchie tese, si diffuse aria di panico.

Un soggetto irruppe nella stanza, con tuta mimetica, maschera e casco.

Lanciava luci e piccoli proiettili che si dissolvevano con palline a scoppi.

Altri  cinque individui simili, armati di pugnale fra i denti si precipitarono sparpagliandosi nella penombra.

ARRENDETEVI! Siamo i vostri compagni disertori, non vi siete ancora liberati di noi, fateci posto, vogliamo far baldoria con voi.

Si calarono le maschere e si fecero riconoscere.

Il clima si tranquillizzò, circospetti e un po’ stizziti, si abbracciarono.

 Giuseppe, Felice, Aldo ,Clorinda,  Mattia e….. quel matterello di Sergio! 

Accesero le luci, partiva una nuova avventura.

Una traccia da seguire: Sergio e la notte degli incontri per Luca

Sette per un mistero – di Luca Di Volo

Gli alberi del bosco, gocciolanti per la pioggia, osservavano. Nel loro obiettivo c’era un gruppetto eterogeneo di persone, sette, per la precisione. . li avevano anche contati. .

Chissà che ci facevano in quel posto dimenticato…a questo gli alberi non sapevano rispondere.

Però non erano i soli a farsi domande, qualcuno del gruppo se le stava facendo anche lui. . eccome…

Una era Anna, compagna di Liceo di tutti e otto. . già, otto perché c’era l’anfitrione che per il momento non si era fatto vedere: Sergio. . un bel tipo, a quanto lei ricordava. .

Accompagnata dal ciac-ciac dei passi sul terreno umido riviveva le prime carezze dei quindici anni. . ironia. . e proprio con Sergio…Gli struggenti sogni della sua adolescenza erano finiti tutti nei fornelli della chef pentastellata che era diventata, alla fine.

Si staccò per un momento dai ricordi agro dolci, prima di esserne sommersa, provandosi ad osservare , nel modo più spassionato possibile, anche gli altri, reduci come lei da quella confusa, scombinata, ma anche gioiosa avventura che era stato il loro percorso liceale.

Nel silenzio gocciolante la truppa avanzava compatta, finalmente riunita dopo tre tappe intermedie, volute dal loro organizzatore.

E con piglio sognante procedeva Sandro, il medico. Solo il suo cinismo professionale lo esimeva dal credersi davvero in mezzo alla giungla del Borneo inseguito dai Giapponesi. . Anche il vento tra gli alberi ai suoi orecchi sembrava ululare . banzai. . banzai…e il cuore gli batteva forte.

Ognuno aveva il suo personale eco risvegliato da quel cammino per loro insolito…ma ce  n’era uno più o meno condiviso da tutti: Sergio (l’anfitrione,  che non si faceva ancora vedere. . ) lo conoscevano come famoso burlone, e quella sceneggiata minacciava di assomigliare un po’ troppo ai celebri “Dieci piccoli Indiani”. . Va beh. . sarebbero stati a vedere. .

Erano arrivati alla porta del palazzo, vecchiotto ma non decrepito. . aprirono ed entrarono.

Di Sergio manco l’ombra, questo se lo aspettavano…ma mancava anche la luce. . e questo se l’aspettavano un po’ meno.

In compenso nella dispensa c’era ogni ben d’Iddio…. di legna per la stufa ce n’era tanta. . insomma, si poteva sopravvivere, e anche bene.

Dopo il primo attimo per riprendere fiato, parlò Luciano, titolare della Bencasa S. p. A, la società immobiliare di cui era proprietario. ”Ragazzi, io questa casa non la venderei neppure al mio peggior nemico, anche se l’accettasse. . ma l’avete visto che razza di buco è questo posto? Mette tristezza solo a guardarlo”.

Ma si vedeva che parlava per farsi coraggio, quel sentiero umido di foglie morte lo aveva spaventato davvero. .

