Racconto di Rossella G. (a Nadia) sul treno

Cartoncino: nastri verdi

di Rossella Gallori

Il viaggio sarà lungo, sono preparata, Aristovanich è lontana, sarà sempre uguale? E loro? Loro ci saranno ancora?

Scusi lei ci è stata?

Vorrei chiederlo, vorrei chiederglielo. Mi sembra un tipo serio, una che ascolta!

C’ è stata lei ad Aristovanichhhhh?

Ha un’ aria spaventata credo, credo faccia finta di capire, finge di ricordare il posto.

Lo ricorda vero? Il bosco, le foglie rumorose, il vento, le persiane che sbattono e quella fontana!

Alla fontana sussulta, stringe le labbra, forse sorride, sì sorride, non mollo incalzo:

Io ci sono nata piccola, ci sono stata piccola, in una casa piccola, in un paese piccolo, dove suonavano campane grandi, due volte al giorno.

La signora sembra una sfinge, ma la mia voglia di parlare è troppa, non resisto.

Lei quando ci è andata?

Risponde come se estraesse una tombola solo sua:

60…70…75…80…

Non mollo:

I miei erano nati lì, dalla collina vedevano le vigne, nastri verdi che davano guadagno e vino.

La signora sembra assopirsi, continuo come un fiume in piena:

Vede signora Aristovanich per me è la partenza è l’ arrivo, il sogno, le parole ed il silenzio, il cerchio che prima o poi chiuderò.

Alzo la voce, quasi grido:

Ma va lì anche lei?

Sussulta, rispondendo quasi a bocca chiusa:

Si, siiii…

Dice aggiustandosi il ciuffo sfuggito alla massa di capelli color miele di  castagno.

Sa signora, quando ero piccola, di macchine ce n’erano poche, ne  ricordo una di piazza, gialla e blu, sembrava una pompa di benzina.

A questo punto la signora tutta di un pezzo, dà cenni di vita accavallando le gambe, ben fatte, direi, scarpe belle, tacco dieci.

Penso e ripenso ad Aristovanich, il negozietto di scarpe in piazza, al fioraio, al fruttivendolo, ricordi.

Il treno mi ha fatto venire il mal di stomaco, sarà che scrivo, sarà che non sono per il verso giusto, sarà che invidio i crakers  che  la tizia sgranocchia, mi ha letto nel pensiero, me ne offre uno, uno solo e piccolo, meglio che niente. Finalmente parla la signora con la pelle d’avorio, quasi di cera, ed un rigo troppo accentuato su occhi militari, austeri e grigioverdi.

Ma Aristovanich dove?

Ma come dove?

Quella sul mare, dove c’è il porto….

Penso: ma quale porto, quale mare? Ma sono così felice che mi parli, che mi presti attenzione, di non essere sola, in questo viaggio, su questo treno, che le perdono di non aver capito nulla o quasi, e dico:

Si, si sul mare.

e ripenso al mio  paese sulla collina, ed immagino: conchiglie e vigne, mucche ed ombrelloni, l’accontento.  Ma la saluto e cambio posto.

Il viaggio sarà lungo, dal finestrino lingue verdi di alberi immensi, mi  annunciano un paesaggio diverso.

Il dubbio mi assale: avrà capito?

A/ ris/ to / va/ nich.

 un fischio mi scuote, mi alzo, la raggiungo…dorme, immobile pare morta,le lascio un biglietto con il mio nome ed il nome di un paese che non conosce e che ha immaginato, fingendo, direi malamente, di conoscere…

Mi allontano e con quanto fiato in gola grido:

