Il pacco FRAGILE di Tina

Pacchetto fragile – di Tina Conti

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Piccola dimensione, incartato con cura con carta da pacchi, senza fiocco, leggero, ma sembra contenere una scatola di cartone aperta sopra.

Fragile, scritto su tutti i lati, bisogna essere cauti nel maneggiarlo.

Secondo me si riferisce ad altro.

Che parola universale Fragile, si può  riferire agli oggetti, alle cose, ma anche al mondo animale e al sentire degli uomini.

Il vetro, la ceramica, una stoffa leggerissima e preziosa, un vecchio divano con le gambe tentennanti, un antichissimo reperto archeologico  ritrovato nella profondità di uno scavo.

Tutto è fragile, da maneggiare con cura, ma l’animo dell’uomo è una cosa a sé.

Difficile riconoscere e accettare nella nostra vita questo aspetto.

Ci si allena ad essere forti, resistenti, combattivi, si fatica ad accettare il nostro lato debole e a comprendere quello degli altri.

Dai, non è nulla! Quante volte si pensa che possa essere la frase utile.

Spesso non lo è.

Capire, accettare la nostra debolezza è un percorso lungo tutta la vita.

Se riusciamo a affrontare questo percorso, la nostra esistenza e quella degli altri potrebbe farci stare meglio e in pace con il mondo.

Il pacco FRAGILE di Carla

Dieci parole fragili – di Carla Faggi

Ci hai detto: dieci parole per descrivere la fragilità.

Ed io ho scritto: “ abbracciami, proteggimi, tienimi vicino, non lasciarmi mai. Solitudine è fragilità.”

Poi hai detto: ed ora continuate.

Ed io non so più che scrivere.

Allora ho pensato a quando sono nata, tanti e tanti anni fa. Non volevo nascere, volevo star lì al calduccio, mi sentivo completa e volevo restarci. Invece fui costretta a nascere e prima per giunta! A sette mesi, e credetemi, me ne presi a male, lo sentii come un abbandono prematuro.

Da allora mi ha quasi sempre accompagnato quella lieve malinconia che ti stringe il cuore; se non è accompagnata da un antidoto che è un abbraccio, una vicinanza vera, l’esser capita, io la chiamo solitudine.

Qualcuno ha detto che la solitudine può essere amica o nemica, ecco ora io sto parlando di quella nemica.

Quella che hai dentro e che a volte la mattina non ti fa venir voglia di alzarti, quella che ti fa sentire inadeguato e non all’altezza.

Quella di quando preferisci star solo come salvezza e non come scelta.

La solitudine di chi non vuole aiuto perché pensa che non ne troverà.

Di chi non osa mostrarsi perché pensa che non piacerà.

Quella che: non ci vado tanto io sono diverso, sono oltre, non mi meritano.

Ma anche quella di chi: ci vado, mi noteranno, sarò al centro, dirò sempre di si e capiranno che sono uno di loro.

Così come quella di chi parla tanto e poi parla ancora, ma non ascolta mai.

Ma, dicevo, esiste un antidoto. Copio una frase scritta da qualcuno “Chissà dove va a nascondersi tutta questa mia solitudine quando mi abbracci!”

Il pacco FRAGILE di Stefania

Limiti e libertà – di Stefania Bonanni

Ho sempre saputo di essere esposta alle ventate, agli entusiasmi facili, alle persone sconosciute con le quali dividerei casa all’ istante, e i progetti di sogno mi innamorano, e le cause bislacche trovano un avvocato della difesa, in me. Sempre saputo, di vedere cose, particolari, stranezze che non vede nessuno. Ovvio che quando le racconto (di qui il progetto di diventare muta), sgranano gli occhi e scuotono la testa. Pensano strana, la solita strana, chi vive di certezze più vere del vero, a volte dice bugiarda. Per questo, forse, mi sono circondata di persone che non sognano, per poter continuare a farlo io, certa che se barcollero’, se la ventata mi farà sbattere, saranno forti per me, le mura alle quali potermi appoggiare, a volte nascondermi.. Mi sento, a volte, come il bambino di quelle mamme che orgogliose parlano con gli altri; ” Sarebbe così bravo se non si distraesse di continuo a guardare le mosche!! Sempre con la testa tra le nuvole.. ” Da poco ho scoperto l’origine della mia grande voglia di leggere, di vedere film, di ascoltare storie, un bisogno che non finisce, anzi si moltiplica: credo sia moltiplicare il sogno, svolazzare sulla vita ad una distanza dalla quale si vede meglio. O peggio, che in fondo è lo stesso Sono stata così tante volte sul punto di sbattere forte e sbriciolarmi come una statuetta di ceramica che si schianta sul pavimento e diventa un mucchietto di schegge irriconoscibili, che forse c’è stato, lo schianto. Anzi, senza forse. Come si sono ricomposti i pezzi? Si vedono, le incollature. Si sentono le cicatrici. Ogni cicatrice, un tatuaggio.

Poi, ad un certo punto della vita, sono stata fornita di corazza. Quella patente, certificazione di fragilità, mi ha avvolto in un mantello da super eroe, una corazza nella quale ci si può nascondere, si può essere disperati autorizzati, si può fare sfoggio di fragilità senza spiegazioni, praticamente si è rovesciato il paradigma. In un mondo di giovani e forti e sani, un fragile riconosciuto , a patto che chieda, si può permettere comportamenti inusuali, forse in fondo in fondo in fondo alle convinzioni c’è anche qualcosa che dice che non si sa mai per certo la natura della fragilità, per cui…..meglio assecondare…Io comunque , per la prima volta, non mi sento forte, questa è condizione che non conosco perché non appartiene al mio mondo, ma mi sento più stabile. Da quando barcollo ed inciampo, mi sento più stabile. È come se prendere atto dei limiti, avesse evidenziato il contenuto.