Una voce indistinta. . ”E se Sergio ci avesse preso per il ehm. . per il c…lo?” Questa era Daniela, proprietaria di un solare agriturismo in quel di Siena, a cui evidentemente il paragone con questo sentiero degno del Mastino dei Baskerville non era andato giù. . ”Ve lo ricordate , no, quando mise al buio tutta l’aula e ci fece mormorare tutti : ”Vecchia , devi morire. . vecchia devi morire. . ”. . A quella povera insegnante di Greco venne un mezzo colpo…e poi ce la fecero pagare, eccome!”.

Seguì un silenzio imbarazzato, a nessuno piaceva ricordare. .

Si riprese per prima Rita, l’ex bellona della classe, attuale direttrice di una scuola di ballo. . un po’ oca , per la verità, ma fu l’unica a vedere il bicchiere mezzo pieno.

“Vai, almeno ci sono le candele, la legna per il fuoco. . e tante , tante belle cose da mangiare…. ”e in così dire fece una piroetta sulla punta delle sue scarpine da ballo. . tutte infangate, ma a molti fece battere il cuore. E il primo a reagire fu Gabriele, attualmente rigido militare, ma anche ex fidanzatino in carriera permanente effettiva…non potè trattenersi dal rimbeccarla: ”Rita, per te mangiare dovrebbe essere l’ultimo pensiero, potresti rimetterci la tua scuola di ballo, le tue allieve non vengono per vedere un ippopotamo, ma una libellula…!”

“Ma io sono una libellula. . o non ti sembra?. . ”

Gabriele tacque…era sprofondato nelle medaglie  ma il cuore era sempre pesante. Fu solo capace di dire ”Allora lascia stare quei funghi e vedi se con Anna potete preparare qualcosa che ci tiri un po’ su il morale”.

Il gruppo si sciolse e , quasi con ordine, ognuno si dette da fare per contribuire .

Però il fantasma di Sergio aleggiava intorno, e nessuno lo vedeva.

Solo Stefano rimaneva in disparte, silenzioso. Era sempre stato così: al Liceo non aveva avuto avventure amorose, neppure qualche fidanzatina, anzi, non andava volentieri nemmeno alle feste, tanto frequenti in quell’epoca beata. E questo era bastato a quelle buone lane dei compagni di bollarlo con l’epiteto (benevolo) di “equivoco” che ai nostri tempi sarebbe equivalso, più o meno a “gay”. Invece lui gay non lo era per niente e anzi , come direttore di un rinomato albergo aveva poi avuto un discreto successo con le donne, riscattando in cuor suo quell’”equivoco” che gli aveva creato tanto disagio.

Insomma. . passava il tempo, la legna e le candele confortavano di luce e calore. . il buon cibo cucinato dalle mani sapienti di Anna, aveva sortito l’effetto sperato…e come accade spesso nei paradossi della vita, l’atmosfera rilassata, il dolce calore, gli amici vicini sistemati come meglio pareva ad ognuno di loro, fecero uscire , dopo le solite stantie frasi di circostanza, la verità, come un getto liberatorio. I sogni perduti, le cose non dette, gli atti mancati. . le sconfitte vere ma taciute, il bagaglio sempre inespresso emerse come un malinconico lampo , ma insieme dolcemente liberatorio. La sera scendeva velocemente. . ma di Sergio . . nulla.

Fu Sandro, emergendo da quell’atmosfera che si era fatta dolcemente languida e sottilmente malinconica, il primo a rientrare nella realtà…E saltò su dicendo:”Ehi, sveglia. . vedete per caso Sergio? Forse ci ha preso davvero per il c. . lo. . o forse no. Sarebbe troppo anche per lui. E io come medico sono abituato a fare diagnosi e prognosi e qui non c’è una diagnosi che abbia senso. . che scopo c’è a farci venir qui e …basta. . ? No , non torna, forse Sergio è qui e si sta godendo lo spettacolo, ma…. Sergio un guardone sadico? No, eravamo amici intimi, lo sapete, burlone sì, ma sadico no…E a me allora è venuto in mente quell’incidente di stamattina, sull’autostrada. . brutto davvero. Non ho perso tempo a leggere i particolari. . ma. . non potrebbe essere che ci fosse coinvolto anche Sergio?! Pensateci bene. . forse è morto e noi stiamo offrendogli senza volere il suo banchetto funebre. . ”