Tu tu…ciuf ciuf tuuuuu tuuuuu…

Racconto di Nadia (con Rossella) sul treno

Cartoncino: Spettro

di Nadia Peruzzi


Il treno è lento, quasi arranca in salita.
Le curve, all’inizio, sono quasi delle rotonde. Si deve salire molto per arrivare al livello dei ghiacciai.
Da Tirano, attraverso il Bernina con destinazione d’arrivo S.  Moritz.
Le montagne incombono, fanno quasi paura. Di così alte non ne ho mai viste.
Per fortuna arrivati in quota, con il Bernina dietro le nostre spalle, le vette aguzze si mettono a contornare altopiani di erba verde, fiumi e rivoli d’acqua che sono il prodotto del disgelo.
In un punto è la nebbia a prevalere.
Fuori tutto si fa silenzio. Attorno al treno un grande batuffolo di cotone si apre come se fosse una galleria.
Il treno ci si immerge, come una lama lanciata a tutta velocità.
Le luci si accendono e spengono dentro il vagone. Anche la mia vicina perde consistenza, in questo vedo non vedo.
Era piena di colori e vitale. Nel baluginio della luce altalenante , dentro quell’imbuto di nebbia senza fine, si è fatta smorta, opalescente, incorporea.
Vorrei parlare, ma tutto in quel momento mi fa serrare i denti.
Paura, ansia, agitazione!
Non so cosa mi prende. Accanto a me sento una presenza, ma se allungo la mano non trovo resistenza. Non sento abiti, né un corpo sotto di essi.
Eppure c’era qualcuno, mi dico.
Sei sparita? Dove sei finita? Avevo tante cose da dirti. Ma non ti ritrovo.
O sono impazzita, o sto sognando, mi dico!
O sarà la nebbia e questo treno pazzo e strano che mi stanno facendo viaggiare accanto ad uno spettro?
Non lo so. Sono confusa. Forse sogno davvero. Ma sono ad occhi aperti. Non può essere.
Forse lo spettro sono io.
Questo viaggio che ho fatto tanti, tanti anni fa è tornato in ballo e ho provato a farlo di nuovo, ma io non sono più io.
Mica sarò io lo spettro?
Chissà cosa potrà mai pensare la mia vicina di posto, che non riesco più a distinguere bene.
Sono viva? Sono già morta? Non lo so, davvero!
Quando lo feci la prima volta questo viaggio mi piacque molto.
Stavolta non saprei che dire.
È tutto così fuori dal normale.
Ma l’avrò presa stamattina la pastiglia per rallentare quella malattia dal nome straniero, che mi fa vedere le cose a modo suo?

Racconto di Lucia (a Carmela) sul treno

Cartoncino: Il sasso alla caviglia

di Lucia Bettoni

foto di Nadia Peruzzi

Su questo vagone, in mezzo a questo viaggio, ti racconto una storia, cara amica
Una storia breve o una storia lunghissima
ancora non lo so ma voglio provare a raccontare
Non era un piccolo sasso, forse era un macigno e il macigno era legato alla caviglia di Maria
Hai presente gli schiavi?
Hai presente i prigionieri?
Ecco, quello era il sasso/macigno dei prigionieri, quello che impedisce di fuggire, quello che vuole farti rimanere dove sei, quello che non suscita speranze e che tarpa le ali
Ma chi aveva provato a mettere quel sasso alla caviglia di Maria non aveva fatto i conti con quello che c’era dentro di lei
C’era un vulcano rosso di lava incandescente, c’era la schiuma di mille onde infrante sugli scogli
C’era il miele di cento arnie e il succo di tutti i grappoli d’uva della vigna
C’era l’olio spremuto delle olive morelle e frantoiane e c’era il freddo delle sue mani paonazze dal vento di febbraio
C’era la grandine battente e il suono di mille solitudini
Maria si chinò
Era agile, abile e veloce
Raccolse con le mani quel sasso/macigno al lato della sua caviglia:
Incredibile! Era leggero!
Era leggero come un palloncino e più leggero di un soffio
Era impalpabile e non era grigio
Maria lo prese e lo lascio’ volare in alto
Era facile! Si poteva fare!
Era possibile, era tutto vero!
Era un sasso volante

Cara amica mia lo sai dove voglio andare oggi con questo treno?
Voglio andare dove andò Maria seguendo il suo sasso/palloncino                 

E adesso comincia un’altra storia

Maria era in piazza S. Maria Novella
quando vide lui: alto, biondo, lunghi capelli lisci fino alle spalle
Suonava la chitarra ai margini del marciapiede chiedendo ai passanti un gesto generoso per poter mangiare
Maria pensò: vado da lui!
Lui era canadese e suonava la libertà
Lui e Maria sono una storia vera

Incontro del 9 febbraio 2023 alla Carrozza 10: Il viaggio sul treno

Entriamo nel Vagone per un viaggio immaginario: ognuno si siede accanto a un compagno/a a cui raccontare (in segreto) i propri pensieri, aiutandosi con il suggerimento di un bigliettino consegnato da Cecilia ad ognuno.

foto di: Lucia Bettoni, Rossella Gallori, Cecilia Trinci