Cartoncino: Introversi o egoisti?
di Stefania Bonanni

Viaggiare in treno è stare fermi mentre il mondo fuori corre, come farsi trascinare da un’onda che ha voce sibilante e ferrosa. Le immagini che scorrono si sfilacciano , si allungano, poi scompaiono veloci. Solo questa interminabile pianura non ci lascia andare.
Dal finestrino si vede una striscia strascicata di verde, più piatta di una pianura. Ogni volta penso la stessa cosa: come fanno a vivere senza tramonti dietro le colline, senza frammenti di campanili oltre le cime degli alberi, senza strade sinuose, senza la fatica di salire, senza la velocità di scendere? Ma perché lo dico a lei? Perché penso che non le interessino, i miei pensieri. La calma con la quale sfoglia quella rivista, che spero abbia trovato, non comprato, sembra un misto di disinteresse per il mondo, e distacco. Mi fa pensare lei possa essere una persona un po’ aldilà, o aldisopra, delle banalità. Uno che possa ascoltare di tramonti senza stranirsi. Spero che non mi presti attenzione, che non mi dica quelle ovvietà scontate che di solito ci si dice tra sconosciuti. Così posso continuare a guardar fuori e stupirmi, posso meravigliarmi e dirlo, come parlassi tra me e me, ma stavolta più Forte.
Che poi vado a Padova, da Francesca che non vedo da tempo, che sono emozionata, che non cambierei questo essere sola, di tutto questo, cosa dovrebbe importare al signore col cappello che mi sorride benevolo mentre continua a sfogliare quella rivista? Sotto l’ala del cappello vedo sopracciglia scure ed occhi chiari. Come hanno i meridionali nati sul mare. Ho deciso: lo chiamerò Daniele, e sarà calabrese.
“Sa perché ho preso il treno? (non aspetto risposta) Perché questa volta volevo stare attenta. A chi sale, a chi scende, dopo quante fermate, in quale paese, a quanto tratto del viaggio si è fatto insieme, inconsapevoli del fatto che non si ripeterà, che saremo inghiottiti ognuno dalla propria vita, senza ripensarci né riconoscerci, casomai capitasse di rivedersi. Sul treno si sale per viaggiare, ed i compagni non si scelgono, si può decidere a chi sedere vicino, ma non sempre. A volte si occupa un posto solo perché è libero, e poi non si cambia, per il disagio di raccogliere tutta la roba che abbiamo sparpagliato sul sedile, o per stanchezza, o per non sembrare scortesi.
Ho visto salire una mamma che rideva, con le sue bambine per mano. Lei è scesa subito. Le bambine hanno continuato il viaggio vicine. Dove vanno? Dove ci sarà qualcuno altro che vorrà loro bene.
Ho visto salire una donna anziana, che di certo veniva da lontano, e dopo miseria, guerre, morti, aveva bisogno di riposo. Aveva un bagaglio leggero, e tante storie sulle labbra.
Ho visto salire un ragazzo magro, felice di salire, che all’improvviso ha cambiato faccia, ed è sceso di corsa, mentre il treno ripartiva. Ha rischiato di farsi male? O ha rischiato di farsi poco male?
Ho visto ragazzi con la valigia, che si lasciano casa alle spalle, ma si portano i semi, ed avranno tante case, tanti coinquilini, amici dappertutto, e possono decidere quale fermata sia la più accogliente.
Ho visto una donna sola. Non è scesa, per ora. A lei interessa il treno, non il viaggio. Le piace la gente. Cerca gli scompartimenti pieni. Ascolta la vita degli altri. È tutta vita, comunque. Guarda dal treno le case degli altri. Vorrebbe sempre sapere come fanno gli altri, quale ricetta hanno deciso di seguire. Lei sorride.
E continuo a guardare. E leggo i nomi delle stazioni, perché aspetto di leggere quello che mi piace tanto. Occhiobello. Con un nome così, gli abitanti devono essere gente felice. Occhiobello, suo fratello, la chiesina, il campanello. Dovrebbe essere il paese dei bambini. Quelli con le ginocchia sbucciate che si toccano a destra, poi a sinistra, prima di stringere il nasino con le dita, mimando un campanello. Comunque, gli abitanti dovrebbero essere tutti belli. Non ci saranno strabici, né miopi. Nessuno avrà gli occhiali e tutti saranno capaci di vedere mosche a cento metri. Ho letto un libro , ambientato ad Occhiobello, dove il Po sembra un gigante placido, un Dio che è lì dall’inizio dei tempi, che riempie le fondamenta delle case e nasconde sul fondo resti portati via dal tempo. Resti di persone, di cose, di segreti, di animali fantastici ed improbabili.
Scendo a Occhiobello.