L’ipotesi sembrava un po’ campata in aria. . ma inspiegabilmente . . piacque. Fu accettata subito, si dissolse la mestizia. . Il pensiero di essere al centro di un curioso fatto di cronaca sembrò ravvivarli. . che cosa straordinaria. . ne parleranno i giornali. . la TV. . Non vollero nemmeno usare i cellulari, anzi li spensero per non uscire dal sogno che chissà perché, tutti volevano disperatamente “vero”.

“Oddio , domani dovrò andare ai funerali e io ho ospiti all’agriturismo da ricevere”. . ”Madonna, io ho un intervento importante. . ”Io ho una riunione col consiglio di amministrazione. ”. .

Sergio fu presto dimenticato, e si prepararono per la notte lì. Forse perché pensavano che l’amico defunto l’avrebbe gradito. . oppure, chissà. . la notte avrebbe  permesso qualche  trasgressione ritenuta perduta nella nebbia della giovinezza. Non lo sapremo mai. .

Invece la mattina, al risveglio, alla riaccensione dei cellulari, un SMS di Sergio li precipitò tutti nella avvilente banalità; un guasto alla macchina, una coda chilometrica sull’autostrada: questi i colpevoli del suo ritardo.

Come il velo di Psiche la magia che li aveva avvolti cadde e non si rialzò mai più.

Incontro del 27 aprile 2023 al Teatro Comunale di Antella: Una storia da inventare

con Cecilia Trinci

foto di Lucia Bettoni e Cecilia Trinci

15 storie diverse con pochi elementi dati:

Sergio aveva deciso di riunire i compagni del liceo e farli arrivare tutti insieme in un luogo speciale.

I compagni che rintracciò furono però solo 7:

  Sandro, che ora faceva il medico

  Anna che ora faceva la cuoca in un ristorante stellato

  Daniela, che gestiva un agriturismo vicino a Siena

  Stefano che gestiva un hotel in centro

  Gabriele che  si era dato alla carriera militare

  Luciano, che gestiva una società immobiliare

  Rita, che gestiva una scuola di ballo.

I sette non si erano più rivisti ma avevano avuto un passato scolastico piuttosto burrascoso.

Il luogo non fu facile da trovare. Alla fine fu deciso per un vecchio palazzo, un po’ deteriorato, in mezzo alle campagne di Pelago

Per farli arrivare tutti insieme Sergio organizzò una serie di luoghi intermedi da raggiungere e dove fermarsi.

Alla fine l’ultimo pezzo nel bosco lo percorsero tutti insieme. Pioveva, era ottobre, cominciava a fare fresco.

Arrivarono alla casa ma non trovarono Sergio.

Entrarono a cercarlo. Non c’era luce, ma c’erano molte candele e molta legna da bruciare. La cucina era piena di provviste………………………………….

Gli abbracci di Gabriella

Abbracci – di Gabriella Crisafulli

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Sono andata al di là dello specchio.

Ho scoperto che certi abbracci erano condizionati, a riscatto.

Perduti quelli più cari, che stringevano forte e sapevano di cuoio, mi muovo tra abbracci di parole: chiacchiere per strada, spirito di ricerca, caramelle di libertà, leggerezza dei veli, tabù infranti.

Forse sono niente, eppure fanno.

Danno compagnia, sapore, colorano le giornate e riscaldano.

Producono pensiero.

Vado zigzagando in qua e in là fra chi non ho scelto né mi ha scelto.

Mi riempio gli occhi di bello, il naso di profumi, le orecchie di suoni.

La bambola di crinolina esibita sul lettone si è alzata e cammina.

Le gambe dolgono ma si chiama autonomia.

Ancora abbracci in quasi 20 parole (antologia)

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Sandra Conticini: 1. E’ sempre un piacere sciogliersi nell’abbraccio con un caro amico, ma non riesco ad essere la prima per paura di essere rifiutata.

2. Ricordo quella volta, non un bacio non una parola, solo un abbraccio di una persona cara.. le lacrime iniziarono a cadere!

Carla Faggi: Dolore alla cervicale, muscoli contratti, spalle ravvicinate, testa ricurva.

Il tuo abbraccio mi da calore, alzo la testa, scivolano le spalle, i muscoli si sciolgono.

Un velo caldo mi accoglie e vince ogni tabù.

Abbracci in “quasi” 20 parole (antologia)

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Lucia Bettoni: 1. Accolgo il tuo corpo sulla mia pelle
senza veli
Accolgo il tuo profumo e lo sciolgo con il mio

2. Un soffio libera il mio corpo da quel velo trasparente
e sono nuda davanti a te
per farmi vedere

foto di Lucia Bettoni

Rossella Gallori: 1. Sciogliere i sentimenti, in un  unico abbraccio.

Tolgo i picchetti, apro le braccia.

È un domani migliore, senza veli funesti!

Rossella Gallori: 2. Una canzone sussurrata, quasi muta,

strappa un velo pesante,

vecchio di anni.

Sentimenti sciolti in acqua cristallina, tolgono la sete: abbracci…

Gli abbracci dei bambini

“Il sol dell’avvenire” di Stefano Maurri

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“Sei grasso, nonno” e i suoi occhi furbetti brillano ancora di più…

“e te sei una piccola peste”. Ma certo lui ha ragione più di me.

Subito dopo mi salta sulla pancia grossa gridando minacce. Eppure quel faccino con le gote sode e quell’altro con il volto a “Giovane Holden” sono l’ancora di ogni salvezza.

Come si direbbe “ogni sacarrafone è bello….” ma in questo caso lo scarrafone è il nonno e loro riescono a smuovere i sentimenti che ritornano amplificati.

“Il sol dell’avvenire” brilla nei loro occhi. C’è sempre, anche nei tempi più bui qualcosa a cui riferirsi, non importa se una canzone, uno scritto o un luogo. Questi elementi sono vivi se riempiti da una persona…tutto il resto è noia.

Quanto sarà lungo questo avvenire nessuno lo sa, ma il sole dei loro occhi non tramonta, è sempre mattino.

Qualcuno realizzerà quello che non sei riuscito a realizzare.

Eccoli, distesi sulla pancia: “la vuoi una caccola?” propongono

“grazie, era quello che mi mancava!”

Caccole di tutto il mondo unitevi! Le conservo come una reliquia, penso che ne farò un altarino non meno sacro di uno di chiesa.

Viva le caccole dei bambini, il moccio, i cazzotti sulla pancia, i rutti fatti per gioco, copriamo di questo tutto il mondo!

Abbracci in 20 parole (antologia)

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Simone Bellini: Sciogliti, getta il velo dei tuoi tabù, abbracciami e comunicami le tue emozioni profonde, senza parole, capiamoci, stretti stretti in una morsa piena di affetto.

Rossella Bonechi: Non posso piacere a tutti, non tutti mi piacciono, ma vivere insieme con più empatia ha fatto cadere qualche tabù.

Lucia Bettoni

Incontro del 20 aprile 2023 al Teatro Comunale di Antella: la magia degli abbracci

con Cecilia Trinci

foto di Lucia Bettoni e Cecilia Trinci

Incontro “ravvicinato” dopo tre anni di distanziamento.

A coppie, uno/a di fronte all’altro/a, prima ci incontriamo con le mani, trasmettendoci, col solo contatto delle mani appunto, parole di emozione o fantasie del nostro animo.

Passiamo poi all’ABBRACCIO, incontro fisico profondo, la più intima forma di comunicazione e contatto tra persone.

La parola che ci ha guidato è stata FANTASMA, nel senso etimologico di APPARIZIONE FANTASIOSA, dal greco “faino, fainomai”.

Ne ricaviamo altre quattro parole derivate anche dai nostri interventi:

  • sciogliere
  • tabù
  • spirito guida
  • velo

Giornata intensa e molto dolce

Parole di Spirito e Corpo di Daniele

Parole non dette – di Daniele Violi

Le parole che i miei pensieri del libro di Vita vissuta hanno tenuto per se stessi, sono state sempre sedute composte ai bordi dei miei corridoi connettivi, e hanno atteso con molta pazienza, abbandonate in larghe poltroncine di canna di bambù e vimini che sempre più hanno affollato anche i vari ampi spazi e saloni del metaverso che si è introiettato nella mia testolina fin dalla nascita. Le parole venivano fuori man mano che crescendo e scoprendo la Bellezza della Vita e iniziando a maturare progetti, si generavano ogni qualvolta esordivano Idee; Idee di creatività e la curiosità e lo spirito di osservazione. Parole che il mio Spirito avrebbe voluto dire al mio Corpo. Parole che elencano via via i momenti di impegno e sforzo fisico fino talvolta al logoramento e al sacrificio che lo stesso Spirito sentiva di essere partecipe e invece contrariamente desiderava starsene tranquillo a sognare. Ma perché non ti sei risparmiato? Perché non ti sei buttato su una spiaggia deserta del mare di Calabria a sonnecchiare per giorni e come un fannullone e startene a poltrire senza poltrona? Il Sogno che continua e non ha mai dato tregua a questa mio percorso di Vita. Il Sogno, i Desideri che venivano anche generati dal mio Spirito, le mie visioni avevano desiderio di proiettarsi, anche di realizzarsi. Ma. Come potevo però fare a meno del mio Corpo. Parole e pensieri che si sono volute sempre bene. Grazie comunque a tutte e Due.   

Rancori non detti di Nadia

LE COSE CHE NON TI HO DETTO – di Nadia Peruzzi

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Mi ci è voluto del tempo, anni, per liberarmi dal peso di un limite. Il tenermi dentro le cose e logorarmi, soffrire senza dire, prima di scoprire quanto sia corroborante rispondere a tono, anche a raffiche ad alzo zero, se necessario.
A te, Caterina la bella di raffiche ne avrei dovute tirare più di una.
Amicizia nata sui banchi del liceo e al solito, per quegli anni, intrecciata anche con la politica.
Una amicizia che non lo era, alla prova dei fatti, intessuta di fili di eccessi e di adolescenza in tumulto.
Troppo di tutto, esclusiva e chiusa. Una di quelle storie che di solito finisce nell’unico modo in cui deve. Cioè male.
E tu carissima più volte ti sei comportata da vera cacchina, tendente pure al verdognolo. Te lo scrivo di cuore.
Fra le cose migliori quando bella bella, ”sai, ora ho un ragazzo come possiamo continuare come prima?. ”Un vaffa al cubo ci sarebbe stato benissimo, ma evitai.  
Ci pensò lui a essere stronzo quanto basta nei tuoi confronti da farmi gustare a distanza di tempo il detto che la vendetta è un piatto che va assaporato freddo. Beh, quello fu gelido addirittura perché ormai si era congelato tutto e non era ricucibile assolutamente nulla sul piano dell’amicizia che poi alla prova dei fatti, amicizia vera non era.
Ci siamo perse poi di vista.  Tu in Venezuela col tuo compagno nuovo.  Uno di quelli che lavorano per grandi aziende, vanno all’estero e dopo aver intrattenuto per anni i rapporti che contano poi si mettono in proprio.  Bella vita, begli ambienti. Poi però Chavez vi ha tarpato le ali cercando di far salire e far emergere gli ultimi, gli esclusi.
La tua posizione, legittima ci mancherebbe, antichavista chiaramente scritta su facebook in polemica con me dopo anni e anni che nemmeno il buon giorno e buona sera e forse, solo forse,  qualche buon compleanno.
Mi volevi pure convincere a cambiare idea su un evidente tentativo di colpo di stato che puzzava come una latrina sporca e corrotta.
Sedersi per trenta anni al tavolo dei ricchi e dei benestanti, benpensanti può far male anche alla figlia di un vecchio segretario provinciale del PCI.  
Ma hai fatto anche altro. Mi telefonasti un giorno. Eri a Firenze, avevi parlato a lungo con mia mamma. Lei tutta entusiasta.  Io quando presi la telefonata sempre con le mani in avanti e pronta a cogliere la fregatura. Ormai avevo imparato.
Era un invito a cena. Un giorno di calendario preciso, non trattabile. Invito perfetto, fatto con i tuoi modini, sempre gli stessi, da chi ci sa fare.  Piacionici, sfruttando un aggettivo fantastico inventato dalla sagacia di Gigi Proietti.
Non ci volle molto per capire che a Firenze già c’eri da due mesi. Già ti eri incontrata con altre di quella classe del liceo, senz’altro quella di cui conservo il ricordo peggiore di tutta la mia carriera scolastica.
Stavi telefonando due giorni prima di ripartire, evidente segno di quanto quella cena ti interessasse realmente.  
Che ti andasse di traverso non te l’ho detto. Ma l’ho pensato. Eccome se l’ho pensato!

Parole e abbracci da fermare di Tina

Le cose che non ho detto – di Tina Conti

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Non eravamo tanto di parlare, in casa ci si capiva con i fatti, con gli sguardi.

Pochi i momenti di confidenze, di tempo per noi.

Tanto amore indiretto, accudimento, presenza, sentimento.

Non poteva essere altrimenti, c’era  tanto daffare, eravamo in tanti, e tutti con i propri bisogni e necessità, erano altri tempi.

Forse sono  diventata un po’ anche io una mamma pratica  presente, indaffarata.

Seria, allegra ma poco coccolona..

Oggi  con i nipoti mi sono  vista diversa e mi sono  lasciata andare, ho pensato che potevo permettermi qualche abbraccio di più con mia figlia. essere  meno indaffarata. Mi avrebbe consentito  di godere diversamente del tempo insieme.

Oggi cerco di fermarmi, sentire che il tempo scorre e quello che si lascia lo perdiamo….come sono rimasta felice  quando, pensando a questo ho fatto partire  un grande abbraccio, senza pensare ad altro, senza dover criticare e poi non avere il momento per noi.

Un abbraccio solo per noi, per come siamo e come viviamo.

Allora, Tina, te lo ripeto anche se da tempo te lo dicevo: -ascolta il tuo cuore, lascia tutto  e fai quello che ti chiede!

Al resto ci penseremo dopo, non perdere questi momenti  che sono la linfa  della vita.

Ci  sollevano nei momenti tristi e difficili, ci aiutano a vedere le cose  giuste .

Ti confortano nei pensieri e ti rassicurano su quello che  sono le scelte.

Fatte su come hai vissuto e operato nel mondo e con gli altri.

Il non detto e il non fatto di Rossellina

Quante sono le parole non dette – di di Rossella Bonechi

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Sono più le parole che non ho detto o le cose che non ho fatto? Perché anche non aver fatto quello che si sarebbe voluto lascia l’amaro in bocca come non aver detto quando si sarebbe potuto. Avrei dovuto chiedere sinceramente “scusa” ma se anche tacendo avessi fatto una carezza dal cuore sarebbe forse stato lo stesso. Senza fare calcoli precisi perché ancora non è tempo, avverto che  i piatti della bilancia sono alla pari, pertanto lo sbaglio è stato doppio! La cosa migliore sarebbe stata unire al dire il fare: ti voglio bene con un abbraccio stretto, grazie per quello che fai per me prendendogli le mani tra le mie, mi ricorderò sempre di te baciandole la fronte rugosa, ma cos’hai in codesto cervello bacato? e voltare le spalle per sempre.

Il non detto e il non fatto rimasti dentro di me sono come tante piccole spine che prudono salendo le scale quando apro la cantina ma i destinatari non sono purtroppo più raggiungibili per cui le ricaccio giù e col tempo grattano più fiaccamente diventando un po’ meno rimpianti, un po’ meno rimorsi, un po’ meno rabbie, amalgamandosi ai ricordi e diventando a volte nostalgie.